Gennaio
2009 Appello
contro l'aumento dell'età pensionabile per le donne sottoscritto da donne
della sinistra L'innalzamento
dell'età pensionabile per le donne sarebbe una scelta profondamente ingiusta
nei confronti delle donne e regressiva per l'intera società. ?Inaccettabile
rispetto alla situazione esistente, inaccettabile rispetto al futuro che vogliamo
costruire. Ci opponiamo perché: 1. Tutto il dibattito pubblico
è viziato dall'occultamento voluto di un dato che, se fatto valere, avrebbe
determinato con ogni probabilità un esito diverso anche del contenzioso
con la Corte di Giustizia. Le donne nel nostro paese, infatti, non sono "costrette"
dalla normativa esistente a andare in pensione a 60 anni. Possono farlo se lo
scelgono. Secondo l'articolo 4 della legge 903/77, una legge che esiste da ben
31 anni "Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto
alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera
fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni
legislative". Non si può configurare dunque nessuna discriminazione,
ma solo una possibilità, un'opportunità positiva. Che le colpevoli
omissioni dei governi Berlusconi producano come esito, l'obbligo di andare in
pensione più tardi, questo sì, sarebbe punitivo e discriminatorio.
Che il ministro Brunetta rilasci interviste pubbliche che falsificano i dati di
realtà, questo sì, è politicamente e moralmente inaccettabile.
2. "Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti
uguali fra disuguali" diceva Don Milani. Questa considerazione tanto elementare
quanto decisiva, non serve per perpetuare l'esistente, come strumentalmente viene
sostenuto da molti. Serve all'opposto per obbligare a riconoscere le disuguaglianze
e a fare scelte che non le aggravino ma all'opposto operino positivamente per
rimuoverle. La vita delle donne nel nostro paese è gravemente segnata dal
persistente assetto patriarcale dello stato sociale. ?L'asimmetria tra i generi
è tra le più aspre su scala europea. ?L'Italia è penultima
in Europa per occupazione femminile, la precarietà colpisce in maniera
accentuata le donne, il differenziale retributivo medio rispetto agli uomini è
del 23%. Concorrono a questa situazione più motivi: l'inadeguatezza
e il sottofinanziamento complessivo dello stato sociale, insieme a un contesto
culturale e simbolico che, più che altrove, perpetua l'inferiorizzazione
delle donne dentro la tradizionale divisione di ruoli nella famiglia. L'ingresso
delle donne nel mondo del lavoro è avvenuto senza che la società
nel suo complesso abbia messo in discussione la divisione sessuata tra la sfera
della produzione e la sfera della riproduzione biologica, domestica e sociale.
?Senza che si sia operato dunque né per la necessaria redistribuzione del
lavoro, della responsabilità e del tempo della cura nè per l'altrettanto
necessario sviluppo della rete dei servizi. Le conseguenze sono pesantissime. Il
lavoro, il reddito, i percorsi contribuitivi delle donne restano accessori e supplementari.
Il 20% delle donne lascia il lavoro alla nascita di un figlio, il 60% nella fascia
di età tra i 35 e i 44 anni è costretta a ridursi l'orario di lavoro
per prendersi cura dei figli minori. Il 77% del lavoro domestico e di cura è
a carico delle donne. Una divisione di ruoli particolarmente rigida, rimasta pressoché
invariata negli ultimi vent'anni. Secondo l'Istat, il tempo dedicato dagli uomini
al lavoro familiare è cresciuto di 16 minuti in 14 anni. In questa situazione
l'innalzamento dell'età pensionabile, non farebbe altro che rendere ancora
più insostenibile la vita di tante donne. 3. A questa situazione
si può porre rimedio solo con la riqualificazione e l'espansione dello
stato sociale, portando la spesa sociale complessiva al livello della media europea
e con la ripresa di una stagione di lotte per i diritti, la libertà e l'autodeterminazione
delle donne, come fondamento di un diverso modello sociale più giusto e
solidale. Il governo Berlusconi dal suo insediamento ha messo in atto politiche
opposte, segnate dall'ulteriore erosione delle protezioni e dei diritti civili
e sociali, mercatiste e familiste al tempo stesso. ?Ha abolito la legge 188/2007
che eliminava la pratica dei licenziamenti mascherati da dimissioni e ha precarizzato
ulteriormente il lavoro. Ha tolto risorse ai centri antiviolenza. Ha eliminato
le misure di contrasto a evasione e elusione fiscale, la cui entità nel
nostro paese è la vera ragione del sottofinanziamento dello stato sociale.
Ha programmato per il triennio 2009-2011 tagli pesantissimi per la sanità,
per i comuni e le regioni, per l'istruzione. Ha tagliato il fondo per le politiche
sociali, abbandonato il disegno di legge sulla non autosufficienza e previsto
per il 2010 l'azzeramento del fondo relativo. Ha attaccato il lavoro pubblico. L'obiettivo
dichiarato nel Libro verde del ministro Sacconi è quello di privatizzare
sanità, assistenza, formazione. Quello stesso Libro verde in cui sta scritto
che si dovrà valutare "la necessità di promuovere un ulteriore
innalzamento dell'età di pensione" anche per gli uomini. E in cui
si chiede alla famiglia, cioè alle donne, di diventare un "soggetto
virtuoso". La volontà di aumentare l'età pensionabile per
le donne non è la conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia,
è parte integrante di un disegno sessista e classista, della volontà
di fare regredire gravemente la qualità della vita e delle relazioni di
donne e uomini, i livelli di civiltà guadagnati e ancora da guadagnare
dalla soggettività politica e dalle lotte delle donne. |