Oriella Savoldi
Ricordo il commento di un operaio della Fiat sul momento in cui le donne varcarono per la prima volta l’ingresso della fabbrica. Suonava più o meno così: mi trovavo nella stessa fabbrica in cui entravo tutte le mattine da anni, eppure la mia sensazione era di essere in un altro mondo. Stupore e spaesamento di fronte ad un cambiamento radicale, quello della presenza femminile, che rompeva la consuetudine e cancellava la familiarità di quel luogo, tanto da farlo sentire come se fosse in un altro mondo.
Oggi incontrare donne nei più diversi posti di lavoro ha assunto il carattere della normalità. “Sapessi che vantaggio per me che, dovunque vado, incontro donne”, mi dice una giovane collega del sindacato. Non è stato così per me e per quelle della mia generazione, noi abbiamo sentito tutto il peso e tutto l’entusiasmo, le due cose insieme, di entrare per la prima volta in luoghi da sempre abitati da uomini e costruiti a loro misura.
Sono tornata indietro a quel momento di passaggio, per ripensarlo o, meglio, per cominciare a pensarlo insieme agli uomini: noi donne, in questi anni, ci abbiamo riflettuto molto, ma senza tener conto della difficoltà vissute dagli uomini davanti al cambiamento di cui le donne sono protagoniste. Queste difficoltà esistono e qualcuno comincia a parlarne, come Stefano Nahmad e Giacomo Mambriani, recentemente intervenuti su questa rubrica..
Primo pensiero. L’idea che sul lavoro le donne sono come gli uomini, è di origine maschile, ma è falsa anche dal punto di vista maschile e nasconde la sorpresa davanti alla differenza del “paesaggio con presenza femminile”, sorpresa che quell’operaio esprimeva con tanta vivezza: sono finito in un altro mondo. In effetti, un mondo in cui donne e uomini hanno rapporti stretti anche per quel che riguarda il lavoro, non è più lo stesso.
Secondo pensiero. Ma il cambiamento resta come bloccato. Oggi il protagonismo femminile viene riconosciuto da molti e volentieri; sui giornali, in televisione, nei libri si parla perfino di un “di più” femminile. Ma di solito tutto finisce in questo riconoscimento. Non assistiamo ancora al seguito e, a dire il vero, neanche sappiamo in che cosa consista. Come mai?
La risposta a questa domanda doveva essere il mio terzo pensiero, che però ancora non ha preso forma. Ma so il suo inizio: impariamo a stare allo spaesamento di sapere che esistono anche le donne, esistono anche gli uomini. E non sono, né questi né quelle, così come li immaginiamo, tanto per difenderci, senza tentare l’avventura di nuovi rapporti liberi. Ecco, si tratta di vivere lo spaesamento come un passaggio verso un nuovo tipo di rapporti tra esseri umani alle prese con il gusto – e la difficoltà – di stare a questo mondo. Verso una nuova politica, forse.