Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci inviato questa sua traduzione di un testo del febbraio 2000 di Ruta Charles, esperta sulle problematiche relative all’acqua e funzionaria dell’ambasciata olandese in Sudan.
Il Sudan e’ attraversato dal Nilo e dai suoi tributari, rendendo meno grave la scarsita’ d’acqua che invece affligge altri paesi: tuttavia il problema e’ sentito fortemente nelle zone aride e durante la stagione secca, ed il nomadismo e la transumanza portano spesso al conflitto fra comunita’ per l’uso dell’acqua. Si compete sull’acqua potabile, sulle zone di pascolo che circondano le sorgenti, e sul possesso del bestiame (i cicli di “rapimento” e “riconquista” di una mandria possono andare avanti per anni). In anni recenti, a causa della guerra civile, questo tipo di conflitti ha subito un’intensificazione, perche’ ora le tribu’ hanno accesso alle armi e non combattono piu’ nei modi tradizionali, ma usando mitragliatori e fucili a lunga gittata. Un altro dato importante e’ l’estesa presenza di mine antiuomo nel suolo: le parti combattenti hanno preso l’abitudine di infestare con le mine i terreni circostanti le fonti d’acqua, e poiche’ e’ compito delle donne provvedere l’acqua alla famiglia e cercarla in tempi di siccita’, esse sono il gruppo piu’ a rischio. Ma ne affrontano anche altri, in special modo nell’ovest e nel sud-est del paese, dove per raggiungere l’acqua devono affrontare lunghi cammini, durante i quali possono essere uccise, stuprate e rapite, a seconda dei conflitti esistenti fra le tribu’.
Le donne del sud-est del Sudan hanno deciso ad un certo punto di porre fine alle competizioni per il possesso dell’acqua e del bestiame, che nella loro zona coinvolgevano le tribu’ Toposa, Boya e Didinga, formando un Comitato di pace. L’idea del Comitato era di mettere insieme le donne dei tre gruppi, in modo da mostrare agli uomini che era possibile vivere pacificamente insieme, pianificando la condivisione delle risorse disponibili. Il Comitato dapprima incontro’ separatamente gli anziani di ogni tribu’, poi invito’ ad un incontro i capi. Per farlo, le donne dovettero rompere delle regole sociali tradizionali: ad esempio, le corti dei capi si trovano sotto il piu’ grande albero dell’area, preferibilmente nella zona del mercato, ed alle donne non e’ permesso sedere sotto l’albero e parlare ai capi durante le loro assemblee. Queste donne ruppero la regola, andando sotto questi grandi alberi a chiedere la fine delle guerre tribali. Minacciarono di negare le loro figlie in mogli a chi come dono per il matrimonio avesse portato bestiame rubato e, minaccia ancor piu’ seria ai capi, dissero che avrebbero smesso di dormire con i loro mariti. Queste furono le loro precise parole: “Perche’ dovremmo avere bambini, se poi dobbiamo crescerli perche’ vengano uccisi o rapiti prima ancora di vederli cresciuti?”. Le donne sciamarono da un villaggio all’altro, formando sotto-comitati di pace, finche’ i capi accettarono l’idea, e le sostennero nel loro sforzo di organizzare incontri fra le tribu’.
La cosa che colpisce di piu’, di questo lavoro di pace a livello di base, e’ che queste donne sono illetterate, prive di qualsiasi addestramento nella risoluzione dei conflitti, e vivono in una zona remota a stento raggiunta dagli aiuti umanitari dell’Unicef (che comunque non sono frequenti): l’idea fu del tutto loro, scevra da influenze esterne. La nostra ambasciata ha incontrato queste donne per ascoltarle ed imparare da loro, ed ha deciso di sostenerle e di facilitare la loro presenza nei processi di pace.