Luisa Muraro
Stiamo assistendo ad una pantomima di politici, intellettuali ed ecclesiastici, intorno alla legge che ha legalizzato l’aborto in Italia.
Alcune donne cominciano a reagire, in parlamento, sui giornali e in altre sedi. Un’assemblea autoconvocata, donne e uomini, alla Camera del lavoro di Milano, ha indetto una manifestazione nazionale per il 14 gennaio, a Milano. Ma occorre capire meglio il significato di quelle strane manovre maschili. C’è bisogno di pensiero, Quello che dirò viene da una riflessione che sto facendo con donne della Libreria e altre, uomini non esclusi.
È piuttosto evidente che c’entrano le elezioni politiche, ma non è l’essenziale. Le elezioni sono vicine e il centrodestra avrà pensato di allearsi con “i preti”, cioè con vescovi e parroci di cui si sa che insegnano e predicano che l’aborto è un peccato molto grave (non proprio un omicido, come qualche volta si sente dire, ma quasi). Niente di molto nuovo, certo, ma rispetto al passato c’è una novità. Ancora pochi mesi fa, arrivavano attacchi ai politici “abortisti” (chi erano? probabilmente quelli del centrosinistra, Prodi in testa, che non intendono modificare la 194). Gli attacchi di questo tipo sono cessati. In passato dicevano: bisogna abrogare o quanto meno “migliorare” la legge 194, adesso non più. Come mai? Credo che si siano resi conto che la legge 194 non è una legge abortista. Da qui un cambiamento di rotta: bisogna applicare “meglio” la legge, facciamo una commissione d’inchiesta, ecc. Quest’impostazione ha ricevuto l’assenso del Vaticano, così com’è successo per la difesa della legge 40 sulla procreazione assistita, contro i referendum, sebbene anche questa sia una legge che non rispecchia la morale cattolica. Da parte cattolica si sono giustificati per queste scelte con il principio del minor male, ma non mi convince perché lo stesso principio non è stato applicato all’uso del preservativo contro l’epidemia dell’AIDS. Dunque, si tratta di scelte politiche.
A questo punto vorrei inserire una nota. Fra noi molte s’indignano perché “i preti” fanno politica, io no, la politica è un’espressione della propria presenza nel mondo e non si può proibirla a nessuno. C’è da indignarsi solo quando negano di fare politica, perché questo è falso. Se non sei d’accordo con la loro politica, entra nel merito e combatti.
Per combattere bene, una buona regola è di non fare d’ogni erba un fascio. Voglio dire: non confondiamo le recenti manovre dei politici con la posizione dei cattolici sull’aborto. Quest’ultima rientra in una dottrina morale che ha una sua dignità e, purché non pretenda d’imporsi con una legge penale, va ascoltata. Le manovre dei politici sono operazioni contingenti e in buona parte strumentali. Per esempio, i parlamentari che hanno richiesto la commissione d’indagine sulla 194, poi ridimensionata in indagine conoscitiva, pare che non avessero mai letto i rapporti annuali del ministero della Sanità in proposito. Va detto che fra questi ultimi, contingenti e strumentali, ci sono anche uomini di Chiesa, moralmente neutri come sono gli uomini di potere.
Tutto questo significa che, passate le elezioni, dell’agitazione presente non resterà più nulla? Non credo, perché in gioco c’è dell’altro. Dietro alla pantomima intorno alla 194 e a questioni come i Pacs, l’omosessualità, le tecnologie della riproduzione, è riconoscibile il tentativo di alcuni, non ancora un movimento, a sviluppare una proposta culturale che prenda il posto lasciato vuoto dalla fine del comunismo e che ne elimini ogni possibile eredità. Si voltano dalla parte del cattolicesimo, perché la destra, in Italia, non ha una vera tradizione culturale, mentre la Chiesa indubbiamente ce l’ha, grande e variamente orientabile, non di rado a destra, oltre al fatto che le tematiche religiose servono a rivestire la miseria simbolica del liberismo. Forse, si sta formando un blocco ideologico di destra esteso anche ad una parte della Chiesa cattolica. Da questo punto di vista il racconto di Rosetta Stella, La nostra inviata speciale in Laterano, è istruttivo, compresa la sua vivace reazione che appartiene sì al temperamento di lei ma non è esagerata, lucidamente parlando. Quello che lei ha visto ed ascoltato, è molto grave per una che ha a cuore la cultura religiosa. Non c’è dubbio che la cultura religiosa esca danneggiata dal tentativo dei cosiddetti teo-con, sebbene molte non si accorgano di questo fatto, perché della cultura religiosa poco sapevano e poco si curano.
Spiegherò perché io, invece, ci tengo. La nostra civiltà, con tutto quello che ha di buono, si è sviluppata secondo una razionalità di tipo scientista ed economicistico che chiude l’orizzonte dell’umano dentro i confini dell’egoismo e del materialismo. La cultura di sinistra ha portato dei correttivi nell’interesse della giustizia sociale e della pace, ma non ha aperto l’orizzonte. Che l’apertura di quell’orizzonte avvenga ad opera di una cultura di destra, la considero una catastrofe perché, oltre a calpestare le esigenze della giustizia sociale e della pace, mette fuori gioco la libertà femminile che sola, a mio giudizio, può operare quell’apertura senza esiti reazionari. Questo l’ho intuito leggendo le scrittrici mistiche, poi ci ho lavorato con la ricerca personale e con altre, come Rosetta Stella, come Romana Guarnieri, come Adriana Sbrogiò e la sua associazione.
Questa prospettiva, che affida alla libertà femminile la capacità di orientarci nella realtà che cambia, vale anche per le discussioni intorno alla legge 194. Alcuni dicono: sommato tutto, ha dato buona prova di sé, oltre ad essere una legge che ha passato vittoriosamente la prova di un referendum (un vero referendum, non boicottato con l’assenteismo come invece è successo con i recenti referendum sulla legge 40). Non tocchiamola, dicono perciò.
Pensiamo che sia veramente necessario chiudersi sulla difensiva? Io non lo penso, non da parte nostra che abbiamo guadagnato, con la libertà, un orientamento positivo verso qualcosa di meglio.
Il nodo problematico, al di là degli attacchi pretestuosi e delle risposte reattive, è costituito dal fatto che la 194 è il frutto di un compromesso (cosa che in politica spesso è necessaria) fra i democristiani e le forze laiche progressiste di quegli anni. Il testo ne risente. C’erano istanze irrinunciabili, quella del rispetto della vita umana, in primo luogo, e quella di accordare la salute e la libertà della donna con la vita nascente dentro di lei, che sono state formulate con difficoltà. Si è cercato di rimediare con il linguaggio dei diritti, oggi inflazionato, con esiti non buoni perché si finisce per opporre quello che nella vita reale è solidale, esiti per altro criticati dai giuristi.
A suo tempo, alcune di noi hanno lavorato sull’ipotesi della semplice depenalizzazione dell’aborto, non quella della sua legalizzazione. Non importa adesso la parola d’ordine, ma forse conviene tornare mentalmente a pensare le cose al di qua delle formulazioni di legge, che sono comunque sempre secondarie rispetto ai convincimenti più profondi e condivisi. Tra questi c’è, fin da allora, oggi più chiaramente, il convincimento che non si possa obbligare una donna a diventare madre e che la relazione materna, indispensabile alla vita umana, si stabilisce nell’attimo in cui lei l’accetta.
Il passo da fare, dunque, è di sapere e affermare che tocca alla donna singola dire sì alla vita che comincia in lei. Questa competenza femminile, che nessuno, nella nostra cultura, forse, potrebbe veramente negare, va basata sul principio che la vita umana comincia da questo sì di lei liberamente pronunciato. Non siamo ancora arrivati ad una formulazione comunemente accettata di questo principio e bisogna dunque che ci pensiamo e ne parliamo, come anche che teniamo il terreno del confronto sgombro da inutili polemiche e da fossati pregiudiziali di tipo antireligioso e anticlericale. Ci sono molti riferimenti religiosi nei discorsi dei teo-con, ma la loro è una cultura di destra che non riguarda la religione come tale. Fra di loro ci sono eminenti personaggi del mondo cattolico, ma costoro non sono la Chiesa cattolica, ecc.
Il che non elimina la polemica anche nei confronti della religione e delle chiese nel loro insieme. La Chiesa cattolica, ad esempio, sembra ignorare che il suo insegnamento, troppo imbevuto di cultura patriarcale, ha indotto molte donne all’aborto. La più valida delle prevenzioni contro l’aborto, finora l’ha fatta il movimento femminista incoraggiando la nostra autonomia nei confronti della sessualità maschile e togliendo la vergogna tipicamente patriarcale, sia clericale sia borghese, che fino a tempi recenti colpiva la donna non sposata che restava incinta.
Bisogna dunque che la donna sia libera, questo è il nodo dell’intera questione, in pratica e in teoria. Molto giustamente, la libertà femminile è il tema della manifestazione del 14 gennaio. In questo senso ben vengano anche le proposte di aiuto economico alle donne che fanno bambini, infatti il bisogno toglie libertà, purché siano proposte consistenti e rispettose della dignità materna. Ciò che si esige è che il diritto inscriva il principio della libertà femminile all’inizio della vita umana. Da lì, poi, il resto.