25 Settembre 2003
il manifesto

«Basta esecuzioni mirate»

Appello di 26 piloti israeliani e un generale «refusniks». Sharon: «Barghuti resta in carcere»
Michele Giorgio

La notizia era stata annunciata, ma gli stessi refuseniks dell’esercito aspettavano dubbiosi. Ieri sera l’annuncio davvero esplosivo peril governo di Ariel Sharon e per l’opinione pubblica israeliana che ha ascoltato il comunicato dato dalla tv Canale 2. Dopo un incontro con il capo dell’aviazione militare, generale Dan Halutz, 27 piloti della riserva hanno formalmente reso noto di non essere disposti ad eseguire in futuro «esecuzioni mirate» di militanti palestinesi nei Territori. Tra loro c’è anche il generale Yiftah Spector, che è stato comandante di squadriglia nella guerra del `73. «Noi, piloti di notevole anzianità e tuttora attivi, ci rifiutiamo di compiere attacchi illegali ed immorali, come quelli che Israele conduce nei Territori». Negli ultimi due mesi Israele ha intensificato, specialmente nella striscia di Gaza, gli attacchi mirati contro dirigenti di Hamas, al punto di far fallire dopo un attacco al campo profughi di Hebron, la difficile tregua in corso. In alcuni casi di razzi hanno mancato il bersaglio e hanno ucciso passanti innocenti, come nel caso dell’assassinio mancato di Rantisi e dello sceicco Yassin. I piloti aggiungono di rifiutarsi inoltre di condurre con i propri velivoli le truppe di terra «entro i territori occupati». Ora l’iniziativa dei piloti va ad affiancarsi alla protesta degli oltre 500 riservisti delle unità di terra che da oltre un anno si rifiutano di fungere da «aguzzini» del popolo palestinese. Durissima la reazione dello stato maggiore israeliano. Il capo dell’aviazione Halutz ha dichiarato subito che i piloti «verranno giudicati per il loro rifiuto di eseguire gli ordini», aggiungendo che «si tratta soltanto di 27 su migliaia di piloti e non c’è nessun altro esrcito umano come il nostro», per concludere minaccioso contro tutti i refuseniks che il rifiuto di eseguire gli ordini «è la madre di tutti i pericoli per il nostro popolo». E nei territori palestinesi occupati la tensione resta molto alta. In una intervista a Maariv, il premier israeliano Ariel Sharon ha affermato che il leader dell’Intifada palestinese, Marwan Barghuti, non sará incluso nello scambio di prigionieri fra Israele e i guerriglieri Hezbollah che dovrebbe realizzarsi tra qualche giorno. «Barghuti non può essere una delle condizioni di questo accordo. Barghuti è responsabile di uccisioni, e deve stare in carcere», ha detto. L’accordo secondo la stampa israeliana e palestinese é giá pronto e deve essere approvato dai leader delle due parti. Israele libererà centinaia di detenuti libanesi, palestinesi, giordani e siriani in cambio della liberazione di un israeliano prigioniero degli Hezbollah e della restituzione dei corpi di tre militari. Barghuti é senza dubbio parte della trattativa, anche se Sharon lo nega. Il suo ritorno a casa peró é incerto, anche perché Israele vorrebbe esiliare i prigionieri palestinesi inseriti nella lista presentata da Hezbollah. Non ha fatto riferimento alla probabile scarcerazione di decine di prigionieri di Hamas lo sceicco Ahmed Yassin, fondatore del movimento islamico palestinese. Ieri Yassin ha escluso categoricamente che Hamas possa accettare una nuova tregua con Israele e ribadito che la lotta armata andrá avanti fino al termine dell’occupazione israeliana, affermando anche che Hamas non fará parte del nuovo governo palestinese del premier Abu Ala. «Non entreremo in un governo che nasce sotto l’occupazione israeliana».

 

Ieri all’alba si sono vissute ore di terrore alla periferia di Rafah (Gaza). Un ragazzo, Mohammed Hamdan, 15 anni, é stato ucciso dai soldati israeliani. Secondo i testimoni il ragazzo è stato colpito mortalmente da una scheggia di un colpo di cannone in in rastrellamento israeliano nel quartiere di Yebna. Altri 11 palestinesi sono rimasti feriti, mentre almeno tre abitazioni sono state distrutte. A Rafah dall’inizio dell’Intifada, tre anni fa, l’esercito israeliano ha demolito circa 800 case, quasi tutte nel campo profughi a ridosso della barriera di metallo e cemento armato che delinea la «zona cuscinetto» creata da Israele a protezione delle sue colonie a sud di Gaza e lungo il confine con l’Egitto. Intanto le misure contro il movimento islamico Hamas chieste con forza dagli Stati Uniti, provocano tensione nei paesi arabi alleati di Washington. Gli islamisti giordani chiedono le dimissioni del governatore della Banca Centrale di Amman a causa dell’oscura vicenda dei sei conti bancari di Hamas in Giordania, prima congelati e poi scongelati nel giro di 24 ore, 10 giorni fa. Un alto funzionario colpevole di troppo zelo ha trasformato una circolare di routine, inviata alle banche ogni sei mesi dal 1999, in una notizia da prima pagina, riferendo che alle banche commerciali era stato chiesto di individuare e congelare i conti di individui legati ad Hamas. Non pochi hanno colto un legame con la decisione dell’Ue di dichiarare Hamas «organizzazione terroristica». Re Abdallah era negli Usa quando la notizia lo ha raggiunto. George Bush gli ha subito chiesto di congelare i sei conti mettendo in forte imbarazzo il sovrano hashemita. Il Fronte di Azione Islamico (il maggiore partito politico giordano), ha ribadito che Hamas è un legittimo movimento di liberazione nazionale e ha chiesto le dimissioni del governatore della Banca centrale. Eguali le proteste per le indagini aperte di recente in Libano sui fondi depositati in banche del paese da esponenti di Hamas.

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