Proviamo sentimenti contrastanti rispetto alle due manifestazioni del 14 gennaio. Certamente ci riguardano entrambe ma, nello stesso tempo, avvertiamo una distanza che ci fa sentire, ancora una volta, “soggetti eccentrici” – come scrive Teresa De Lauretis – cioè in posizione laterale, fuori centro.
Perchè?
Siamo consapevoli della necessità di affermare il diritto di ogni donna all’autodeterminazione. Quello di ciascuno/a ha diritto alla libera espressione della propria affettività e ad essere tutelato/a dalla legge qualora scelga di dare una forma di riconoscimento istituzionale al proprio rapporto amoroso.
Parteciperemo a questo due iniziative anche per rendere visibili la nostra specificità e il nostro desiderio, criticando un sistema e una cultura che, avendo alla radice il principio dell’eterosessualità obbligatoria, sono inconciliabili con l’autonomia delle donne e stanno all’origine dell’omofobia così diffusa in tutti gli strati della società.
Nel movimento delle donne ancora una volta percepiamo una pericolosa semplificazione che fa dire: “Sempre di sessualità si tratta”, come se soggettività diverse fossero omologabili nello stesso calderone indifferenziato di sessualità deboli e asessuate. Come se gay, lesbiche, transgender e donne avessero in comune, alla fine, gli stessi obiettivi essendo una specie di “minoranze” da tutelare. Minoranze, quindi, e non soggetti di pari valore, fondanti e portatori di una ricchezza che deve poter essere determinante per la società in cui viviamo.
In questo orizzonte culturale “maschile” e “femminile” sono assunti come categorie ontologiche e non come prodotti sociali. Ogni diversità quindi diventa, paradossalmente, solo dialettica o complementare all’unico centro fondante: lo sguardo dell’uomo.
Per noi lesbiche emerge allora l’inquietante sensazione di tornare ad essere invisibili nel “riemerso” movimento delle donne, la cui priorità – la difesa della 194 – potrebbe non riguardarci nei suoi effetti squisitamente pratici.
L’attacco a questa legge, invece, ha a che fare con il nostro vivere quotidiano perché è un tentativo di riaffermare il controllo sul corpo delle donne e sul loro desiderio. Per una lesbica sarà ancora più difficile vivere liberamente la propria sessualità in una cultura che cancella i corpi e le soggettività e pretende di legiferare in nome di astratte verità universali.
E’ evidente che il patriarcato, per niente morto, non sopporta l’autonomia affettiva delle donne, sia nel momento in cui decidono di sottrarsi ad una gravidanza indesiderata, sia quando vivono una sessualità non prevista come quella lesbica.
Avvertiamo un rischio di semplificazione anche nella comunità gay e lesbica quando promuove una manifestazione che sembra avere come unico scopo il riconoscimento giuridico della coppia – in un momento strategicamente importante per la vicina scadenza elettorale.
Il movimento omosessuale ha forse perso la sua carica eversiva nel desiderio di “normalizzazione”?
E’ giusto rivendicare la legittimazione sociale per sessualità diverse e i pieni diritti di cittadinanza
per gli omosessuali. Ma è necessario anche affermare la singolarità del desiderio e dell’espressione di sé nel momento in cui si chiedono istituti e ordinamenti sociali (famiglia, matrimonio…) che di fatto pretendono di regolamentarli.
Parteciperemo dunque alla manifestazione di Milano ma ci piacerebbe che ogni donna sentisse la stessa necessità di reagire quando a una lesbica è negato il diritto a vivere liberamente la sua sessualità e affettività.
E saremo anche alla manifestazione di Roma, sostenendo la necessità di ritornare a riflettere insieme su quale tipo di relazioni, sia amorose che sociali, vogliamo per le nostre vite e per il nostro paese.
Perché un altro mondo è possibile e noi vogliamo contribuire a realizzarlo.
Gruppo “Soggettività Lesbica” – Libera Università delle Donne di Milano – gruppogsl@yahoo.it