14 Gennaio 2005
Liberazione

Il femminismo sfida la sinistra: «Per vincere, smantella il patriarcato»

Piero Sansonetti

Oggi con Liberazione viene venduto un libro, che hanno curato Carla Cotti e Angela Azzaro, intitolato “Nel cuore della politica”. Raccoglie i pensieri, le idee, gli scritti di un gruppo di donne e di alcuni uomini che nell’ultimo anno, più o meno, si sono misurati con quella questione complicatissima, aggrovigliata e molto grande che noi chiamiamo “questione di genere”. Cosa è? L’insieme mai risolto dei problemi che riguardano la relazione, la convivenza e la lotta tra le due parti nelle quali è divisa l’umanità: l’uomo e la donna. L’anno che è passato è stato un brutto anno per tanti motivi. Il principale, forse, è la sconfitta pesantissima subita da tutti noi nel referendum sulla fecondazione assistita. E’ stato l’anno del ritorno in politica – forte e arrogante – del Vaticano nella sua versione integralista e nella sua pretesa ecumenica e totalizzante (totalitaria). Ma è stato anche un anno importante, di risveglio: il femminismo è tornato a parlare, a combattere, è sceso in piazza – specie negli ultimi mesi – mostrando una forza e una capacità di pesare che non si vedeva più da molti anni. Ha detto Lea Melandri: è uscito dal silenzio.
Il libro che vi proponiamo di acquistare si chiama “Nel cuore della politica”. Abbiamo scelto questo titolo perché il femminismo ci ha convinti che quando si parla della questione di genere non si parla di uno dei tanti problemi della politica, ma del suo centro, della sua essenza, del cuore: appunto, il cuore in quanto motore della vita e sede dei sentimenti, delle energie, della gioia.

La sfida che il femminismo ci ha lanciato, che ha lanciato soprattutto alla sinistra – sconfitta nel referendum e ora candidata a guidare il governo del paese – è esattamente questa: capire che la lotta tra i generi – la difesa delle loro differenze, della pari dignità, della complessità delle loro relazioni – non è un problema fondamentale della politica ma è il problema dei problemi. E’ il punto di partenza. Perché? Provo a rispondere per quello che ho capito. Perché oggi non è possibile una critica seria della società e dello Stato, e un progetto di contenimento delle sopraffazioni – delle disuguaglianze di diritti, dei domini, delle prepotenze – se non si parte dalla prepotenza principale che da millenni – prima ancora del delinearsi della società capitalista e del liberismo contemporaneo – ha condizionato e modellato tutte le forme della convivenza. Questa prepotenza, con una parola abbastanza semplice e antica, si chiama “patriarcato”, cioè potere maschile, modello maschile, cultura del maschio. E’ un modello fondato sulla gerarchia, sul dominio e sulla burocratizzazione dei meccanismi di formazione e di esercizio del potere. Ed è un modello che ha trovato la sua espressione più moderna nel capitalismo, nel pensiero liberista, e oggi nella globalizzazione violenta e “Occidento-centrica” alla quale assistiamo.

E’ ragionevole pensare a una riforma di questa società, e degli Stati, senza una critica serrata del “potere”, del modo come si forma, come si distribuisce, come si esercita? Non è ragionevole. E’ impossibile pensare a nuovi orizzonti per la libertà e per l’uguaglianza – e tanto più per la fraternità o per la sorellanza – se non si passa attraverso una fase di critica totale del potere e attraverso un suo ridimensionamento.

Bene, le femministe ci dicono che questo modello del potere, che noi vogliamo combattere, è interamente costruito sulla logica guerresca, competitiva, efficientista e gerarchizzante che sta alle fondamenta del patriarcato.

Sarà ora che noi maschi di sinistra ci convinciamo a fare i conti con questi punti di vista. Dobbiamo raccogliere la sfida. Capire che ci riguarda. I maschi di destra non hanno grandi preoccupazioni. Il loro punto di vista è chiaro: nella vita, nella storia, è bene che vinca il più forte, perché a lui tocca la guida e i più deboli potranno godere di una parte, seppur modesta, dei suoi successi. Il più forte vuol dire il ricco, il muscoloso, l’armato, il furbo, colui che ha alleati potenti. Il più forte vuol dire il maschio. A lui il potere, i deboli possono obbedire, essere subalterni, e ricevere qualche regalia; oppure ribellarsi ed essere sconfitti. Il maschio di destra non ha bisogno di misurarsi col femminismo.

Noi invece, se davvero vogliamo contestare la crisi di civiltà alla quale l’occidente capitalista e “poterista” si sta avviando, non possiamo eludere la questione del rapporto (conflitto) uomo-donna. Il femminismo ci dice: non si può smantellare questa società se non si smantella il patriarcato. Difficile dargli torto.

Non useremo questo otto marzo per parlarvi di quote rosa, o del fatto che in Italia solo un quotidiano ogni cento ha una direttora, cioè una donna al comando, non vi parleremo dei governi di tutti maschi, dei consessi di segretari di partito dove le donne non sono ammesse – come nei concistori, nei conclavi – né di tante altre questioni di questo tipo. Ne accenniamo solo per dirvi una cosa: nel momento in cui i gruppi dirigenti – maschili – dei partiti si sono arrogati il diritto (sfruttando il potere loro concesso da una legge elettorale antidemocratica) di nominare un parlamento che per oltre i due terzi è composto da maschi (ma forse anche quattro quinti, forse cinque sesti) non hanno compiuto un gesto che offende la rappresentanza delle donne. Non è questo il problema, non sta in questi termini. Hanno commesso un gesto che offende la civiltà. E noi dobbiamo decidere se accettare o no la sfida che ci viene dalle donne: smantellare il patriarcato per salvare e ricostruire la civiltà.

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