Circolo della
Rosa,
11 maggio 2004
Poetesse
e badanti ucraine
DIFFICILE
DA CREDERE
11 MAGGIO 2004, CIRCOLO DELLA ROSA
Laura Minguzzi intervista Delfina Lusiardi e le amiche Olha Vdovychenko,
Eugenia, poetesse e badanti ucraine. Sarà presentata l'esperienza
dell'Associazione di donne straniere a cui partecipa Giannina Longobardi.
Le ospiti leggeranno alcune poesie in lingua originale dal libro Dumki,
pensieri di donne ucraine in forma di ballata.
Storie di lotta, d'amore, di sofferenza, incredibili da immaginare per
chi vive nel benessere delle città italiane e non guarda al di
là del proprio naso. L'incontro dell'11 maggio alla Libreria delle
Donne ha fatto luce sulle inimmaginabili storie di donne ucraine venute
in Italia qualche anno fa e impiegate come badanti all'interno di famiglie
italiane.
Mosse da bisogni economici per mantenersi, per far studiare i figli e
aiutare parenti in difficoltà, sempre più donne arrivano
in Italia. Affrontano il dolore della nostalgia, della lontananza dal
loro paese, la fatica dell'adattamento, della lingua italiana. Nonostante
le fatiche amano molto l'Italia.
Organizzato e moderato da Laura Minguzzi, l'incontro con queste donne
è un viaggio nelle loro storie e in quelle del loro paese. Partiamo.
Olha Vdovychenko ed Eugenia sono donne ucraine approdate
in Italia per bisogno di lavorare. Le condizioni economiche delle loro
famiglie non permettevano più di sopravvivere e provvedere al mantenimento.
Le due ospiti della Libreria l'11 maggio, come tante altre donne loro
connazionali arrivano nel nostro paese, affrontano la sofferenza del distacco
dai loro affetti e dal loro paese, le difficoltà di inserimento,
della lingua, del lavoro di badanti a persone, spesso con gravissimi problemi
psicofisici e un carico di dolore molto forte. Ma ce la fanno. E come
loro quasi tutte. Sono forti e amano il nostro paese, anche se spesso
ci sono episodi di maltrattamento e non rispetto.
L'idea della serata di conoscenza e discussione parte da Laura Minguzzi.
Il suo interesse è da anni rivolto ad est: conosce la lingua russa
e la storia del paese. Notevoli i suoi sforzi per inseguire la sua passione.
Ora insegna russo nella scuola italiana e ha nel suo bagaglio di esperienze
viaggi nell'ex Unione Sovietica e in Polonia.
Lo spunto dell'incontro proviene da un suo interrogativo e curiosità
riguardo la libertà delle ragazze e delle donne che ha incontrato
dopo la fine del patriarcato, fine dovuta anche al desiderio di libertà
femminile che ha accelerato il processo.
"Nella conversazione di oggi - dice Laura - vorrei agganciarmi
al dibattito di questi ultimi giorni, molto visibile, sul lavoro di cura
in Italia, suddiviso fra donne italiane e donne immigrate dei paesi più
poveri. Gli spunti della questione si possono ritrovare nelle pagine del
Manifesto, all'interno dell'articolo di Emanuela Cartosio, 'La signora
e la badante a tavola insieme' , uscito in coincidenza alla puntata della
trasmissione televisiva su Raitre, 'L'Infedele' di Gad Lerner sullo stesso
tema. A coronare il tutto la lettera di Luisa Muraro datata 5 maggio al
Manifesto, dal titolo 'Il valore della colf' riferita sia al dibattito
televisivo che all'articolo della Cartosio".
Nel corso dell'incontro Laura coglie l'occasione per presentare il libro
Dumki - Piccole ballate, a cura di Olha Vdovychenko.
Tramite i pensieri in forma poetica le autrici, donne ucraine, esprimono
la complessità della loro situazione.
La parola passa alle protagoniste di questo estratto di vita, un'esperienza
che non si può ancora chiamare né storia, né testimonianza
perchè ci coinvolge ancora troppo.
Laura introduce il primo punto su cui desidera soffermarsi "Nell'introduzione
del libro, Deflina Lusiardi, citando le parole di Olha, scrive a proposito
dell'onda corrosiva della nostalgia e del fatto che Olha, per trarre forza
e sopportare il peso di una condizione servile con dignità, fa
riferimento a un poeta uckraino del '600, Sevchenko, servo della gleba.
Chiedo a Delfina: sei ancora d'accordo con queste parole dell'introduzione
di qualche anno fa oppure alla luce di queste cose nuove che sono emerse
avresti altre cose da dire?"
E' nel marzo del 2001 che Delfina Lusiardi si accorge che dall'Est
arrivavano moltissime donne. All'epoca, racconta, curava 'Storie del
presente', rubrica su una rivista locale di Brescia e riferisce d'aver
dedicato a questo argomento alcuni articoli, destando in lei e in altri
la voglia di conoscere meglio questa realtà.
"Quando la curiosità non viene soddisfatta si mette in moto
l'immaginazione, la fantasia - dice ancora -. I giardini di via
Dei Mille erano punto di ritrovo di queste donne ucraine la domenica,
mentre il sabato veniva popolato da donne moldave e forse rumene".
Il fatto era in sé piuttosto curioso: erano signore mature, veniva
da chiedersi cosa facessero in Italia. "Mi interessava, sono molto
curiosa e ho passione per quello che succede nella vita delle donne -
racconta ancora - ho fatto un giro nei giardini dove non fu facile entrare
in uno scambio di fiducia. C'era molta diffidenza da parte degli italiani,
si pensava a un racket dell'immagrazione e questo pregiudizio riguardava
anche loro. Mi colpiva il fatto che queste donne non regolarizzate, tranquillamente
si dessero appuntamento in modo così vistoso".
Nella storia bresciana, i giardini Dei Mille sono famosi per il Festival
delle fabbriche. Poi, per un periodo, sono stati terra di nessuno. E ancora
hanno ospitato comunità di stranieri, per un tempo cinesi.
"La prima domanda che mi sono fatta - prosegue Delfina - riguardava
la loro identità e cosa le spingeva in Italia. Non avrei potuto
saperlo senza testimonianze. La prima donna che ha accettato di raccontare
è stata Olha. Ci siamo incontrate, le ho fatto una lunga intervista
durante la quale mi ha confidato la sua faticosa esperienza e quanto le
letture del poeta Sevchenko l'abbiano aiutata a sopportare quello che
le accadeva. Per un certo periodo ha prestato assistenza ad anziani, quando
l'ho incontrata era già una delle poche ad aver ottenuto il permesso
di soggiorno ed era stata assunta in fabbrica. Nel corso della nostra
conversazione mi ha raccontato cosa significhi badare una persona malata
di Alzheimer, instaurarci un rapporto, instaurare un rapporto con i figli
di questa. A volte à molto faticoso ma non sempre."
Delfina racconta che, oltre a Sevchenko, trovò molte poesie, Piazza
Garibaldi per esempio, una raccolta di pensieri di donne emigrate
che esprimevano il loro sentire. Piazza Garibaldi si riferisce
all'omonima zona di Napoli, dove inizialmente venivano dirottate alcune
emigranti di Napoli, prima di spostarsi verso nord.
"Cosa coglievo in quella poesia? L'onda corrosiva della nostalgia"
- dice Delfina. L'autrice conservava le foto del suo nipotino mai visto
ma solo sentito per telefono. Partita giovane con una grande passione
per il mondo e per l'Italia, è esperantista: essere straniera è
la sua natura ma nonostante questo il suo girovagare non è immune
dalla nostalgia.
Delfina parla di odissea femminile quando si riferisce al modo di reagire
delle donne a questo dolore. La prima questione è che questo male
viene curato e lenito non attraverso l'oblio forzato, al contrario cercando
di ricreare nei luoghi stranieri rituali e incontri costanti con altre
connazionali, luoghi dove parlare la lingua madre e ricostruire la propria
casa. A differenza degli uomini, la mancanza della patria non crea sradicamento,
di solito le donne si danno la possibilità di creare altrove la
propria casa e questo le mette al riparo dello sradicamento. Gli altri
problemi riguardano chi rimane. Gli affetti sono lontani, non si sa come
stanno, cosa accade loro. I problema dei figli, padri e madri è
sentito con estremo dolore e forti sensi di colpa.
La testimonianza di Eugenia ci fa entrare nel vivo della sua straordinaria
storia.
Eugenia esordisce parlando delle poesie: non si tratta solo di produzioni
di proprio pugno, sono anche quelle ricordate e copiate. Il tutto per
trovar respiro da quel sentimento forte e doloroso che è la nostalgia.
"Sono arrivata a Brescia nel novembre del 2000
- racconta
Eugenia - e mi ricordo i giardini di via Dei Mille. Era sera, le strade
erano buie. Arrivata alla stazione, ho pensato d'essere sbarcata in Africa
a causa della moltitudine di africani che popolavano i binari e le sale.
Qualcuno mi ha indicato dove trovare le mie compaesane. In quel periodo
non eravamo in molte.
Eugenia lascia il suo paese dopo esser arrivata a un punto limite di mal
retribuzione.
"Sono un medico, sono ginecologa - racconta, - ho lavorato
tanti anni in un ospedale riuscendo a mantenermi a bene. Ma poi si è
giunti a una condizione in cui non era più possibile andare avanti.
Per qualche tempo ho fatto la sindacalista, mi battevo perché i
datori di lavoro non pagavano gli stipendi e quando finalmente si decidevano
l'inflazione aveva già assorbito tutto il suo valore. Per parlare
della mia esperienza, inizialmente avevo uno stipendio abbastanza buono
all'ospedale. A un certo punto hanno cominciato a retribuirci in natura,
un mese intero in vodka... Per poterla rivendere andavamo in Lettonia,
solo che, essendo sempre di più a farlo, il prezzo è caduto.
Oppure pagavano con il burro
"
La situazione cambia quando il governo emana una legge che prevede la
possibililità di far denuncia a chi non pagava lo stipendio.
"Io, assieme ad altre dieci persone dell'ospedale, abbiamo utilizzato
questa opportunità e abbiamo vinto. Tuttavia non siamo stati capiti:
i colleghi con i quali avevo lavorato e il direttore stesso ci hanno accusato
di ingratitudine e di voler rubare lo stipendio agli altri."
Eugenia aveva studiato tanti anni in Siberia, paese in cui abitavano tutti
i dissidenti, anche nel passato, coloro che avevano vissuto tutto il peggio
che si può vivere.
"Già negli anni ottanta - racconta - lì c'erano
pensieri di libertà. Erano usciti degli articoli che però
era proibito leggere a causa dei contenuti altamente rivoluzionari: si
prevedeva il crollo dell'URSS, e si incitava la gente a pensare liberamente.
Ricordo quando studiavo marxismo e leninismo, il nostro professore, di
origine ucraina, nel corso della prima parte delle sue ore faceva regolarmente
lezione, poi ci incoraggiava a pensare liberamente, senza paura. Mi ricordo,
inoltre, che in Siberia non vigeva l'obbligo di entrare nel Partito Comunista,
come in Ucraina, dove tutti gli studenti universitari di medicina dovevano
entrare nel partito comunista. Ogni donna che abitava là in Siberia,
se mancava l'acqua poteva andare dal sindaco a reclamare, mentre in Ucraina
non si poteva fare."
Eugenia racconta di essere arrivata in Ucraina con con una forma mentis
libera e cosciente delle sue potenzialità come donna e come medico.
Ha dovuto adattarsi a lavorare gratis finchè non si è vista
soffiare il posto di lavoro dalla figlia del direttore. Costretta
a subire l'ennesima ingiustizia, non ce l'ha più fatta ed è
partita verso l'Italia. Eugenia dichara di aver pagato per il viaggio
700 dollari mentre percepiva uno stipendio, quando c'era, di 35. Destinazione
Napoli. Perché Napoli? C'erano tante agenzie di viaggi, racconta,
in combutta con i napoletani che ci guadagnavano nei viaggi.
Le prime donne che sono arrivate in Italia sono sbarcate a Napoli con
la testa piena di promesse di lavoro. Gli organizzatori consigliavano
caldamente la città partenopea come primo approccio alla realtà
italiana, di imparare la lingua e poi, poi eventualmente spostarsi. Eugenia
era perplessa: imparare l'italiano proprio in una città come Napoli,
famosa per il suo pronunciato accento dialettale e un idioma locale inompresibile
per i non addetti ai lavori? Allora decide che in Italia ci arriva per
conto suo. E sopravvive.
Racconta di essere arrivata in Italia senza conoscere una parola della
lingua. L'ha salvata la pioggia. Si nascondeva nelle chiese dove poteva
entrare e stare sicura, oppure si riparava presso la posta centrale di
Brescia.
Laura interviene
per introdurre una poesia da lei definita illuminante sul percorso di
libertà: Succedeva di tutto nella vita. Traguardo e partenza
è un altra poesia che dà l'idea di questa rivoluzione, di
questo cambiamento di ottica e di sguardo che crea una storia comune.
Traguardo
e partenza
di Anonima
Bisogna saper
attraversare la vita,
Perché intatti ogni traguardo partorisce una partenza,
e non si deve divinare il futuro,
e non vale la pena rimpiangere il passato.
Bisogna vivere, in qualche modo bisogna pur vivere,
e temprarsi acquistando la tenacia e l'esperienza
e non si deve divinare il futuro
e non vale la pena rimpiangere il passato.
E' così
e le cose potrebbero andare anche peggio,
Potrebbe essere molto ma molto peggio...
Perciò, finche la mente non è amareggiata dal dolore,
non sii schiavo, ridi come un bambino.
quello che sarà - lo vedremo
tutto ciò che non è mai stato perdonato sia perdonato.
l'unica cosa che dipende da noi ancora -
il resto della vita è vivere dignitosamente.
Olha annuncia l'altra poesia, Succedeva di tutto nella vita, di
Halina Makovjychuk. Righe che parlano del cambiamento, che fanno pensare
al punto di rottura dell'irreversibilità e della questione dei
sensi di colpa. Quest'ultima sollevata dal libro Donne Globali, scritto
da due sociologhe americane. Il testo pone a confronto donne bianche emancipate
con quelle povere che che esercitano professioni di cura. In questo libro,
secondo Olha, si cerca di istigare il senso di colpa sia in chi ha una
colf sia in chi lascia i suoi familiari, sia nei confronti della relazione
di dipendenza serva-padrona. Olha parla poi dell'autrice della poesia,
Halina.
"La conosco da cinque anni. A quel tempo eravamo non molte ma
tutte scrivevano, ora siamo tante e ma a fissare i pensieri sul foglio
bianco pochissime, anche perché ora parliamo tra noi nella nostra
lingua. Con la sua poesia Halina ha descritto come, per salvare la sua
famiglia, si sia buttata alla cieca in quest'avventura, come gettarsi
'dalla montagna nell'acqua profonda'".
Olha racconta poi come, assistendo un'anziana, abbia avuto modo di
riflettere sul concetto di lavoro, lavorare. "Da dieci anni -
dice -, non avevo tempo per pensare, dovevo sempre correre. Nel mio
paese avevo cinque lavori, guadagnavo quasi nulla, e quelle poche volte,
ogni tre mesi".
Quando l'inflazione raggiungeva livelli elevati, le sue retribuzioni consistevano
in scatolette di sardine, a volte vodka, frumento, farina, olio. Ma ad
un certo punto i soldi finivano.
Succedeva di tutto nella vita
Halyna Makovijchuk
Mancavano
i soldi per il pane,
Non c'erano i vestiti per il bambino,
Era dura, dura la vita.
Ma una donna, una madre e una moglie
Era nella casa come una la cima sacra della montagna.
girare i mondi, fare da bracciante e servire
Andavano gli uomini nel momento difficile.
Qualcuno moriva, qualcuno rimaneva
Per sempre nel paese straniero,
Però, la madre, la donna e la moglie
L'uomo salvava dal paese straniero
La parola passa ad Eugenia che focalizza il suo intervento sulla poca
libertà di fare la badante in una casa privata. Si deve continuamente
chiedere il permesso e dare spigazioni. Spesso la famiglia è insensibile
alle tue esigenze.
Racconta di come lei fosse stata educata alla libertà e questa
situazione le sembrasse insostenibile. "Ti sentivi come un oggetto,
un pezzo di carta. Un gatto è sicuramente trattato meglio perché
costa, invece una donna senza permesso di soggiorno se non fa bene il
suo lavoro spesso viene licenziata in tronco, senza troppe spiegazioni,
magari viene insultata.
Molte donne hanno reagito con gravi problemi psichici. Io ho cominciato
a scrivere ed esprimere lo stato d'animo. Un modo per sopportare soprusi
e dolore. Una donna senza permesso di soggiorno letteralmente non esiste.
E quando riesce a tornare a casa
trova tutto un altro mondo".
A Lessya
Porta in Ucraina i pensieri, che hai filato all'estero,
e lascia in Italia i ricordi, per i quali non dormi oggi.
Che tessiamo di questi fili un tappeto;
non un tappeto qualsiasi,
ma dell'amicizia e del bene.
Per ricordare che nessuna donna
dovrebbe mai diventare schiava,
come eravamo tu ed io.
Halyna Maoviychuk
Nonostante le sue sofferenze, Olha parla bene dell'Italia. E' un posto
di luce, arte e cultura. E gli italiani sono un popolo caldo e accogliente.
Nonostante spesso sia stata circondata dalla più assoluta indifferenza
da parte delle persone con cui lavorava e la prima che è stata
ad ascoltarla sia stata proprio Delfina.
Laura si sofferma a parlare di un'altra poesia che l'aveva colpita, Conversazioni
con se stesse, in tema di solitudine. Si è soli quando non
si è compresi e si sente il bisogno di parlare con se stessi. Laura
racconta d'aver provato quaesta sensazione durante i suoi anni di insegnamento.
L'ottusità di fronte a cui spesso si trovava la costringeva al
ritiro in se stessa.
"Ho trovato nella scuola italiana - racconta - la non volontà
di imparare non dico la lingua, ma neppure i nomi. Soprattutto da parte
di insegnanti o dei presidi o delle presidi. Spesso facevano battute di
spirito. L'indifferenza, il non voler conoscere mi dava e mi dà
fastidio".
Interventi
Giannina Longobardi si riallaccia al discorso di Olha, sul fatto
che nessuno l'ascoltava: dice che spesso il non voler sapere da parte
degli italiani è una forma di difesa dall'imbarazzo. Spesso le
badanti hanno un livello culturale e titoli di studio superiori a quelli
dei datori di lavoro. Certe cose, per salvaguardare la propria austima,
è meglio quindi non saperle.
Laura invece
puntualizza sul discorso dell'indipendenza. L'attrazione dell'occidente
è la libera impresa. Ma si tratta solo di un'illusione, anche se,
rispetto ai regimi comunisiti, si è liberi di pensare. Ed è
su questa libertà di pensiero che si basa la politica delle donne.
Una partecipante di Verona racconta l'esperienza sua e di alcune collaboratrici
che hanno fondato un'Associazione tra donne italiane e straniere con un
grande guadagno di conoscenza. Lo scopo dell'Associazione è capire
meglio la realtà nella quale viviamo, una città dove ci
sono nuove presenze da accostare e comprendere.
Una domanda riguarda il fatto degli spostamenti femminili. Come mai dall'Ucraina
non vengono uomini?
Per una donna è più facile trovare lavoro, risponde Olha.
L'uomo è difficile che faccia il badante, dovrebbe per forza lavorare
in un'azienda. Solo che per farlo occorre necessariamente il permesso
di soggiorno.
Clara Jourdan riprende il discorso di Giannina. Secondo lei il
non voler sapere non è una questione di imbarazzo ma di pregiudizio,
di credere di sapere. Si tende a paragonare le immigrate ucraine agli
emigrati italiani del secolo scorso. Al tempo, coloro che lasciavano l'Italia,
nella maggior parte dei casi erano persone che non avevano studiato. Ci
si aspetta sia così anche per chi arriva qui oggi.
Una partecipnate chiede se l'idea del ritorno è un desiderio costante
e se pianificano di ritornare presto al loro paese.
"In questi sei anni - dice Olha - chi ha combattuto la
nostalgia il primo anno di solito decide di rimanere perché ama
il Paese e gli stipendi sono alti. Ma alla fine, sotto sotto, si pensa
sempre a far rientro. Spesso qualcuna si sposa. Nella mia esperienza alcuni
matrimoni sono stati felici, ma molti altri no."
Eugenia racconta di alcune donne che non riescono a superare il trauma
della separazione e pensano ossessivamente al ritorno. Ma servono soldi
e devono rimandare continuamente la partenza. Quindi il soggiorno si prolunga
e non vivono né lì né qui, pensano che quando torneranno
sarà come prima. Ignorano invece che al loro rientro tutto sarà
diverso.
Si parla poi dell'Associazione Nadìja, che in italiano vuol dire
speranza. La presidente è Olha, Eugenia è la vice. Ha come
scopo aiutare concretamente le immigrate fornendo informazioni e mediazioni
con la Cisl che sostiene il progetto. E' un modo anche di ritrovarsi.
Ottanta sono le iscritte e centinaia le simpatizzanti.
|