Il testo si divide in tre parti. La prima inquadra storicamente la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, approvata dal Parlamento italiano trent’anni fa, e termina notando che gli Stati cambiano la loro posizione giuridica, mentre la Chiesa non ha mai mutato la sua, che è di condanna.
La seconda parte evidenzia un problema che si è creato con i progressi scientifici che permettono di diagnosticare precocemente malattie e malformazioni del feto.
La terza parte collega la legislazione liberale sull’aborto all’istaurarsi dei regimi totalitari, la mediazione essendo offerta da alcune affermazioni di Romano Guardini.
La prima parte è molto sommaria, ma, considerato lo spazio limitato, la trovo accettabile. È innegabile che la legislazione statuale rispecchia la storicità della condizione umana, secondo la storicità che caratterizza lo Stato stesso. Questo vale anche per la Chiesa cattolica, ovviamente, ma con alcune notevoli differenze, in primis che la Chiesa non ha (più) un potere temporale per cui la sua condanna dell’aborto non equivale a mettere in prigione la persona colpevole. Lo Stato, non avendo l’istituto della “misericordia verso coloro che si pentono”, deve decidere la sua condotta legiferando in un modo o nell’altro. Nel confronto, bisognava tener conto di questo aspetto.
La terza parte, oltre che sommaria, mi pare molto discutibile. Esiste un legame diretto fra la legislazione liberale sull’aborto e i regimi totalitari? Devo dire che a me non risulta. Se l’argomento sono le parole di Guardini, c’è da dire che è un argomento debole: a parte altre considerazioni, il senso premoderno dell’intangibilità della vita umana, che lui vanta, era perfettamente compatibile con il ricorso frequentissimo alla pena di morte e con la pratica delle più atroci torture, offerte al pubblico come uno spettacolo.
Trovo che la seconda parte, quella che prende meno posto nel testo di Lucetta Scaraffia, sollevi un problema che domanda attenzione. Al di fuori di ogni intenzione delle singole persone e, a suo tempo, del legislatore, oggi la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza agisce come un mezzo per impedire la nascita di persone malate e malformate. Parlare di “prassi di selezione eugenetica” non mi pare giusto, perché non c’è un programma né un’intenzione in questo senso. Ma il problema si pone. In che termini? Fa problema, per me, che una donna, dopo aver accettato di diventare madre, non si comporti come tale verso il nascituro che dovesse presentare qualche malformazione. Siamo davanti a una dolorosa contraddizione, perché è noto quanto sia sconfortante e talvolta al di sopra delle forze di una donna, il mettere al mondo una creatura menomata. È possibile portare avanti una buona gravidanza in un caso del genere? Io credo che si debba guardare in faccia il problema, resistendo alla tentazione di cercare risposte in direzione della legge: l’invadenza della tecnoscienza da una parte, della legge dall’altra, secondo me contribuisce a distruggere il senso di responsabilità materna e genitoriale.
Un’ultima osservazione. Molte donne hanno l’impressione non infondata che la Chiesa cattolica italiana spinga perché si torni alla repressione penale dell’aborto, e questo impedisce loro, ci impedisce, di ascoltare l’insegnamento cristiano con l’attenzione che merita. Purtroppo, il testo di Lucetta Scaraffia sorvola su questo punto. Le femministe e molte altre persone, donne e uomini, senza sottovalutare il problema morale, si oppongono al ritorno alle pratiche abortive clandestine, unicamente, ed è su questo che una che si dice femminista deve prendere posizione.