Carnet - Settembre 2001 Gli esclusi Lo scenario
di guerra con cui si sono chiuse a Genova le giornate di contestazione
al summit delle otto maggiori potenze del mondo ha confermato purtroppo
segnali che si potevano percepire fin dai primi di giugno, quando sono
cominciate le grandi manovre per "allestire" una città
a teatro di un eccezionale evento storico. L'effetto degli scontri, con
un morto, centinaia di feriti tra manifestanti e forze dell'ordine, strade
e negozi ?devastati, si legge in un breve, efficace commento contenuto
in una lettera e la Repubblica (22/7/01): "Mi sento come uno spettatore
del Colosseo alla fine di un incontro di gladiatori, me ne torno a casa
senza che nulla dei mali del mondo mi abbia sfiorato. Chi parla più
dei grandi temi che devono essere trattati in queste occasioni?".
La trasformazione dei conflitti in rituali agonistici o, peggio ancora,
la possibilità di ridurre ogni forma di dissenso a teppismo, rappresentano
da tempo immemorabile la copertura di altre, più sostanziali violenze:
la disuguaglianza economica e sociale, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo,
la distruzione delle risorse naturali, il dominio di un sesso sull'altro,
la violazione di elementari diritti umani. Ma nessun potere avrebbe potuto
servirsi di uno schermo così facile, se non gli fosse venuta ogni
volta in soccorso una cultura radicata nell'immaginario e nel sentire
comune. "I violenti" ha scritto Adriano Sofri "possono
essere ispirati dal teppismo che agita tutte le epoche. Spesso però
sono animati dallo sdegno e dal cimento del coraggio... La non violenza
non è più ordinaria, o più pavida, più 'facile'
Al contrario" (la Repubblica, 19/7/01). La tentazione di "battersi"
con un "nemico", "invadere", "espugnare",
"violare" sbarramenti e divieti è l'impulso "virile"
che accomuna, al di là delle giuste ragioni che li contrappongono,
gli "iniqui" e i "giusti", i "lupi" e gli
"agnelli", i "colpevoli" e gli "innocenti",
immagini ricorrenti nella febbrile "vigilia d'armi" che ha preceduto
le giornate dei summit. Che si stesse preparando uno scontro che mirava
ad assimilare, pur nella enorme disparità di forze, due sfidanti,
è stato chiaro fin dalle prime battute. Una città svuotata
dei suoi abitanti e blindata come una fortezza che si prepara a un assedio
di guerra; informazioni, confronti e descrittiva minuziosa dei contendenti:
dislocazione sul territorio, abbigliamento, accessori di offesa e difesa,
simulazioni belliche con scambio di ruoli, da entrambe le parti; dichiarazioni
allarmanti destinate a stemperare la complessità dei movimenti
anticapitalisti cresciuti in ogni parte del mondo nell'ultimo ventennio,
e noti come "i popoli di Seattle", nel ricordo di sanguinose
e ormai remote pagine di storia. "La dichiarazione di guerre delle
Tute Bianche è il proclama che dà voce a una realtà
innegabile: è sceso in campo lo sfidante atteso, un movimento dei
movimenti pronto a opporsi apertamente all'avidità cieca e arrogante
dei potenti della Terra" (il manifesto, 1/7/01). Nei seminari,
dibattiti, conferenze stampa, concerti che si sono susseguiti a Genova
e in altre città d'Italia, la voce degli "esclusi" ?
popoli dei Terzo Mondo, indigeni, migranti, donne, disoccupati, agricoltori
senza terra, ma anche cittadini comuni privati di ogni potere decisionale
? si è fatta sentire chiara e persuasiva attraverso centinaia di
associazioni di tutto il mondo, e ha costretto le grandi potenze a volgersi
verso l'"altra faccia dei pianeta", quella "assente",
"insignificante", segnata dalla fame, dalla miseria, da malattie
e morti evitabili, e spinta verso il modello di sviluppo di quella stessa
civiltà che è all'origine di molti suoi mali. |