Franca Fortunato
Ho letto con interesse quanto scritto da lei professore sul Quotidiano del 25.06.2009 a proposito degli esami di maturità. Vi ho trovato innanzitutto i miei esami che anch’io, come lei, ho sostenuto al liceo “Morelli” di Vibo Valentia nel 1969 (ero nella sezione C), l’anno della prima riforma degli esami. Eravamo in pieno ’68 e io da studentessa non ne capivo molto, ma sentivo che qualcosa di importante stava accadendo nella mia vita e in quella di tante ragazze come me. Eravamo la prima generazione di donne che in massa siamo entrate nella scuola, autorizzate dalle nostre madri che, non avendo potuto studiare, avevano voluto con forza che lo facessimo noi, per renderci indipendenti e padrone della nostra vita. Quegli anni li ricordo come anni di grandi discussioni, di lotte, manifestazioni e cortei per le strade della città al grido “ateneo” e “antiautoritarismo”. Certo, professore, converrà con me che il ’68, al di là delle superficiali liquidazioni da parte di chi nulla sa e nulla vuole sapere di quegli anni, fu un grande movimento creativo e ha toccato l’intera vita sociale, non solo la scuola. Mi chiedo e le chiedo, che rapporto esiste fra quel tempo e oggi? La continuità – come scrive Luisa Muraro in “Buone notizie dalla scuola”- riguarda la presa di coscienza e di parola, soprattutto di persone giovani e di classi popolari, quasi la conclusione della fine del patriarcato nei rapporti fra le generazioni e fra le classi. Fra i sessi era vicina ma ancora da venire. Nel Sessantotto si è lottato nella scuola per salvare, tenere vivo e liberare il desiderio d’imparare, mentre, da anni, molte di noi lottiamo per tenere in vita l’antico desiderio di insegnare, messo in discussione, non dal mancato riconoscimento del merito, ma dal processo di ristrutturazione del sistema scolastico, che va sotto il nome di autonomia aziendale e mercificazione del sapere. Oggi si tratta di salvare la relazione docente e la competenza simbolica delle/i insegnanti fino a ieri tacitamente ammessa, per esempio con il sacro principio della libertà didattica. Si tratta di ripensare il senso, la qualità, l’essenza del mestiere di insegnante. E qui vi è una grande contraddizione. Se è vero, come è vero, che questo mestiere è fatto e scelto da molte più donne che uomini, a voler pensare la scuola, invece, in questi anni, sono stati uomini per i quali l’organizzazione gerarchica, il merito, gli incentivi sono gli strumenti per migliorare i risultati del sistema. Ma non è così. Nella scuola, professore, – come scrive la filosofa spagnola Marìa Milagros e come mi dice la mia esperienza di docente – le donne vi hanno portato un metodo che ha prodotto un taglio rispetto a quelli tradizionali. Si tratta dell’insegnare guidate/i dall'”intelletto d’amore”, espressione delle mistiche medievali e di Dante Alighieri, un modo di conoscere, una rivoluzione epistemologica perché l’altra/o non sono ridotti né a oggetti né a opposti ma costituiscono il termine di una relazione viva. C’è una scuola modificata dalla presenza delle donne, sia come insegnanti sia come allieve, le quali creano l’amore, creazione spirituale come l’arte, come la scienza. La femminilizzazione dell’insegnamento, professore, è un di più, che “sta facendo della scuola uno dei luoghi di incontro e convivenza dove sono possibili le relazioni creatrici di cultura e civiltà”, le insegnanti sono diventate “signore del gioco” nell’aula e le alunne, più degli alunni, oggi danno scopi propri agli studi obbligatori. Questa è la buona scuola, messa in discussione e in pericolo, come sta avvenendo con la scuola elementare. Anche i programmi tante di noi abbiamo cambiato alla luce della differenza sessuale e sarebbe ora venissero recepiti anche dai programmi ministeriali. Le faccio solo un esempio. Il libro di storia – come scrive Milagros – rappresenta, ancora, una minaccia per le giovani perché “non è l’amore ciò che rende visibile, dovuto tra altre ragioni, all’assenza delle donne e delle loro creazioni, le quali non possono essere presenti nelle grandi gesta di guerra che finora sono state l’asse della narrazione storica”. Oggi esistono libri scritti da donne in cui si può leggere una storia a partire dalle relazioni e dall’amore. Insomma, non credo che il merito sia la questione da impugnare nella scuola, ma il suo senso, perché ne va del piacere di insegnare e di imparare e della civiltà di tutta una società. Ma chi è disponibile a riflettere su tutto questo? Molte/i preferiscono le scorciatoie, i cinque in condotta, le bocciature, le punizioni, quasi ad alzare barriere difensive. E lei?