Gianfranco Bettin
Daremo un consiglio allo stato: così, con un brillante ma serissimo gioco di parole, il sindaco di Vicenza, Achille Varianti, ha risposto al Consiglio di stato che ha ordinato di bloccare il referendum sulla realizzazione della nuova base americana presso l’aeroporto «Dal Molin» già indetto dall’amministrazione comunale per domenica prossima. Il «consiglio» consiste nel tenere ugualmente il referendum, facendo votare gli elettori, già tutti in possesso di certificato e ubicazione delle sedi, nei gazebo di fronte ai seggi preclusi dall’organo romano.
E’ una scelta forte, presa l’altra sera di fronte a una piazza gremitissima dopo una mobilitazione immediata e spontanea contro il «niet» del Consiglio di stato. E’ anche un gesto che risponde al pericolo denunciato da Ilvo Diamanti il giorno dopo su Repubblica, quando, commentando la sentenza, sottolineava come questo tipo di decisioni, che escludono la comunità interessata da ogni possibilità di pronunciamento, rischi di rendere «inutile» la democrazia.
In realtà, ormai, questo rischio non riguarda solo Vicenza. Però raramente, come nella vicenda Dal Molin, è stato più tenace e arrogante lo sforzo per tenere un’intera città al di fuori di una scelta che ne segnerà pesantemente il futuro. Aveva cominciato il penultimo governo Berlusconi, ha poi continuato – con ottusità autolesionista – il governo Prodi, accompagnati entrambi dalla giunta comunale precedente (di destra) e dalla giunta regionale guidata da Galan. Ora il nuovo governo Berlusconi vorrebbe procedere imperterrito. Sennonché, nello stesso election day che ha dato la terza vittoria al Cavaliere, c’è stato a Vicenza l’inopinato trionfo dell’ex democristiano, già sindaco stimato e illibato negli anni pre e intra Tangentopoli e poi capogruppo regionale di Ulivo e Partito democratico, su un programma che aveva al suo centro proprio la restituzione alla città del suo diritto a decidere, in particolare sulla nuova base statunitense.
Masticato amaro, la destra si era detta che, comunque, non sarebbero certo stati Variati e il Comitato No Dal Molin, una delle esperienze più autentiche di partecipazione e mobilitazione dal basso, a fermare un progetto sostenuto da tutti i poteri dello stato e in maniera bipartisan (quantomeno a Roma).
Così si è arrivati all’attuale, clamoroso e nevralgico conflitto. Che non è solo sul merito della decisione, questione pur cruciale, perché da essa dipende il futuro della città berica. E’ anche un conflitto sul metodo e sulla sostanza della democrazia. Il presidente Napolitano, a Vicenza qualche giorno fa per celebrare il Palladio, ha espresso l’auspicio di una conciliazione tra interessi generali e istanze locali.
L’atto del Consiglio di stato, l’ultimo di una lunga serie, contraddice questo auspicio, e anche quello di ascoltare la gente, pure espresso dal Presidente. Il voto di domenica è dunque un voto che vale doppio. Vale per Vicenza e vale per tutto il paese. E’ il voto più utile contro chi della democrazia farebbe volentieri a meno.