Fernando Lelario
Tornavo da Bologna in treno e ad un certo punto del viaggio ci siamo trovati di fronte io e un giovane. Mi ero dedicato alle mie letture evitando di partecipare al chiacchiericcio banale intorno a me. Il treno inizialmente affollato si era andato svuotando dopo Rimini. Anche il giovane di fronte a me, che sino ad allora aveva lavorato sul suo PC, si è interrotto e, dopo aver chiuso il portatile, sembrava in attesa di scendere alla prossima fermata. Non ricordo come abbiamo iniziato a parlare, mi ha detto che era un artigiano, che da Torremaggiore era andato a Fano a lavorare. Ha parlato della solita incertezza del lavoro e delle tasse sproporzionate che ti strozzano. Mi ha detto la rabbia che prova quando i clienti dopo aver stabilito un certo prezzo, a lavoro ultimato non vogliono pagare quanto pattuito, cercando di ottenere ulteriori sconti e riduzioni. Ho osservato il suo viso: sicuramente più giovane dei miei figli, lineamenti regolari, un’aria ingenua, non ho avuto difficoltà a pensare che le cose che dice devono essergli successe. L’ho invitato a non scoraggiarsi suggerendogli di provare ad associarsi, lui elettricista, con altri giovani, idraulici, muratori, imbianchini, in modo da contare di più, sicuramente associandosi, anche riguardo alle tasse avrebbe avuto dei benefici. Ho avuto l’impressione che valutasse la realizzabilità dell’idea, nel frattempo il discorso si è indirizzato su Berlusconi e il suo apparato mediatico che disinforma e si regge solo sulla pubblicità e le falsità. Trovare un giovane che si lamenta per le tasse, ma è antiberlusconiano mi ha rallegrato il cuore. Intanto dietro di me sull’altra fila era seduta una ragazza giovanissima con un jeans rotto in vari punti, secondo i dettami della moda, dai quali si intravvede una mutandina forse fucsia. Non ci ho fatto caso più di tanto, anche se è passata spesso parlando ad alta voce al telefonino.
Il ragazzo di fronte a me invece deve averla notata più attentamente e con un’aria assertoria che non chiede la mia complicità, vista la differenza di età, inizia il solito discorso secondo il quale alla fine sono le donne che se la cercano la violenza, perché vanno vestite in modo da mostrare tutto, gambe, sedere, tette; per esempio quella ragazza che passa continuamente ha il jeans rotto anche sul davanti proprio in corrispondenza ……… Sono trasalito, anche perché non avendo notato questa rottura, per un momento mi sono chiesto se sono io che ormai non noto più certe cose o se è l’immaginazione del ragazzo che vede più di quanto effettivamente fosse mostrato. In ogni caso come smontare il suo teorema sulle donne che “se la cercano”? Parlargli della libertà femminile sarebbe apparso ideologico. Lui sostiene di non essere moralista, ma quello che gli da fastidio è la provocazione e certi comportamenti liberi delle donne sono una provocazione per il maschio, la sua virilità viene messa alla prova e se poi non riesce a controllarsi in fondo è giustificato. Gli ho detto di non essere d’accordo e per provocarlo ho convenuto con lui che certi modi di vestirsi, certi atteggiamenti femminili possono anche significare che le donne “ci stanno”. Ma a questa espressione davo una doppia valenza, sacra e profana. “Ci stanno” nel senso che esistono, vivono riempiono lo spazio, con la loro presenza, il loro corpo, le loro differenze, belle e seduttive, che ci affascinano e ci riempiono di desiderio. Questo però non gliel’ho detto. Non ho avuto fiducia della mia capacità di essere chiaro e comprensibile. Ho posto invece l’accento sul fatto che forse le donne a modo loro comunicano semplicemente la loro disponibilità a giocare il gioco della seduzione con il mondo, non necessariamente con un maschio, sicuramente non con qualsiasi maschio, un loro rifiuto non può e non deve essere mai forzato. L’amore non è mai violenza, forzatura, sottrazione, è invece la saggezza di ritirarsi di fronte a un rifiuto, mostrando capacità di ascolto. Avrei voluto approfondire la differenza fra virilità, come appariva dalle sue parole, e capacità di amare, siamo però giunti a San Severo e il ragazzo mi ha salutato con una stretta di mano, mi auguro dovuta al fatto di condividere alcune cose dette e di aver fatto spazio a qualche dubbio. Vi era comunque nel suo sguardo un senso di sete, un desiderio di sentire cose non scontate, di imparare. D’altra parte chi potrebbe insegnargli una visione diversa del mondo femminile? I padri sommersi dalla volgarità della televisione? Forse le madri? Anche se la mia di fronte a un abbraccio della mia compagna, mi confessava con rimpianto che lei simili gesti nei confronti di mio padre non li aveva fatti mai, “altri tempi allora”, aveva aggiunto.
Preso da questi pensieri arrivavo a Foggia, insieme a me è scesa una donna molto bella con una scollatura profonda (che metteva in risalto un bel seno) e un passo deciso, l’avevo già notata alla stazione di Bologna per la sua eleganza e il suo portamento, non ho potuto fare a meno di guardarla con ammirazione. Abbiamo fatto un pezzo di marciapiede insieme quando dal gruppo di persone in attesa le sono corsi incontro un bambino e una bambina. Lei si è inchinata e li ha abbracciati teneramente mentre dietro ai bambini vi era un signore che sorrideva. Mi sono affrettato verso l’uscita anch’io con un sorriso sul viso, per aver riconosciuto in lei una donna che “ci stava” nel senso che si mostrava nella sua differenza.