Laura Modini
2009, marzo, martedì ore 23.
Sono stata al cinema con delle amiche e faccio ritorno a casa.
Parcheggio la macchina davanti al portone perché ho il posto riservato per invalidi. Spengo il motore, raccolgo lo zaino e con la solita fatica di sempre esco dalla macchina. Prendo le due stampelle, inforco lo zaino sulle spalle e chiudo la portiera della macchina. Come sempre metto le chiavi nella tasca della giacca e posiziono le stampelle alle braccia per camminare. All’improvviso per istinto giro la testa e vedo un ragazzino. Mi volto completamente e lo guardo interrogativa. Lui ricambia lo sguardo sorpreso.
“Cosa vuoi?” dico.
Un attimo di incertezza e poi con titubanza lui mi chiede: “Dove è la fermata della metropolitana?”
“Lì davanti a te”, rispondo, guardandolo poco convinta, qualcosa non quadra.
D’istinto metto la mano in tasca, cerco le chiavi ma non le trovo. Controllo lo zaino se è chiuso. Tutto nel giro di pochi secondi e il ragazzino è davanti a me. Mi guarda poi si sposta sul marciapiede e fa per andarsene.
Ho capito, mi ha preso le chiavi! Lo fermo e subito gli dico: “Hai preso le chiavi?”
“Io, no!” E alla chetichella se la sta svignando.
Tutto è chiaro, appena fossi salita in casa mi avrebbe preso la macchina, la mia macchina… le mie gambe.
Non posso permettere questo, per me sarebbe un grosso disastro: nella mente si affacciano tutti i problemi che ne derivebbero: impossibilità di movimento, denuncia, attesa, una macchina nuova, soldi…
Ormai il ragazzino se l’è svignata, non lo vedo più. Rimango lì impalata davanti alla macchina, a fianco del portone di casa e sulla strada qualche passante frettoloso, del resto sono le 23.30.
Cosa faccio: chiedo aiuto? Sì, ma nessuno mi ridarà la macchina, la sola cosa che conta per me.
Non so decidermi. Se ora andassi via, domattina non troverei certo la macchina!
Sono bloccata e non so decidermi a salire.
Passa così una mezz’ora. Ormai stanca, stremata ma ancora non domata, non voglio mollare, non posso!
Un chiacchiericcio mi fa alzare gli occhi: dall’altro lato della strada due giovani uomini e quel ragazzino chiacchierano animatamente a voce alta.
Lo chiamo, li chiamo. Stranamente attraversano la strada e tranquillamente vengono verso di me. Certo, io non faccio paura: due stampelle, in piedi con grande difficoltà, facilmente da mettere a KO.
La mia mente lavora e butto lì una proposta: “Tu hai le chiavi della macchina e io senza la macchina non posso muovermi. Ne ho bisogno, vedete, non posso camminare. Cosa volete? Soldi? Va bene, se mi restituite le chiavi vi do dei soldi”.
Il capo dei tre dice sorridendo: “Quanto mi dai?”
In me è tutto chiaro, posso contrattare.
Rispondo: “Quello che ho nel portafoglio.”
“Quanto hai?”
“Non lo so, 30, 50 euro, non lo so.”
“Va bene, fammi vedere.”
Apro lo zaino, prendo il portafoglio e davanti a loro lo apro e tiro fuori tutto quello che c’è, non vedo neanche quanto, ma loro sì, hanno visto una banconota da 50 euro e altre da 20 e 10. Sorridono tutti contenti.
Passo i soldi al capo e allungo la mano in attesa della chiave.
Il ragazzino nicchia, non vuole mollare il trofeo.
Mi sto disperando. Ma, a questo punto il capo alzando la voce lo redarguisce duramente nella loro lingua e gli ordina di darmi la chiave.
Finalmente vedo apparire nella mano del ragazzino la mia benedetta chiave che viene posata con rabbia nella mia.
Chiudo la mano a pugno e li guardo tutti e un sentimento sale da tutta la mia stanchezza, una grande tristezza e dico due o tre volte: “Guardate che state facendo del male solo a voi stessi, non a me”.
Loro invece mi guardano soddisfatti e mi girano le spalle attraversando la strada.
Io, serena, stanca, sorpresa di come sono andate le cose, entro finalmente nel portone.
Sono le 24.