Metro 22 marzo 2004
Serena Bournens
Ottocento milioni. Sono le case nel mondo che non hanno un rubinetto dell’acqua. Diciottomila. Sono le bambine africane che la mattina, invece di andare a scuola, si mettono una brocca in testa e l’acqua che serve loro per sopravvivere la vanno a raccogliere a chilometri di distanza. Dodici milioni. Sono le persone, in gran parte minori, che ogni anno muoiono per colpa dell’acqua. Perché è inquina perché, peggio ancora, è carente. Quattro. Sono i litri d’acqua che un cittadino del Gambia può consumare al massimo in un giorno. Trecento, quelli che consuma in media un cittadino americano o europeo. Il trenta per cento dei quali va a finire nello sciacquone di un water.
LE NAZIONI UNITE, che hanno fissato per oggi la Giornata mondiale dell’acqua, stimano che la quantità media necessaria allo svolgimento delle attività quotidiane sia di 50 litri pro capite e le riserve mondiali basterebbero a soddisfare quest’esigenza per tutti. Insomma: i numeri ci sono, ma i conti non tornano. E sulla Terra, ad oggi un miliardo e quattrocentomila persone non hanno accesso all’acqua potabile. Perché? “Perché l’acqua, invece di essere un bene indiviso, che appartiene a tutta l’umanità, è diventato un affare miliardario”, spiega Rosario Lembo, presidente del Cipsi (Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale) e segretario del Comitato italiano per il Contratto mondiale dell’acqua. Le Nazioni Unite prevedono che nel 2020, quando la popolazione mondiale sarà di circa 8 miliardi di persone, coloro che non avranno accesso all’acqua potabile saliranno a più di 3 miliardi: “è inaccettabile. E il problema – garantisce Lembo – non è la
scarsità naturale, ma la cattiva gestione di questa risorsa. Nel mondo, innanzitutto, si fa una scarsa politica di buona utilizzazione dell’acqua potabile, il 60% della quale viene utilizzato per l’agricoltura. Ma quello che davvero preoccupa è la non equità della sua distribuzione”.
ROSARIO LEMBO coordina in Italia un progetto internazionale nato cinque anni fa e mirato a “scardinare e capo- volgere la profonda ingiusti- zia che sta alla base della moderna concezione dell’acqua come bene che può essere oggetto di scambio commercia- le di tipo lucrativo”. 11, Con- tratto mondiale dell’acqua (World water contract) è un manifesto che si pone l’obiettivo di definire l’acqua come un diritto universale e inalienabile, individuale e collettivo”. Ma come garantirlo? “Occorre un nuovo sistema di regole messo in piedi da una rete di Parlamenti. Una cornice legislativa al livello locale e internazionale che definisca un trattato mondiale sull’acqua, legalizzandola come bene patrimoniale comune ed escludendola da tutti gli accordi commerciali internazionali”, spiega Rosario Lembo. L’obiettivo è quello di “creare tre miliardi di rubinetti”. Ma come e con quali soldi? “Attraverso un sistema di fiscalità generale che permetta di portare l’acqua dove non c’è e di aprire nei prossimi vent’anni quei 3 miliardi di rubinetti che mancheranno”.
IL RISCHIO PIU’ GRANDE, anche per i paesi più industrializzati, è che “l’acqua “privata” diventi preda degli interessi delle multinazionali”, spiega il presidente del Cipsi. Un esempio su tutti quello della Bolivia. “Nel 2000, a Cochabamba, sulle Ande, dovel’acqua è un bene scarso e dove il governo vendette, sotto pressione della Banca Mondiale e del Fondo monetario, le sorgenti a una multinazionale”. Il risultato? Un aumento del prezzo dell’acqua del 300 per cento, fino a 10 dollari al metro cubo. La popolazione insorge, blocca le strade. L’ondata di rabbia cresce e il governo Suarez è costretto a cedere: revoca la legislazione sulla privatizzazione delle acque e rescinde il contratto con la multinazionale. Bene. Ma a quale prezzo? Un risarcimento danni pari a 25 milioni di dollari. E un ragazzo di 17 anni morto, durante una manifestazione fatta “semplicemente” per aprire un rubinetto d’acqua.