10 Marzo 2022
il manifesto

Dall’omofobia del patriarca Kirill alla guerra di Putin

di Fabrizio Filice


Men on men è il titolo di un’antologia di letteratura gay americana e oggi suona beffardo, paradossale.

Il Patriarca di Mosca, nel manifestare l’appoggio del clero alla guerra contro l’Ucraina, ha voluto dire che è giusto mandare uomini a uccidere altri uomini perché bisogna assolutamente evitare che uomini amino altri uomini.

Uno degli elementi portanti di questa guerra, come delle altre, sta tutto qui: nel potere degli uomini, o meglio, nel potere secondo gli uomini; che è poi l’unica forma di potere che conosciamo dall’inizio dei tempi, risalente probabilmente al Neolitico quando, con i primi insediamenti stabili, gli uomini iniziano a tessere alleanze tra loro per difendersi dalla natura, equivocata – per ignoranza – come una forza ultraterrena, terrifica e spaventosa; tanto che per esorcizzarne la paura l’uomo inizia a imitarla, almeno per come lui la intende, cioè come una forza oppressiva.

Inizia ad essere, l’uomo, oppressivo a sua volta sull’altro uomo e la prima connotazione di questo soggiogamento originario, che fonda la struttura oppressiva della società patriarcale, è probabilmente di carattere sessuale.

Sono le donne le prime vittime di quel soggiogamento, diventano mezzi di scambio e di alleanze tra villaggi diversi, nasce la patrilinearità.

Il seguito lo conosciamo.

La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza: una volta riuscito l’inserimento della donna chi può dire quanti millenni occorrerebbero per scuotere questo nuovo giogo? si chiedeva provocatoriamente Carla Lonzi nel profetico, e inascoltato, Sputiamo su Hegel nel 1970.

La misoginia, l’odio verso le donne e verso l’alternativa che potrebbero rappresentare, l’odio verso il loro corpo capace di creare la vita e l’intolleranza verso ogni forma di sessualità e di genere che devii dal paradigma eterosessuale non sono determinate dal desiderio di preservare la coppia eterosessuale nella sua dimensione ideale, ma nella sua dimensione storica, integralmente sbilanciata a favore dell’uomo, del suo io virile e bellico, e del suo modo oppressivo di gestire il potere.

Uomini sono i leader che decidono le guerre, uomini sono i soldati come i chiamati a resistere: un ordine di mobilitazione generale firmato dal governo resistente di Kiev impedisce infatti a tutti gli uomini adulti di lasciare il Paese, perché devono restare e combattere, da uomini.

Come uomo rivolgo a me stesso, e a tutti gli uomini, una domanda: davvero vogliamo questo? Davvero siamo questo?

Se non è così allora c’è una sola cosa da fare e in fretta. Promuovere in modo forte e consistente una radicale transizione verso il potere femminile, superando le resistenze, le ritrosie, spesso le ilarità, che si affacciano ogniqualvolta si parla di leadership femminile e degli strumenti per ottenerla, come le quote di rappresentanza in tutti i contesti gestionali, pubblici e privati; quote di rappresentanza femminile, non di genere in senso neutro, perché la finta neutralità di un sistema a vocazione tutta maschile è il problema.

Si obietta: che garanzia abbiamo che sarebbe diverso, che sarebbe meglio?

Nessuna. Non si hanno garanzie quando si sostituisce un ordine convenzionale con un ordine nuovo. Ma quando l’ordine convenzionale giunge a un passo dal provocare la fine atomica dell’umanità, quando quell’uomo che ha voluto dare lui, da solo, inizio alla storia è prossimo a decretarne la fine, allora la priorità è smantellarlo, quell’ordine millenario; e affrontare con speranza e motivazione la sfida del nuovo.


(il manifesto, 10 marzo 2022)

Print Friendly, PDF & Email