di Franca Fortunato
Nell’ascoltare il racconto di Anna Maria Scarfò alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, ho sentito un grande dolore e una grande gioia. Dolore per quella violenza sul suo corpo e per una comunità di donne che non ha saputo o voluto aiutarla. Gioia perché, paradossalmente, quella violenza l’ha resa inviolabile nel cuore e nella mente, dandole la consapevolezza della sua grandezza e della miseria di chi ha abusato di lei, convinto della propria impunità perché uomo, detentore di un “diritto predatorio naturale”. Alle donne che hanno partecipato alla manifestazione, contro quella che hanno definito “gogna mediatica”, dico di voler prendere sul serio le loro parole quando hanno affermato di non voler “chiudere gli occhi di fronte ai problemi che ci sono stati e che ci sono”, ma al contrario di voler “rivedere nella giusta luce, un problema complesso nelle sue tante sfaccettature”. Parole a cui devono seguire, se sincere, comportamenti e atti concreti come il chiedere scusa ad Anna Maria per non aver saputo aiutarla e starle vicina, condannare e non stigmatizzare gli stupratori, a maggior ragione se mariti, figli, fratelli, amici o conoscenti, prendere coscienza che il problema della violenza sul corpo delle donne è nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nell’immaginario sessuale che gli uomini hanno costruito sul loro corpo e sulla loro sessualità. Non ci si nasconda dietro all’appartenenza alla comunità, ma ci si apra alla riflessione, alla discussione e al conflitto, perché tocca agli uomini mettere in discussione un sistema di valori, un modello di relazioni e di mascolinità, che hanno ridotto la sessualità maschile alla dimensione del consumo e del dominio. Il problema della violenza maschile sulle donne non è un problema di Taurianova o della Calabria da cui difendersi, riguarda tutte le zone del nostro paese, la provincia come le grandi città, tutte le classi sociali e i livelli d’istruzione. Un uomo che, insieme ad altri, da anni lavora su se stesso per rendersi libero dal modello di mascolinità tradizionale e dare un senso “altro” al suo essere uomo, Stefano Ciccone, nel suo libro “Essere maschi- tra potere e libertà” così scrive: “Lo stupro ci parla della rimozione della soggettività femminile e di un arbitrio maschile che si impone con la violenza; al tempo stesso apre uno squarcio su un immaginario che rappresenta un corpo maschile come strumento di violazione da imporre con la forza e una sessualità maschile disgiunta dalla relazione, un piacere ridotto a consumo, (…) una sessualità scissa dai sentimenti e dalle relazioni, un desiderio maschile ridotto a “bassi istinti”, e lo stesso corpo che diventa “basso”, sporco, da imporre con la violenza o con il denaro. Se guardiamo al significato simbolico, ai modelli relazionali e all’immaginario, lo stupro è solo l’estrema forma di violenza in uno scenario di relazioni tra i sessi in cui gli uomini ricorrono alle molestie e ai ricatti sessuali sul lavoro, all’arbitrio e all’abuso del potere per imporre alle donne o per ottenere da loro un rapporto sessuale. Uomini politici, imprenditori, impresari cinematografici che impongono o scambiano rapporti sessuali per concedere opportunità di lavoro o di carriera, esprimono un disprezzo per le donne ridotte a oggetti di consumo, ma anche per il proprio corpo e per il proprio desiderio, agiti in un deserto relazionale, che necessitano della mediazione del potere come mezzo di scambio. Costringere una donna a un rapporto sessuale, comprare sesso lungo un viale di periferia, vivere la sessualità come per sua natura predatoria e come portato di un bisogno fisiologico “basso”, è segno di una desolante miseria. Non basta che gli uomini dicano che sono contro la violenza, non basta stigmatizzarla, ridurre in una prospettiva di civilizzazione dei costumi quella che invece è una domanda di senso sulle relazioni tra le persone e degli uomini con se stessi. Riuscire a leggere la miseria che ne emerge e proporre a noi e agli altri uomini un’altra vita, un’altra qualità possibile delle relazioni e della sessualità è il modo per uscire dalla violenza”. È di questo che bisogna parlare e, prima di tutto, lo devono fare gli uomini.