Franco Giordano
E’ onestamente impossibile sfuggire alla stringente e ragionata verità che ci ha proposto ieri su Liberazione Angela Azzaro. Le vie di fuga alla domanda secca e drammaticamente certificata “maschi, perché uccidete le donne”? possono infatti essere molteplici, quasi tutte condivisibili. Ma sempre di via di fuga si tratta. Il liberismo, la globalizzazione, la precarizzazione dei rapporti interpersonali, la violenza diffusa come effetti di una crisi delle forme di socialità. Sì, certo, ma questi contesti appaiono, per l’appunto, “neutrali”, a fronte della cruenta cronaca di una guerra annunciata di uomini contro donne. Non spiegano questi contesti, peraltro, la preesistenza di un fenomeno diffuso anche in tempi non recenti. Innanzitutto, credo, che sia giusto mettere in rilievo che il luogo in cui le donne subiscono le violenze più crudeli sia quello che per secoli è stato sacralizzato e nel quale si è tentato di murare la soggettività femminile: la famiglia. E fa un certo effetto scoprire che la “normalità” della coppia eterosessuale, brandita contro ogni forma di relazione celi una consolidata aggressività maschile che le caste (siano esse politiche o sacerdotali) tendono a difendere e a preservare.
Ma queste violenze oggi esplodono come una reazione ad una forte soggettività ed emancipazione femminile. Non solo perché le donne tendono a competere con gli uomini in ogni campo, ma perché smettono giustamente di svolgere una funzione rassicurante e rinforzante della nostra immagine. La proprietà di correzione dello specchio dello sguardo femminile comincia infatti ad agire in senso contrario amplificando limiti e difetti degli uomini. Tutto ciò produce un diffuso senso di inquietudine e disorientamento. Diciamo la verità: vengono feriti il nostro egocentrismo e narcisismo essendo stati abituati sin da piccoli a riceverne in dosi massicce attraverso conferme permanenti da figure femminili come le madri. Quando viene negato quello che a torto appariva un diritto naturale, l’aggressività diventa il bisogno rabbioso di un ripristino della cultura proprietaria sul corpo delle donne. E’ il disperato e disperante tentativo di ripristinare un segno gerarchico. E’ una violenza fisica, ma si esprime nella politica, nella cultura, nella costruzione della Norma.
Noi uomini non possiamo deragliare dall’obbligo di riconoscere la nostra parzialità. Tanto più rimuoveremo questa assoluta necessità di rimessa in discussione della nostra identità sessuata (anche schermandoci dietro le quinte di ragionamenti sociologicamente e culturalmente ineccepibili) tanto più contribuiremo colpevolmente alla diffusione delle violenze contro le donne e al mantenimento in vita di una società maschilista e patriarcale. Il riconoscimento della contraddizione di genere, la sua autonomia e centralità, sono la leva su cui investire per rovesciare una consolidata gerarchia di poteri e culture.
Per parte mia voglio qui solo sollecitare un tema di riflessione su cui mi interrogo da tempo: il tentativo di ricostruzione di un contatto di noi uomini con la sfera del nostro mondo interiore. Per troppo tempo, infatti, questa dimensione è stata sostituita da un bisogno estetizzante di conferme esterne, di ricerca di verifiche mediate da figure femminili. E’ un percorso che porta ad imparare a prescindere dal consenso a tutti i costi, che porta a fare a meno della ricerca esasperata dell’apprezzamento e della stima degli altri come forma sostitutiva della propria autostima.
E’ il tentativo di abbandono dei nostri bisogni infantili o adolescenziali che ci rendono così emotivamente e pericolosamente condizionati dalla immagine riflessa degli occhi altrui, degli occhi delle donne. E’ la riscoperta delle passioni attraverso l’abbandono delle paure ancestrali per una possibile esposizione a rischio di sofferenza. Quando la vita si spettacolarizza la passione si svuota nella cerimonia mondana o si spegne nell’esibizione del controllo e della formalità.
Senza questo sforzo di ricostruzione identitaria noi uomini cercheremo sempre, consciamente o inconsciamente, la scorciatoia del tentativo di ripristino dei privilegi materiali ed emotivi che oggi ci appaiono sottratti o negati. Occorre ripensare, dunque, una trama di relazioni, nuove culture, un’alterità di progetti di vita per contrastare le resistenze maschili alla definizione della nostra parzialità e alla narcisistica perdita di centralità.