di Franca Fortunato
La tempesta giudiziaria e politica, che come uno tsunami si è abbattuta su Riace e il suo sindaco, Domenico Lucano, ha distrutto quel modello di accoglienza e di convivenza tra cittadine/i e immigrate/i divenuto famoso in tutto il mondo. Una distruzione iniziata molto prima dell’arresto e della rimozione del sindaco, con il blocco dei finanziamenti del ministero degli Interni e della Prefettura di Reggio Calabria, e che si è completata con la chiusura del progetto di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), riattivato solo nel maggio 2019 in seguito a una sentenza del Tar Calabria che ha accolto il ricorso del vicesindaco. Con la chiusura dello Sprar la maggioranza delle/i migranti è stata trasferita in altri centri e altre/i hanno tentato la fortuna altrove. Alcune/i sono poi ritornate/i a Riace perché lì hanno una casa e una vita dignitosa. Oggi nel paese vivono una trentina di migranti. Le operatrici e gli operatori delle associazioni hanno perso il lavoro, i laboratori dove per 20 anni hanno lavorato insieme riacesi e migranti, perlopiù donne, sono stati chiusi, gli asini della fattoria didattica, utilizzati per la raccolta differenziata, sono stati messi sotto sequestro, perché le stalle sono state dichiarate non agibili, la taverna “Donna Rosa” è stata chiusa, il poliambulatorio pure e così pure l’asilo. Private del loro sindaco – messo prima ai domiciliari, mandato poi in esilio e rientrato a settembre 2019 -, le famiglie si sono spaventate per un’inchiesta giudiziaria che ha visto coinvolte direttamente o indirettamente molte di loro. Alle ultime elezioni il candidato della Lega, Antonio Trifoli, ha potuto soffiare in modo strumentale su malumori, paure, false percezioni della cittadinanza in particolare di Riace Marina, secondo cui Lucano era stato solo il sindaco delle/degli immigrate/i, dove ha raccolto la maggioranza dei voti. Trifoli è diventato sindaco. Lucano, a cui è stato negato il permesso di rientrare a Riace per fare campagna elettorale, nonostante la maggioranza dei voti del borgo, non è stato eletto consigliere comunale.
Il nuovo sindaco ha da subito tentato di cancellare ogni simbolo che potesse ricordare quell’esperienza di accoglienza, come se la memoria non andasse al di là dei simboli e non continuasse a vivere nella coscienza e nel ricordo di quante/i quell’esperienza l’hanno conosciuta, vissuta, raccontata o semplicemente letta.
Poco prima della festa patronale il nuovo sindaco ha sostituito il cartello all’entrata del borgo “Riace, paese dell’accoglienza” con l’immagine dei Santi protettori del paese, Cosma e Damiano, evento benedetto da due preti, che hanno però dimenticato di ricordare a sé stessi e al sindaco che i due fratelli gemelli erano stranieri, originari dell’Arabia, e che da medici prediligevano nella cura i più poveri e gli emarginati. Poi è stata la volta della rimozione del cartello con una citazione di Peppino Impastato, il giornalista ucciso da Cosa Nostra nel 1978. «Mi sembra che sia l’ennesimo tentativo di rimuovere tutto ciò che di positivo aveva il paese di Riace, come l’accoglienza e la lotta alla mafia» ha scritto la sorella di Peppino, Luisa Impastato.
Trifoli non avrebbe dovuto essere eletto, secondo il Ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria, in quanto come dipendente del Comune non poteva candidarsi, e in quando titolare di contratto a tempo determinato non poteva usufruire del congedo per fare campagna elettorale. Dichiarato ineleggibile, ha presentato ricorso, e intanto continua ad amministrare. Inoltre, un assessore della sua Giunta, consigliere di Fratelli d’Italia, subito dopo le elezioni è stato arrestato, perché legato a una potente cosca di ’ndrangheta.
Di fronte alla desolazione e desertificazione di Riace, Lucano non si è arreso e con lui tante/i che non hanno mai smesso di credere in lui e nel suo progetto. Il 12 gennaio 2019, a Caulonia dove viveva per il divieto di dimora, è nata la Fondazione “È stato il vento”, per iniziativa della coordinatrice della Rete dei Comuni Solidali (Recolsol) Chiara Sasso, di Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), del missionario comboniano Alex Zanotelli, dei magistrati Livio Pepino ed Emilio Sirianni, della pediatra e laica comboniana Felicetta Parisi e di Barbara Vecchio della rete delle cooperative Longo Mai. «È stato il vento… a trasportare una nave carica di curdi sulle coste ioniche nei pressi di Riace e da lì è partito un po’ tutto», sono le parole con cui Lucano ha sempre raccontato come ha avuto inizio l’esperienza di Riace nel lontano 1998, quando sulle coste della Locride approdò un veliero, carico di curdi (66 uomini, 46 donne e 72 bambini/e) in fuga dall’Iraq, dalla Siria e dalla Turchia e diretti in Europa.
C’è un augurio tipico che passa di bocca in bocca tra gli uomini che tentano le imprese in mare: “Buon vento”, si dicono, offrendosi l’un l’altro l’auspicio che le correnti sappiano guidare il bastimento verso la meta prefissata. È lo stesso augurio che accompagna la Fondazione nel suo progetto di rinascita, di resilienza. Resilienza da “resalio” che – come scrive Elly Irukandji, giovane scrittrice calabrese, nel suo romanzo Resalio – è un iterativo del verbo latino “salio” che significa “saltare, balzare”. “Resalio” è stato associato all’atto di risalire e l’associazione più poetica e ricorrente è quella del risalire sulla barca rovesciata dalle intemperie del mare. In metallurgia, infatti, sta a significare la capacità dei metalli di resistere alla pressione dei colpi cui vengono sottoposti. Queste caratteristiche rilevate in natura hanno fatto sì che “resalio” desse i natali alla parola “resilienza”.
Una resilienza, una rinascita, iniziata con la pulizia dei laboratori, che oggi sono stati riaperti. È stato riaperto un asilo parentale e sta andando avanti la ristrutturazione di Palazzo Pinnarò, storica sede dell’associazione Città Futura con cui Lucano ha gestito sin dall’inizio il progetto di accoglienza, qui verrà istituito un Centro documentazione, in collaborazione con alcune Università, con lo scopo di raccogliere tesi di laurea su Riace. È stato riaperto il frantoio di comunità con l’aiuto della popolazione e quando sarà tutto pronto i proprietari degli ulivi porteranno il raccolto. È stata riaperta la taverna “Donna Rosa”, dal nome di una venditrice di stracci di Riace. Il progetto della Fondazione – come ha scritto la sua presidente, Chiara Sasso – guarda a un’accoglienza “spontanea”, ai cosiddetti “lunghi permanenti”, cioè a coloro che pur non avendo più i requisiti per poter continuare ad essere accolti, hanno deciso di restare a Riace. In questa prima fase è sostenuto dai fondi raccolti dalla Fondazione, poi dovrà sostenersi autonomamente con le botteghe, collegate con le tante associazioni che hanno dato la disponibilità per veicolare i prodotti, e col turismo diffuso. Le case vuote dei riacesi emigrati entrano nel progetto. L’associazione Città Futura si sta organizzando per affittare per brevi periodi le case a costi sostenibili, per vacanze o altro.
Segno di una Riace resiliente è stata la manifestazione a sostegno di Domenico Lucano, organizzata da Jasmine Cristallo, responsabile delle sardine calabresi e ideatrice del movimento dei balconi contro Matteo Salvini, del 6 gennaio scorso davanti alla taverna “Donna Rosa”, nel giorno in cui Salvini era a Riace marina per le elezioni europee. Il paese resta spaccato in due, la marina e il borgo antico con la sua resilienza e rinascita, nonostante l’ostilità dell’amministrazione comunale e del suo sindaco.
(A&P – Autogestione & Politica Prima, N. 2/3, aprile/settembre 2020, “Questo è il tempo della resilienza”)