Gemma De Magistris
Su Milano City leggo che il preside di un liceo romano ha pensato di fornire agli studenti una tessera con chip per registrare presenze e ore di entrata e uscita.
Qualche rigo più sotto: il ministro Brunetta ha annunciato il ricorso agli sms (certo più economici di tessere, badge e chip) per migliorare le comunicazioni con i cittadini. Anche i genitori saranno informati di assenze o cattivi voti dei figli ricorrendo alla rete o agli sms. L’articolo aggiunge che circa 500 scuole in Italia utilizzano registri elettronici in modo che ogni genitore può collegarsi con il sito della scuola e, tramite password, conoscere voti, assenze, comportamento e in seguito chissà.
Come madre provo un primo senso di sollievo: vigilanza assicurata, non avrò più bisogno di chiedere alle mie figlie come va, tanto lo saprò collegandomi con la loro scuola. Come docente di una scuola superiore penso: “Sarà tutto più semplice, inserisco ogni 4 (magari anche un 8) in rete ed è tempo risparmiato per tutti”.
Ma si insinua lentamente dentro di me un senso di disagio: senza davvero volerlo, da mamma-docente comincio a sentirmi un po’ delatrice.
Insegno da circa 30 anni, sono madre da 20. In tutto questo efficiente sistema di comunicazioni in tempo reale, dove vado a collocare i nostri ragazzi e le nostre ragazze, questi sconosciuti lazzaroni, fragili e perfino un po’ disperati se devo credere all’altro articolo presente nella stessa pagina? Secondo un’indagine Gallup, i giovani italiani risultano in coda per aspettative e speranze.
Ma come faccio passare nelle mie classi la fiducia se dopo un’interrogazione mi precipito al computer invece di incastrare la mia studentessa, che di certo conosco anche un po’, per chiederle se non ha studiato, se non ha capito, se non ha voglia? Certo è faticoso per me che chiedo, per lei o lui che qualcosa risponde, o bofonchia magari mandandomi tacitamente o meno al diavolo. Un sms al cellulare della mamma, un numero nel registro elettronico e sono libera da ogni responsabilità.
Come cercare strategie, correggere metodi, trovare insieme strumenti per partire da sé e imboccare il sentiero parmenideo del sapere per desiderio?
Peccato che io abbia a che fare con persone, ognuna di loro con problemi, caratteri, potenzialità, e dinamiche familiari diverse… Davvero un peccato perché questi metodi così efficienti mi trasformano in una burocrate privandomi di ogni possibilità di relazione. ?Siamo proprio certe, care colleghe e colleghi, cari dirigenti scolastici, cari genitori di volere davvero annullare una comunicazione basata sul tono di voce con cui viene annunciato un votaccio o anche un bel voto, il linguaggio di questi corpi in crescita goffi, di quei toni spavaldi e timorosi insieme, di quegli sguardi che vogliono rassicurare e forse (certo non sempre) chiedono?
Il buon vecchio Aristotele, forse nemmeno tanto buono, sosteneva che per una “amicizia” (relazione, accettazione dell’altro per se stesso) occorreva la consuetudine della frequenza. Le mie studentesse riflettendo su questo spesso affermano: “È vero prof., con un sms o con una mail manca qualcosa!”
Ma allora perché non risparmiare sul serio energie, parole, e molti soldi?
Perché non fare una scuola senza scuola? In poche ore mi collego, invio appunti, qualche nota, numeri di pagine e poi, sempre on-line, interrogo, valuto e comunico alla famiglia.
Ma cosa stiamo facendo? Ma questo mondo lo vogliamo abitare insieme mostrando che ci sono altre strade che non il muto e tetro esercizio del potere?