Sono Lucia Muraro, vivo in un paese del Veneto e sono vicina agli ottanta anni.
Ecco il racconto di quel giorno fatto alla mia cara sorella Luisa.
Eravamo a gennaio, erano le otto del mattino. Dieci giorni prima era mancata la nostra carissima mamma e i miei pensieri in quei giorni andavano continuamente a ritroso nel tentativo di avvertirne ancora la presenza.
Il sole era apparso all’orizzonte di fianco alla collina. Salii le scale di casa dove c’era la mia stanza da letto e mentre stavo riordinando sentii un rumore, giù, in una delle stanze del piano terra. Mi affacciai sul vano delle scale chiamando mia sorella che abita nella casa accanto e che spesso mi viene a trovare. Non ci fu nessuna risposta, ma questa volta udii il calpestio inequivocabile di qualcuno che si era introdotto in casa.
Mi lanciai di corsa giù dalle scale e feci in tempo a scorgere due figure di donna vestite di nero che fuggivano dalla porta della cucina. Le inseguii fino al cancello che erano riuscite ad aprirsi e che richiusero di colpo prima che le raggiungessi. Notai allora che entrambe indossavano un mantello a ruota e che una delle due aveva tra le braccia un fagotto, forse un bambino.
Tornai di corsa sui miei passi, rinunciando all’inseguimento. Corsi nello studiolo e aprii il cassetto dove da sempre tenevamo i soldi. Era in ordine, ma quando aprii la busta contente i soldi, vidi che erano spariti. Ebbi un tuffo al cuore! Andai al telefono e chiamai il numero dei vigili urbani denunciando il fatto e descrivendo loro l’aspetto delle due donne che mi avevano appena derubata. La Vigile che aveva risposto alla mia chiamata era di pattuglia su di un’auto. Dopo solo cinque minuti mi richiamò dicendomi che le due zingare erano state individuate e che un collega vigile sarebbe venuto da me a prendermi per il riconoscimento!
Quasi non credevo a quello che mi si diceva. Il dispiacere che avevo provato pochi minuti prima quasi scomparve: anche se l’eventualità di tornare in possesso dei miei soldi era praticamente nulla. Questo è assodato: c’è sempre un complice che si incarica della refurtiva un istante dopo. Ma il fatto di aver rintracciato quelle due, in quel momento mi diede una grande soddisfazione.
Io ho sempre fatto l’elemosina alle zingarelle che suonano al campanello di casa… senza mai farle entrare naturalmente! Una precauzione adottata da tutti nel paese. In realtà è una continua sfida tra le zingare estremamente abili nei furti e la gente che cerca di dribblarle, spesso senza successo.
In quel giorno, in quei momenti, sentivo che la mia era una rivincita, visto che io avevo sempre trattato loro umanamente. Mi aspettavo, ne ero certa, che le due ladruncole fossero due ragazze dell’accampamento che si trovava a due chilometri da noi e che spesso passavano a chiedere l’elemosina.
Quando finalmente mi avvicinai con la Vigile alle due vestite di nero e col mantello a ruota, vidi che realmente una delle due teneva tra le braccia un neonato. Erano loro le ladruncole! La Vigile mi disse che dovevo dire se le riconoscevo, nel caso contrario dovevano lasciarle andare. Le due tuttavia non erano le ragazze che mi aspettavo di vedere. Erano delle sconosciute: minute di corporatura, molto giovani, pallide, impaurite. La rabbia si trasformò in pena. Dissi che non le riconoscevo… e le lasciarono andare.
Per un po’ rimasi a osservarle mentre si avviavano verso la strada che porta a Vicenza. Sperai che avessero avvertito quel mio sentimento di un momento prima.