di Laura Colombo
Non perdiamo il punto politico emerso nell’incontro dell’11 luglio 2014 alla Libreria delle donne La violenza, fuori e dentro di noi. Lì era in questione se Maschile Plurale ha l’autorità di parlare contro la violenza maschile, uno dei membri avendo ricevuto l’accusa di violenza psicologica da parte della ex compagna. Agli uomini di Maschile Plurale presenti è stato chiesto di prendere posizione con più forza, energia e determinazione.
Il punto politico che mi preme sottolineare è quello sollevato da Massimo Lizzi, quando ha detto che nella nostra cultura gli uomini continuano a essere in vantaggio per il semplice fatto di essere uomini e che il fatto della violenza sessista non li danneggia, anzi! Lo sappiamo, la nostra è una civiltà cresciuta sulla violenza contro le donne e sul vantaggio maschile. Pensiamo per esempio al matrimonio, storicamente inteso come istituzione patriarcale che permetteva alle donne di mantenersi in cambio di prestazioni sessuali (Carole Pateman ha parlato di “contratto sessuale”). Oggi la maggioranza degli uomini non è responsabile di violenza ma di indifferenza, perché la violenza di pochi, dice Lizzi, porta vantaggi all’intero genere maschile: controllo e potere sulla donna, facile soddisfazione dei propri desideri a discapito di quelli di lei, appagamento dei propri bisogni affettivi e via discorrendo. La violenza è quindi strutturale, connaturata al rapporto di potere tra i sessi, non tanto al maschio. I vantaggi sono anche personali, in termini di carriera e soldi per i progetti, di riconoscimento, stima e approvazione da parte delle donne. Di più, se un uomo parla contro la violenza sessista “brilla” e subito la cosa diventa politicamente significativa, più che se parlassero cento donne. Tuttavia i proclami non bastano e troppo spesso le belle parole di comunicati e convegni sono lontane da una pratica concreta di impegno nelle relazioni. Sanno di questi vantaggi anche gli amici di Maschile Plurale, che da molto tempo riflettono e scrivono mettendo in discussione il patriarcato. Con alcuni di loro sono in relazione politica da anni e ho fiducia che possiamo continuare un percorso insieme. Mettere in discussione una civiltà chiede radicalità. Riflettere a partire dal vantaggio strutturale che un uomo ha dalla violenza sessista è, a mio avviso, un’occasione per andare a vedere come, oggi, noi stessi, anche le donne, combattiamo la violenza maschile tentando di prendere il problema alla radice, per esempio demistificando la cultura che la produce, ancora viva nelle istituzioni, nella tradizione, nelle usanze, negli stereotipi e troppo spesso nella mente degli uomini.
C’è un’altra questione che vorrei sollevare. Durante l’incontro in Libreria è stato evidente che gli uomini di Maschile Plurale non avevano ancora elaborato nulla sul fatto che tra di loro potevano esserci uomini accusati di violenza. Forse per una confusione dell’impegno politico con l’indulgenza amicale, della vicenda privata con quella resa pubblica e politica? Confusione o incapacità di cogliere il passaggio in cui il personale diventa politico? Questo passaggio non è certo semplice ed è ancora più complicato nella recente vicenda di Maschile Plurale. La formula femminista “il personale è politico” indica la singolarità dell’esperienza che assume valore politico, ovvero quell’esperienza che non si esaurisce nella singolarità. Insomma, partire da sé non vuol dire fermarsi presso di sé. Si tratta di una pratica che individua precisamente il conflitto rispetto alla realtà data e produce altri significati, altre misure, altri saperi. Il femminismo radicale ha saputo compiere questo passaggio, confliggendo anche duramente con l’esistente. Esempi noti sono la proposta di depenalizzazione dell’aborto, il lavoro sulla sessualità e sul corpo, la riflessione sul rapporto educativo e la scommessa – ancora aperta – su una politica delle relazioni con uomini in grado di mettere in discussione forza e potere. Siamo tutti e tutte d’accordo, mi pare, nel dare alla nostra rete di rapporti personali un valore pubblico e anche un compito politico. Questo valore e questo compito devono riflettersi nella qualità dei rapporti e nel linguaggio che usiamo.
In conclusione, una nota sul dibattito (che al momento prosegue in rete). Giocando il conflitto fino in fondo, non possiamo chiedere la resa dell’avversario o pretendere che sia esattamente come vogliamo noi. Possiamo invece portare avanti la nostra differenza, riconoscendo all’altro gli spostamenti che fa ed evitando le ripetizioni senza senso.
(www.libreriadelledonne.it – 24/7/2014)