Introduzione
Scisma non più silenzioso
La lettera che segue avrebbe dovuto essere spedita alla stampa per l’8 marzo di quest’anno. Non lo abbiamo potuto fare per le ragioni a tutte/i note.
Le sottoscrizioni in calce alla lettera, che servivano come presentazione per il lancio della raccolta firme, squadernano una molteplicità di posizioni.
Ciò è un dato rilevante; evidenzia che la “vertenza” che sollevavamo non è confinabile al mondo cattolico. Essa pone una questione trasversale. Le rappresentazioni del femminile elaborate e dispensate dalla chiesa cattolica, infatti, hanno effetti performativi non solo su cattolici/che, ma si estendono a latitudini ben più ampie. La fenomenologia con cui la Chiesa cattolica romana si relaziona alle donne è determinante sul piano dell’economia dei beni simbolici, un’economia trasversale e diffusa, incardinata in un impianto patriarcale e in una ideologia androcentrica. Le altre istituzioni/comunità religiose ne sono comunque (in misura varia) tutte affette.
Nel lasso di tempo trascorso abbiamo avuto modo di confrontarci con molte donne anche in origine non firmatarie. Lo scambio rinnovato di idee è stato molto fecondo, ha rafforzato la condivisione del testo della lettera e la decisione di diffonderla, consentendoci anche di sciogliere alcuni nodi che vogliamo qui esplicitare.
1. Essa è un monito, non un lamento vittimistico. In quel documento è scritto che non ci sarà pace senza una profonda conversione del clero riguardo all’iniquità con cui esso ha agito nei confronti delle donne. Con ciò la lettera istituiva l’evidenza di un fatto che nella nostra libertà affermiamo. Se la chiesa non affronta teologicamente e operativamente e con coerenza questo nodo, non taceremo il
perseverare nell’insincerità e nella mancanza di credibilità. Se la chiesa cattolica teme uno scisma al suo interno -per le manovre squallide ordite dal conservatorismo- dovrebbe pure interrogarsi dell’eventualità di uno scisma da parte delle donne. Finora, in Italia, ha avuto i caratteri di un movimento silenzioso, benché in crescita. Non siamo per ora fautrici di strappi, ma della nostra sete di giustizia importa a qualcuno?
2. La elencazione di frasi ingiuriose che ci sono state riservate (sezione minima di un “patrimonio” sconfinato) designa un passato che pesa e che non passa; la cui memoria non va cancellata né ignorata voltando pagina. Crediamo che solo a partire dalla assunzione responsabile di queste affermazioni i rappresentanti del potere clericale maschile possano prendere coscienza di questa triste “archeologia” che li ha plasmati. Se le frasi non sono più citate, non per questo i sintomi da esse provocate sono scomparsi – come sa qualsiasi persona che conosca i rudimenti di psicanalisi. Per depotenziarle, dovrebbero essere assunte ed elaborate. Solo ripercorrendo l’origine e il cammino del mysterium iniquitatis si potrà addivenire a una autentica prassi redenta, visibile nei suoi effetti, a comportamenti che nell’autentico sentire e agire diano prova di non temere le donne e di comprendere il valore e la potenza spirituale di quello “stare di fronte” reciproco, espresso in Genesi 2,18.
La lettera non è una monade irrelata. Per noi è una “testata d’angolo” (Sal.118,) e nello stesso tempo un granello di senapa (Mc. 4,31), da cui vorremmo nascesse un interrogarsi, un confrontarsi, un relazionarsi..un divenire che non possiamo prevedere. Tra le prossime tappe pensiamo a un convegno, cui si potrà partecipare e insieme edificare, nella condivisione della sete di giustizia e nella gioia della Ruah!
La pace nel mondo non può fare a meno delle scuse alle donne
da parte delle gerarchie ecclesiastiche
Lettera aperta
Non sono donne atee, anticlericali o agnostiche, coloro che hanno promosso e sottoscritto questo testo; bensì donne credenti, donne che hanno orientato la loro coscienza verso una spiritualità semplice e al tempo stesso aperta al soffio della Ruah, donne assetate di verità e giustizia, in ricerca di orizzonti di fede sempre più profondi e dilatati, donne che credono e praticano – nell’umiltà, ma anche nel coraggio della testimonianza – la sororità e la fratellanza umana di cui Gesù è stato testimone lungimirante.
È alla questione della presenza delle donne nella Chiesa che vogliamo riferirci: non è affatto una richiesta di spartizione di potere, di cooptazione all’interno del sistema clericale attuale, ma è, invece, la questione dell’assunzione nei fatti della centralità delle relazioni, cui rinvia l’enunciato fondativo: “Maschio e femmina li creò”.
Le relazioni tra donne e uomini dentro la Chiesa sono da molto tempo malate, perché intrise di stereotipi ingessanti a proposito delle donne: visioni svilenti, che ne deformano l’immagine negandole integrità. Da tali premesse il disvalore del femminile è logica conseguenza. E non ci si risponda che la Chiesa venera Maria, la quale sarebbe superiore a tutti gli apostoli, e quindi con essa venera tutte le donne; perché è la persona incarnata che va rispettata, le donne in carne e ossa, non la loro trasfigurazione immaginaria. Di quanto “l’esaltazione ideale della donna sia servita a coprire la sua insignificanza storica” abbiamo fatto – ahimé – una millenaria esperienza.
Il Vangelo aveva parlato un’altra lingua: quella del discepolato di uguali, per dirla con la famosa espressione della teologa Schüssler-Fiorenza; il messaggio evangelico è testimonianza di libertà per donne e uomini. Nella chiesa cattolica sono state istituite – e ne siamo sostenitrici – le Giornate Mondiali della Pace. Si auspica la pace, ma si riconosce contemporaneamente la contraddizione di un mondo che predica la pace invocandola però sulla base di relazioni false, intrise di sfiducia/diffidenza reciproca. Ma c’è una contraddizione ancora più originaria. Come mai non si coglie che la prima radice di una relazione di sottomissione, il primo nucleo fondante dei rapporti
di dominio risiede nelle relazioni donna/uomo?
Non ci sarà pace senza questa consapevolezza e senza una profonda conversione.
Sono maturi i tempi, dunque, per un ritorno al messaggio evangelico e perché la Chiesa faccia ammenda dei suoi errori storici. Prendiamo atto dei primi passi compiuti:
Nel 1992 Giovanni Paolo II ha riabilitato Galileo Galilei riconoscendo che «fu un errore condannare Galileo…. [che] ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi della Chiesa».
Nella “giornata del perdono” del giubileo del 2000 il papa ha chiesto perdono per gli sbagli commessi con i tribunali dell’Inquisizione; in quella occasione ha citato le donne, ma è stato solo un irrilevante cenno: «preghiamo per le donne troppo spesso umiliate ed emarginate».
Nel 2018 papa Francesco ha chiesto scusa per il comportamento della Chiesa nei confronti delle vittime dei preti pedofili: «Alcune vittime si sono alla fine addirittura tolte la vita. Queste morti pesano sul mio cuore come sulla coscienza dell’intera Chiesa».
Tutte queste prese di posizione sono passi encomiabili. Tanto più l’ultimo, che non si è limitato ad essere un generico atto di contrizione, ma è diventato operativo nel riconoscimento del diritto delle vittime e dei tribunali statali, per riportare la giustizia condannando i colpevoli e risarcendo le vittime.
Proprio in quanto donne di fede crediamo sia venuto il tempo, ora, perché la gerarchia della Chiesa cattolica chieda scusa alle donne, dei secoli passati e del tempo presente. Essa non ha mai smentito né ha preso le distanze da affermazioni ingiuriose di Padri della Chiesa, Apologeti cristiani o Santi, frasi che si attestano su questo tenore:
«Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate. Penso che nulla avvilisca lo spirito dell’uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio» (Agostino, Soliloquia I, 10,17).
«Non sai, donna, che anche tu sei Eva? In questo mondo è ancora operante la condanna di Dio contro il tuo sesso; è necessario che duri anche la condizione di accusata […]Tu sei la porta del diavolo! Sei stata tu a circuire colui che il Demonio non era riuscito a raggirare! Tu hai distrutto l’immagine di Dio, l’uomo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!» (Tertulliano, De Cultu Feminarum, I,1-2).
«La moglie sarà salvata se genera dei figli che rimarranno vergini, se quel che lei stessa ha perduto lo recupera nei suoi discendenti e se la caduta e la corruzione della radice è compensata dal fiore e dal frutto» (Girolamo, Adversus Jovinianum 1,27; P.L.XXIII,260).
«L’uomo è nato dalla donna! Non c’è nulla di più abietto» (San Bernardo, Sermo in Feria IV° Hebdamodae Sanctae, 6, SBO V, 60).
«Rispetto alla natura particolare, la femmina è un essere difettoso e manchevole. […] Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un seme prefetto simile a sé di sesso maschile. Il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da disposizione della materia» (San Tommaso, Summa Theologica I,92, I, ad I).
Non possiamo non menzionare ciò che esponenti ufficiali delle Chiese hanno scritto, detto e compiuto contro le cosiddette streghe. Un florilegio di retorica misogina è il Malleus Maleficarum (nel 1484 il Papa Innocenzo VIII emanò la bolla Summis Desiderantes Affectibus con cui dava mandato a due inquisitori tedeschi di redigere un Corpus di sentenze per combattere la stregoneria). Dell’opera riportiamo questo brano, perché non deve essere lasciato in ombra:
«Ma poiché nei tempi moderni questa perfidia si trova in modo più frequente nelle donne che negli uomini, possiamo aggiungere che, siccome le donne sono difettose di tutte le forze tanto dell’anima quanto del corpo, non c’è da meravigliarsi se operano molte stregonerie contro gli uomini … infatti esse sembrano appartenere a una specie diversa da quella degli uomini…; la ragione naturale è che essa è più carnale dell’uomo, come risulta da molte sporcizie carnali. Si può notare che c’è come un difetto nella formazione della prima donna, perché essa è stata fatta con una costola curva, cioè una costola del petto ritorta come se fosse contraria all’uomo. Da questo difetto deriva anche il fatto che, in quanto animale imperfetto, la donna inganna
sempre… già nella prima donna è evidente che per natura ha minor fede: infatti al serpente che le chiedeva perché non mangiassero da tutti gli alberi del paradiso, già con la sua risposta si rivelava in dubbio e senza fede nelle parole di Dio. E tutto questo è già nella etimologia. Infatti femmina viene da “fede” e “meno”, perché ha sempre meno fede e la serba di meno.
…Sebbene infatti sia stato il diavolo a indurre Eva a peccare, fu Eva a sedurre Adamo, e siccome il peccato di Eva non ci avrebbe portato alla morte dell’anima e del corpo se non fosse seguita la colpa di Adamo, indotto da Eva e non dal diavolo, perciò la donna è più amara della morte».
Questi
non sono che frammenti di un sistema simbolico e di una economia
teologica kyriarcale molto più vasta e pervasiva, un impianto tanto
potente e agente nel profondo per cui farne una decifrazione
richiederebbe un intero volume – e forse non basterebbe.
Sui
pronunciamenti di questo tipo non occorrerebbe dare segni di
conversione? Non è forse attraverso questo gesto che si
dischiuderebbero le condizioni di possibilità di una convivenza
basata sul riconoscimento reciproco di pari dignità? «Ce lo hanno
insegnato Nelson Mandela e Desmond Tutu con i processi sulla verità,
la giustizia e la riconciliazione in Sud Africa: è l’ammissione
della violenza compiuta da parte di chi l’ha esercitata che lascia
libere le vittime e permette loro di
parlare e ricominciare a vivere.» (Letizia Tomassone, Violenza e giustizia di genere nelle chiese protestanti, in Paola Cavallari, a cura di, Non solo reato anche peccato. Religioni e violenza contro le donne, Effatà, 2019).
Nel quadro di tale economia teologica kyriarcale, sintetizziamo brevemente alcune violazioni gravi di cui il clero maschile si è macchiato (con la complicità a volte di donne consacrate) nei confronti del sesso femminile:
Ha escluso per secoli la donna dal riconoscimento di essere Immagine di Dio, poiché l’imago Dei era attributo esclusivamente riservato all’uomo.
Ha strutturato attraverso i secoli una visione culturale della donna che ha gravemente nuociuto alle relazioni tra uomini e donne, legittimando con il carisma del sacro (è un disegno divino, si è detto per secoli) i rapporti di dominio e sottomissione che caratterizzano le culture patriarcali.
Ha spesso usato e sfruttato il lavoro delle donne consacrate come lavoro schiavo, senza riconoscimento economico e sociale.
Ha esercitato (non sappiamo quanto, perché tutto è coperto dal segreto) abusi spirituali, di coscienza e sessuali.
Ha contribuito, con la demonizzazione del corpo femminile e la costruzione dell’immagine della “donna tentatrice”, a legittimare la visione per cui sono le donne le responsabili degli atteggiamenti molesti/abusanti dei maschi.
Ha voluto controllare nei dettagli la sessualità e il corpo femminile, ignorando la sfera del desiderio sessuale femminile e mai mettendo in discussione le forme autoreferenziali e non interattive della sessualità maschile.
Non ha preso distanza radicale nei confronti del consumo della pornografia e della prostituzione, attraverso una messa in discussione profonda della sessualità maschile.
Non ha ancora intrapreso una seria riforma della liturgia, del linguaggio pastorale e catechetico, che riconosca la soggettività delle donne.
Non ha fatto ammenda di traduzioni dei Testi Sacri intrise di pregiudizio patriarcale.
Perpetua una visione squilibrata del rapporto uomo/donna attraverso l’esclusione delle donne
non solo dai ministeri, ma anche da tutte le sedi decisionali all’interno della Chiesa.
Riconoscere tali frasi ingiuriose sarebbe un primo passo, soprattutto se non fosse una semplice dichiarazione di principio, ma si accompagnasse ad atti concreti e ad un inizio di collaborazione con le donne impegnate a porre un argine, attraverso la generazione di una nuova visione culturale, al drammatico fenomeno delle violenze contro le donne e ai femminicidi.
Questa lettera con le firme di chi la sottoscrive sarà inviata al Presidente della Conferenza episcopale. Ed in seguito alla stampa e ai siti.
Le donne che, pur non essendo credenti, ritengono tuttavia che il simbolico religioso sia stato e sia determinante nella costruzione delle relazioni inique tra i sessi sono caldamente invitate ad unirsi a noi. Ringraziamo tutte.
Per comunicazioni e adesioni potete scrivere a cavallaripaola1@gmail.com
Prime
firmatarie:
Paola Cavallari – Osservatorio interreligioso sulle
violenze contro le donne – O.I.V.D.
Carla Galetto – gruppi
donne Comunità di Base- CdB
Doranna Lupi – gruppi donne
Comunità di Base- CdB
Paola Morini – Osservatorio
interreligioso sulle violenze contro le donne – O.I.V.D.
Nota: Della Lettera aperta, inviata al presidente della CEI Cardinal Gualtiero Bassetti, ha dato notizia “il manifesto”, 31 maggio 2020, con un articolo di Luca Kocci, https://ilmanifesto.it/e-ora-che-la-chiesa-cattolica-chieda-scusa-alle-donne/ (Ndr)
(www.libreriadelledonne.it, 1° giugno 2020)