Hegel Il filosofo immaginava che un certo tipo di famiglia fosse necessario allo svolgimento della Storia. Prospettive Nei nostri tempi la famiglia potrebbe diventare un luogo di apprendimento della convivenza multiculturale.
Luce Irigaray
In questo momento sto rileggendo il capitolo della Fenomenologia dello Spirito in cui Hegel tratta della famiglia. E sono sorpresa dal numero di parole o preoccupazioni attorno a me che toccano, da un lato o dall´altro, l´argomento. Talvolta è difficile sottrarmi alla domanda se ciò accada per caso o per qualche fenomeno telepatico. A meno che una razionalità più alta sia qui all´opera: quella della Storia. Per oggi, mi fermerò a questa ipotesi ma, forse, per togliere alla Storia il potere che Hegel le affidava in quanto dipendente da una certa concezione della famiglia.
Non c´è dubbio che un certo tipo di famiglia era necessario allo svolgimento della Storia come lo pensava Hegel. Ma questo modello storico è ormai in crisi, prima di tutto a livello della cellula di base della comunità, ma non solo. Ora attraverso il fallimento dell´organizzazione familiare tradizionale è la stessa Storia che è chiamata in causa come luogo di sviluppo dell´umanità. E non sono le diverse strategie parziali usate per tentare di ristabilire l´ordine familiare più in grado di restaurare l´unità della famiglia. Penso, per esempio, all´accento posto oggi sulla procreazione, sulla necessità di un ambito familiare rassicurante, o su un necessario ritorno a una moralità più rigorosa. Ma nessun naturalismo, affettività semplice o moralismo può ristabilire l´unità familiare com´era. E le famiglie allargate, le diverse famiglie politiche o religiose non possono nemmeno sostituire questa cellula familiare dove la legge umana e la legge divina erano allo stesso tempo divise fra l´uomo e la donna e riunite tramite il culto dei morti, come scriveva Hegel. Questo momento della Storia è dietro di noi.
E non c´è da rimpiangerlo. Né da pensare che con questo l´umanità stia svanendo. Una tappa del suo divenire è, speriamo, finita; un capitolo della storia patriarcale sta, me lo auguro, scomparendo, quali che siano le regressioni o i sussulti che osserviamo. In tale epoca, la famiglia non era fondata su un legame di desiderio e di amore reciproci ma corrispondeva a un tutto poco differenziato unificato attraverso la procreazione, la genealogia o filiazione, l´autorità paterna e il possesso di beni. In simile unità familiare, la persona alienava la sua singolarità a beneficio di una naturalità non coltivata sottoposta al potere dello Stato e alla trasmissione e acquisizione di un patrimonio, materiale e culturale. Solo il pater familias godeva di diritti civili in quanto faceva da ponte fra la famiglia e lo Stato. La donna e i figli rimanevano in qualche modo degli schiavi perché sprovvisti di diritti civili propri. L´origine della parola “famiglia” d´altronde è il termine latino famulus che significa: servitore, servo.
Di una simile concezione della famiglia molti non ne vogliono più sapere. Le donne, per prime, che rifiutano di essere ridotte a una semplice terra riproduttrice, che rivendicano il diritto alla parola, al desiderio, alla libertà, all´anima si potrebbe dire. Le donne che vogliono co-creare con l´uomo attraverso una condivisione di corpo e di parola e non solo accogliere passivamente il seme corporale o spirituale dell´uomo. I figli, poi, che criticano l´autorità dei genitori, le regole e norme patriarcali e che, tutt´al più, accettano i genitori come amici e confidenti.
Si può parlare anche dell´evoluzione del rapporto con il patrimonio e dei legami sociali che chiama in causa il ruolo del denaro ma anche del famulus, in un senso attuale del capitalismo, come sostegno dell´unità familiare. E pure del multiculturalismo che sfida la famiglia come luogo di alleanza tra proprietà, nomi, culture, diritti già complici, che disturba un´intimità costruita fra medesimi a partire da abitudini e costumi ereditati da antenati.
Si può capire che la famiglia occidentale ormai esploda. Una volta di più non vale la pena di lamentarsi per ciò, ma non possiamo fermarci a subire le conseguenze di questa esplosione e frammentazione: i conflitti fra uomini e donne e fra legge civile e religiosa, il peso paralizzante di una Storia che non si muove più, le prerogative dei morti rispetto ai vivi spesso senza che un culto gli sia reso, salvo che attraverso la vendetta, la disperazione dei figli in cerca di aiuto nella droga, nel viaggio senza fine, nel godimento senza felicità. Si tratta di superare un´epoca della Storia di cui la famiglia tradizionale era il nucleo e il sostegno per proseguire il divenire dell´umanità.
Non possiamo regredire alla naturalità dell´istinto riscattato dalla procreazione. Dobbiamo sviluppare un´altra relazione con il desiderio, una coltivazione della carne come possibilità di amarci senza sottomissione dell´uno all´altro. C´è da stupirsi che la religione dell´incarnazione, che ha dominato lo sviluppo della nostra tradizione, non si sia preoccupata di una cultura della carne tranne che nell´arte. La famiglia, se la chiamiamo ancora così, potrebbe rappresentare un luogo e un tempo dedicati alla coltivazione e alla condivisione della carne, di cui la procreazione sarebbe il frutto ma non il riscatto, l´alibi e perfino l´ostacolo. Un altro errore della famiglia tradizionale è di avere privilegiato la genealogia a scapito del genere, cioè di avere usato la parola greca genos solo per esprimere la generazione.
Nei nostri tempi, la “famiglia” potrebbe anche essere un luogo di apprendimento della convivenza multiculturale piuttosto che di integrazione dello straniero nella nostra Storia passata.
A parer mio, la famiglia come era non è da restaurare, nemmeno da perpetuare attraverso i suoi diversi surrogati. La famiglia è da rifondare non come luogo di sopravvivenza o di riproduzione ma come luogo dove una Storia ancora viva si muove verso un compimento più umano e divino grazie al lavoro del desiderio e dell´amore di quelli che tentano di condividere corpi e anime per la creazione di una nuova umanità.