Incontro
con l'Autrice al Circolo della Rosa il 30 novembre 2002
Presentazione
di Clelia Pallotta
Presentazione
del libro di Anna D'Elia "Diario del Corpo"
Resoconto
di Serena Fuart
Per scoprire
e amare il proprio corpo.
Clelia Pallotta
dà inizio all'incontro raccontando dell'occasione che le ha permesso
di venir a conoscenza del libro "Diario del Corpo" : una mail
di Anna di Anna D'Elia, l'autrice del libro, la quale non esiterà
a definirsi in rapporto perenne e carnale con il suo pc. La mail in questione,
racconta Clelia, più che il testo riferito a un libro, dava l'impressione
di contenere uno di quei virus dei computer, che si trasmettono tramite
allegati di posta elettronica.
Solo successivamente si rende conto di cosa in realtà si tratti
e non esita a raccontare ad Anna quanto sia rimasta colpita dall'intensità
di quei racconti.
Le due amiche, conosciutesi presso la Società italiana delle Letterate,
iniziano così a discutere del testo.
Per introdurre le tematiche di "Diario del corpo", Clelia parla
di alcune sue riflessioni sul tema del corpo, in particolare di come lei
stessa si sia resa consapevole delle molteplici funzioni del nostro organismo,
a partire da quella primaria di rappresentare la persona. La primissima
impressione negli incontri non si forma a partire dalle idee, ma dalla
corporeità . Anche in seguito, quando la personalità gioca
un ruolo centrale, il corpo continua ad esserci. Volenti o nolenti è
la zona corporea quella che fisicamente si vede: il corpo, nelle sue forme
e con i suoi modi, è capace di grande comunicazione. Il corpo è
un punto di partenza, produce suggestioni e stimoli.
Il libro di Anna D'Elia è un testo composto da frammenti, immagini,
connessioni tra l'autrice e il mondo. Si tratta, insomma, di un vero diario.
Anna D'Elia è una studiosa di Storia dell'arte, insegna alla Scuola
di Belle Arti di Bari ed è anche titolare di un corso sulla percezione
presso l'Università di Bari, alla facoltà di Scienze della
Comunicazione.
I frammenti presentati riguardano riflessioni ed esperienze dell'autrice,
sue considerazioni su temi personali e politici incentrati sul corpo.
Il concetto di fondo che emerge, e che oserei definire splendido, è
quello che vede il corpo come un dono, un veicolo di gioia, di emozioni,
una delle più intense espressioni della vita e del calore.
Perché
questo libro. La parola all'autrice.
Questa esperienza
di scrivere del corpo, del proprio corpo, racconta l'autrice, è
stata preceduta da un forte disagio, vissuto a causa dei modelli fisici
ideali propinati dai mass media.
Racconta con vivida espressività di quanto il suo corpo non le
piacesse e di come gli altri vedessero in esso delle peculiarità
che lei non riusciva a vedere.
Dopo il matrimonio, avvenuto a 21 anni, l'autrice riesce a superare l'imposizione
della maternità, e solo a 36 anni proverà la gioia di una
gravidanza assolutamente desiderata e consapevole.
Acquisisce così coscienza che il corpo altro non è che una
costruzione, e si adopera per contribuire alla ri-scrittura di questo
artefatto. Acquista anche più forza con il passare degli anni,
e questo le permette di sentirsi meno oppressa dallo sguardo maschile.
Anna d'Elia, scrivendo, vuole recuperare il suo punto di vista e non assumere
quello degli altri. Intanto inizia ad interrogarsi su come, durante gli
anni del disagio giovanile, si sentisse guardata, e si chiede oggi in
che modo avrebbe desiderato essere guardata.
Parla poi del concetto di frammentazione, ovvero di come la pubblicità,
i media, concentrino l'attenzione su alcune parti del corpo a scapito
di altre.
Cerca di ricordare l'immagine negativa con cui caratterizzava i suoi frammenti,
e racconta che sente la necessità di partire da tali frammenti
per una ricostruzione del suo punto di vista. Ricostruzione fatta per
lei stessa, non per compiacere lo sguardo maschile.
L'autrice fa un esempio: parla delle sue gambe, che ha sempre considerato
brutte, e ha voluto nascondere in ogni modo, soffocando tutta la loro
vitalità. Racconta di come invidiasse le sue amiche e tutte le
modelle che potevano permettersi di portare calze a rete e tacchi a spillo.
Anna D'Elia ci dice come quelle gambe, che una volta considerava così
brutte, ora siano diventate preziosa e inestimabile risorsa per camminare,
correre, andare in bicicletta. Averle giudicate brutte le ha liberate
però da una schiavitù, ha permesso tutte quelle esperienze
che non avrebbero potuto fare se...fossero state bellissime.
Questo studio sul suo corpo porta l'autrice a nuove idee sul concetto
del tempo. Il tempo che va dalla vita alla morte per lei si inverte, nella
logica del corpo che segna decadimento. Il tempo del passato viene vissuto
oggi con nuovi significati. E' servendosi della fotografia che arriva
a queste nuove opinioni. Il passato, rappresentato per esempio da una
sua foto a tre anni, non è definitivamente perso. Certo, lei non
è più quella corporeità, ma neppure qualcosa di completamente
altro. Ora è un'evoluzione da quel punto iniziale. La foto le suggerisce
il concetto della con-presenza: lei è quella di adesso e quella
di una volta. Ribadisce quindi questo termine di co-esistenza: il passato
non si elimina, ma co-esiste.
Il costruirsi non è più una parola ma un'esperienza.
L'autrice
offre poi alcune riflessioni sui media e sulle nuove mode che banalizzano
il corpo, o peggio ancora, lo eliminano del tutto (come le teorie del
cybersesso, oppure la tragedia dei kamikazee, che negano la loro corporeità
in nome di un'idea).
Sui kamikazee Anna d'Elia si ferma a riflettere. Si chiede: che cosa dà
il via a un tale apice di cancellazione del proprio corpo?
Forse la fobia del nemico, la sua demonizzazione, la divisione mondiale
degli abitanti terrestri in popoli, etnie, razze...
L'autrice conclude raccontando di come lei sia attenta alle rappresentazioni
pubbliche dei corpi maschili, alla comunicazione e alle immagini usate
per diffondere l'ideologia dominante, e conclude che siamo tutti responsabili
di quanto viene detto. Inoltre sottolinea come il terrorismo sia facilitato
da questa politica di assenza o di neutralizzazione della corporeità.
In questo periodo il corpo sembra non avere appartenenze specifiche, ma
pare essere inglobato all'interno di una categoria astratta.
Anna d'Elia
conclude il suo intervento con un interrogativo: se si opponesse resistenza
a questa nuova e pericolosa politica di negazione della corporeità,
ci sarebbero delle ripercussioni positive sui conflitti mondiali?
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