1) Genova per me
Le motivazioni
a partecipare a Genova le ho trovate soprattutto ascoltando e leggendo Naomy
Klein, Ebe De Bonafini e Vandana Shiva; e principalmente discutendone con Laura
Colombo e in Rete Civica con uomini e donne con cui sono in relazione.
All'inizio ero molto incerta se andare o no a Genova, come scrivevo nel pezzo
che abbiamo pubblicato sul sito. Sono sempre stata contraria ai teatrini adolescenziali
che spesso si vedono in manifestazione, alle garette falliche dove si mostrano
i muscoli e si deve vincere sull'avversario perche' senza nemici la forza svanisce.
Ho fatto maggiore chiarezza, anche rispetto al mio desiderio di andarci, quando
ho ascoltato Ebe De Bonafini, nel video sulle Madri de Plaza De Mayo. Ebe affermava
che per lei e le altre donne e' importante mettere il proprio corpo in piazza
perche' questo contribuisce a prendere consapevolezza rispetto al loro agire
in quella situazione politica, diversamente dai loro uomini che, occupati a
produrre documenti e a discutere di appartenenze partitiche, finiscono con il
sentirsi impotenti. Ebe De Bonafini sosteneva che ogni volta che arrivava in
quella piazza, luogo reale di corpi, sentiva un'emozione incredibile. Mi sono
resa conto che anche per me, in determinate circostanze politiche, vivere la
piazza puo' essere un'esperienza appassionante. Partecipare ad una manifestazione
di trecentomila persone da' gioia e forza. E' l'espressione del desiderio soggettivo
di esserci e della forza testarda di voler comunicare e di trasformare la realtà.
Per molte e molti l'effetto principale che ha fatto Genova è stato il riaccendersi di una passione politica, che da molto tempo era come sospesa.
Ricordo che in
Rete Civica era comune la sensazione di una rinascita di speranza nello scoprire,
dopo Seattle, Davos e Napoli, l'esistenza, la vastità, e l'articolazione del
movimento dei movimenti.
La straordinarietà dell'evento era data anche dall'ampiezza di questo movimento
che ha saputo coinvolgere, prima, durante e dopo Genova, migliaia di persone
in modo trasversale e orizzontale, con la partecipazione di persone non legate
alle forme tradizionali della politica come istituzione.
Vita Cosentino
scriveva, sul Manifesto del 14 agosto, che questo movimento ampio, variegato,
multicolore, composito, in cui non ci sono solo studenti, ma madri, anziani,
frati e suore, le piu' svariate associazioni, fa sperare che possa divenire
un soggetto capace di convincere l'intera società che un altro mondo e' possibile.
Questo movimento ha una vitalita' che puo' essere un polo attrattivo per molti
perche' propone di cambiare anche il modo di vivere quotidiano e rida' senso
alle relazioni sociali in cui viviamo.
Genova non e' stata quindi solo La Manifestazione, ma e' stato un momento di
riflessione, di scambio soprattutto con altre pratiche. Sono quindi convinta
che questo movimento non debba ridursi alla piazza, e che e' nella pratica quotidiana
delle varie associazioni, dei centri sociali, e gruppi vari che si modifica
il reale.
Faccio un esempio:
il venerdi' precedente la grande manifestazione del 21 luglio, io ed alcuni
ragazzi e ragazze delle Rete Civica di Milano, abbiamo passato buona parte della
serata a discutere su come organizzare una campagna di sensibilizzazione in
rete, per boicottare la DuPont, la multinazionale agrochimica presa di mira
dal movimento dei movimenti perche' accusata tra l'altro di bio-pirateria.
La DuPont ha messo il suo Logo sulla home page di RCM. Il nostro obiettivo attuale
e' quello di togliere il marchio della DuPont dalla Rete Civica senza creare
problemi economici alla rete stessa. Abbiamo cosi' trovato un'altra azienda
che si e' proposta come finanziatrice al posto della DuPont. Dopo Genova, per
iniziare la discussione pubblica, ho mandato un messaggio molto provocatorio
alla conferenza della DuPont interpellando il moderatore della conferenza stessa,
e chiedendo spiegazioni sull'operato della DuPont.
Il moderatore non ha reso pubblico in rete il mio messaggio e ha risposto solo
privatamente, adducendo generiche scuse riguardanti "problemi d'attualita'"
e poi ha chiuso definitivamente la conferenza della DuPont. In questa fase anche
alcuni uomini, che in Rete Civica hanno ruoli in qualche modo piu' istituzionali,
si sono resi conto che i messaggi generici, gli appelli, in cui non si sceglie
l'interlocutore, non funzionano, mentre la pratica di relazione si e' svelata
essere fondamentale.
La simpatia e la
passione che questo movimento ispirava ha dato ovviamente molto fastidio a coloro
che gestiscono la politica istituzionale, tanto da reprimere cosi violentemente
queste manifestazioni.
Nei confronti di un movimento caratterizzato da un consenso cosi' ampio, che
suscitava una simpatia vasta e quindi scomoda per il potere, era prevedibile
un certo tipo di repressione. Inoltre erano parecchi anni che in Italia le manifestazioni
avvenivano in maniera pacifica e quindi c'e' da scontare una certa ingenuità
nei partecipanti. Pero' non avrei mai pensato che si potesse arrivare ad uno
scontro come quello che poi effettivamente e' avvenuto.
Sono stati attacchi gratuiti e violenti che mettevano in pericolo la sicurezza
personale, il senso di se' nel mondo. Un'esperienza che mi ha angosciato e sbalordito,
perché e' come se mi fossi sentita costretta a rinunciare a vivere le mie città.
E' terribile avvertire che ti vogliono impedire di ritrovarti nei luoghi aperti,
fuori dal chiuso delle case, per dire cio' che pensi, come ben spiega Laura
Colombo.
Sicuramente Genova ha prodotto in me un grande cambiamento. Mi sono resa conto
che le esperienze in cui il proprio corpo ha un ruolo fondamentale sono molto
intense. Le sensazioni rimangono impresse nel corpo che ti insegna con modalita'
che vanno oltre la razionalita'. L'organizzarsi per andare in un'altra citta',
il camminare tutti insieme, migliaia e migliaia di uomini e donne che vanno
nella stessa direzione, con velocita', colori e parole diverse, e' un'esperienza
davvero emozionante.
2) Nodi sulla pratica politica
Genova, come anche
il mio viaggio in Palestina di qualche anno fa (lavorare nei territori occupati
con le maestre di queste scuole, aver vissuto nella striscia di gaza, per i
mercati, per i centri di aiuto alle donne…) sono state esperienze molto intense,
proprio perche' era in gioco il mio corpo, da cui si può trarre un sapere inaspettato.
Per questo capisco anche le scelte delle donne in nero che organizzano in continuazione
viaggi in Afganistan e in Pakistan.
Il forte senso di ingiustizia e di impotenza che ho provato ha creato degli
spostamenti e ha fatto emergere in me anche un senso di insoddisfazione e un
desiderio potente di ricercare modalita' efficaci per incidere nel mondo.
Dopo Genova mi
sono ritrovata in momenti di grande confusione, afasia- ancorche' fossi riuscita
in conferenza, come ho ricordato, ad agire la pratica di relazione esprimendo
cosi' il mio modo di partecipare al movimento. Quell'ambito e le potenzialita'
che in esso avevo giocate tutttavia mi e' parso troppo angusto. Dopo Genova
sentivo che avevo bisogno di parole intelligenti dalle donne che rappresentano
per me un punto di riferimento ma ero reattiva rispetto alle solite soluzioni
pacificatorie, che rimettono tutto nell'ordine precedente senza che gli avvenimenti
spostino nulla.
Desideravo attraversare il vuoto di risposte in cui mi trovavo ed ero in cerca
di parole incerte e relazionali, dove l'incertezza rappresentava per me un valore
aggiunto…
Ho fretta di cambiare
questo mondo e sento che mi manca qualcosa di essenziale per trasformarlo davvero
fino in fondo, perche' lo voglio trasformare ora, subito. Non voglio aspettare
la prossima ondata di femminismo. Avverto che a volte la nostra politica non
e' incisiva come vorrei contro questa politica capitalistica e militare. E questo
sentimento si e' ampliato con l'accellerazione del virilismo di questi ultimi
anni e che ha portato alle ultime guerre.
Avverto come necessaria la relazione con le donne che mi hanno insegnato, con
tanta intelligenza, l'importanza del partire da se' e la sua pratica quotidiana,
all'interno di relazioni duali, fondanti. Ma avverto l'urgenza che le esperienze
singole siano ricondotte ad un'azione collettiva di donne.
Il punto nodale quindi credo che sia questo mio desiderio di conciliare il bisogno
di relazione con il momento allargato….
Con questo non voglio dire che voglio appiattirmi sull'idea del gruppo, del collettivo, del movimento, pero' a volte sento il rischio che l'estraneita' rispetto alla politica istituzionale, rispetto all'ossessiva ripetizione di rituali virili che dissolve la politica nella guerra, possa portarci a cercare un rifugio, dove farci le coccole e rassicurarci.
Temo quindi che a volte la relazione duale si possa trasformare in coppia chiusa, dove il mondo con le sue contraddizioni non entra; dove la nostra pratica non viene messa in discussione, dove l'autorita' corre il rischio di rimanere incarnata...
Avverto la paura di percorrere strade anche in solitudine senza il consenso di chi ha già fatto per sé un pezzo di storia e ha già rischiato in proprio. Ma sento che devo prendere coraggio per correre dei rischi, per cercare anche altre strade.
Questo timore era avvertito anche da alcune ragazze che hanno scritto sull'ultimo numero di DWF, parlando della pratica politica di relazione con le donne piu' grandi. Come diceva anche una di queste mie coetanee, avverto la necessita' di un'assunzione di responsabilita' radicalmente sovvertitrice verso di noi e verso il mondo, qui e ora. Non posso aspettare una nuova ondata di femminismo.
Certo sento il dilemma su come andare in piazza, con quale pratica, visto che sulla nostra, quella di relazione, prevale quella di altri, e vorrei capire come conciliare la mia voglia di esserci con la mia pratica.
Come scriveva la
Picciolini sul Paese delle donne bisognerebbe trovare qualcosa di meglio da
contrapporre alla "sottrazione di sé al sistema del potere" e alla riproposizione
della distinzione fra politica "prima" e "seconda".
Ricordo le riflessioni di Oriella Savoldi, nello scritto in cui rifletteva con
le ragazze del centro sociale Magazzino 47 di Brescia e di Radio Onda d'Urto,
a proposito delle diversita' di linguaggio di queste ragazze. In effetti anch'io
credo che abbiamo bisogno di altre parole, altre riflessioni per incontrare
i soggetti di questo movimento e per aprire i conflitti che riteniamo irrinunciabili.
3) Contraddizioni del cosiddetto "movimento dei movimenti".
Avverto comunque il rischio che questi eventi, incastrati anch'essi nella grancassa mediatica che tutto fagocita, possano svuotarsi di senso. Per i media infatti esistono solo gli scontri armati, le macchine bruciate, le violenze e i Black Bloc. Allo stesso modo mi rendo conto che la manifestazione puo' rappresentare una risposta falsata al proprio desiderio di esserci, e che, come dice Luisa Muraro nel suo intervento a proposito di Genova sul sito della libreria, e' uno sbaglio dipendere dal sistema dei mass-media per la propria esistenza simbolica.
Pero' non posso non constatare che dopo ogni evento, da Seattle, a Davos, a Genova, nonostante i media abbiano parlato di questi momenti solo in termini di violenze, il movimento e' aumentato e ha preso consapevolezza: sempre piu' uomini e donne hanno cominciato a parlare di globalizzazione, a interrogarsi sulla direzione verso cui questa economia ci sta portando.
Moltissime donne
che non sono venute a Genova per paura, dopo l'uccisione di Giuliani, sono pero'
scese in piazza il lunedi' successivo, dopo aver ascoltato le testimonianze
di amici e parenti. In moltissime inoltre dopo Genova hanno preso la parola,
favorite anche dall'immediatezza di Internet. Sono girati centinaia di testimonianze
via e-mail, anche molto commoventi, che raccontavano la paura e la rabbia soprattutto
per le cariche della polizia o dei black block, ma anche l'entusiasmo di ritrovarsi
in cosi' tanti. Molte di queste testimonianze sono state raccolte in tantissimi
siti e mostrano la volonta' di raccontare la propria verita' al di la' delle
immagini restituite dai media.
(Per quanto riguarda i Black Bloc abbiamo riportato un intervento molto interessante,
che mi e' arrivato in mailbox, di una ragazza dei BB che racconta dubbi, perplessita'
e convinzioni che muovono la loro pratica politica, anche rispetto alle loro
azioni simboliche, al concetto di violenza, e alle loro pratiche anarchiche).
Sempre riguardo l'efficacia delle pratiche di questo movimento, volevo ricordare
che Naomy Klein in un bell'articolo sul Manifesto del 7 Ottobre, avverte che
il marketing delle aziende sta gradualmente assorbendo le immagini usate nelle
campagne contro il comportamento delle multinazionali nel mondo, con una impressionante
velocità di cooptazione dei nostri linguaggi da parte delle imprese globali.
E questa e' l'ennesima trappola in cui puo' cadere il movimento dei movimenti.
Come dicono Naomy Klein e altre, all'inizio poteva sembrare che l'anima vera
del movimento dei movimenti fosse data dalle donne, in quanto adottava le sue
modalità da quella pratica relazionale, orizzontale, che il movimento deve al
femminismo. Ora sento il timore che l'impronta femminil-femminista di questo
movimento possa sbiadire, come scrive Ida Diminjianni sul Manifesto del 31 Luglio,
perché dopo Genova prevalgono le esigenze di organizzare, gerarchizzare, istituzionalizzare,
mentre nella piazza si sono imposte le pratiche virili dello scontro frontale,
la misurazione delle forze, il trasformare i conflitti in rituali agonistici
con tutto il linguaggio che ne deriva: battersi con il nemico, invadere, violare,
penetrare…
Si rischia che questo movimento così significativo divenga irriducibilmente
maschile nei linguaggi, nelle pratiche, nell'analisi, nella lettura del mondo.
Per impedire che cio' avvenga credo che sia necessario aprire dei conflitti
con il movimento, perche' vorrei che la nostra politica segnasse significativamente
le vicende del movimento e che si determinasse un'iscrizione simbolica delle
donne anche nel processo di resistenza al capitalismo liberista.
Si sperava che il movimento sperimentasse forme di democrazia diretta, costituendo
media indipendenti, favorendo la partecipazione, sviluppando forme collettive
di accesso all'informazione, e cio' e' in parte successo anche grazie ad Internet,
pero' c'e' il rischio che questa rete abbia bisogno di figure istituzionali
che la rappresentino per interloquire con le istituzioni, con la nascita di
relativi coordinatori e portavoce, che sono rigorosamente tutti maschi…
Sono stata a Genova sia per la manifestazione sia, due settimane prima, all'incontro
punto G: Genere e Globalizzazione, organizzato dal Marea e dalle donne della
marcia; poi sono andata anche a qualche incontro per la nascita del nuovo Milano
social forum. Non sono andata perche' mi interessasse entrare a far parte ne'
del MSF, ne' del movimento delle donne del punto G. Pero' per aprire i conflitti
che ritengo necessari e' importante mettersi in ascolto e tentare di trovare
momenti in cui poter scovare spazi per interloquire con questi soggetti politici.
Devo ammettere che non so come provare, visto che spesso e' davvero difficile seguirli nelle loro modalità.
Tuttavia dalle
discussioni in Rete Civica sembra che nei gruppi di lavoro in cui si sono suddivisi
i vari social forum la situazione sia piu' fluida rispetto alle riunioni plenarie
di costituzione del milano social forum a cui ho assistito. Mi sembra che ci
si avvicini ad una politica piu' partecipata, anche dalle donne, e con caratteristiche
meno simili alla politica istituzionale. In altre città invece hanno scelto
di ritrovarsi prima fra donne. Cristina Papa del Paese delle Donne, che oggi
purtroppo non e' potuta venire, mi raccontava via e-mail che a Roma alcune donne
che sono state a Genova si vedono periodicamente tra di loro, perche' avvertono
che lo stare nelle riunioni del movimento dei movimenti le avrebbe portate ad
annullarvisi dentro. Loro usano quel luogo separato per darsi forza e questa
forza la portano nel Roma social forum esigendo un confronto.
Concordo comunque con Ida Dominijanni che scrive, sul Manifesto del 28 agosto,
che dobbiamo inventare nuove pratiche di spiazzamento del potere globale, e
abbiamo bisogno di creatività per essere imprevedibili, e non cadere nelle loro
scadenze e nelle loro modalità.
Io vorrei inventarmi altri modi di vivere questi momenti, questi spazi, senza
rinunciarci...
Questo e' il mio desiderio sproporzionato.