Quattro realtà, quattro storie di maestre e un maestro, diversi per età e per impatto emotivo, l’immagine è comune: sono scuole, come ce ne sono tante, con i banchi a volte azzurri a volte marroni, con i cartelloni alle pareti, i bambini con le maglie delle squadre di calcio e i quaderni con i personaggi dei cartoni animati, ma è proprio in questa normalità che si trova lo speciale che c’è in ognuno di loro…
Michela Brugali*
L’amore che non scordo – Storie di comuni maestre è un film-documentario che
racconta diverse realtà scolastiche riprese tra il 2005 e il 2007 tra Milano, Roma e
Bologna, da un’idea di Vita Cosentino, Maria Cristina Mecenero; Daniela Ughetto
e Manuela Vigorita… Detta così sembra la storia più ordinaria che si possa raccontare, se non fosse che a muovere queste quattro donne è un grande desiderio: “far conoscere qualcosa di questo tesoro anche fuori”; e il tesoro di cui parlano è quell’esperienza umana piena di vitalità e amore che fa sì che la scuola statale italiana sia considerata una delle migliori al mondo. Aggiungete la voglia di rilanciare e allargare il dibattito sulla scuola a chi già insegna, ma anche a coloro, mamme e papà di oggi e di domani, che hanno a cuore la scuola pubblica come elemento essenziale di una società civile, guardate questo film e avrete molto materiale su cui riflettere.
La storia inizia una sera, nel 2004, alla Libreria delle donne di Milano. Manuela
conosce Vita che vuole fare un film sulla scuola, per provare a raccontare ciò che succede, quell’energia che passa tra una maestra e i bambini, quella relazione in cui non puoi fare a meno di mettere in gioco tutto, non solo il tuo sapere, ma anche le tue convinzioni, le tue paure, le incertezze e le esperienze. All’iniziativa collaboreranno Daniela e Maria Cristina, insegnante, che aveva da poco finito di scrivere il libro Voci maestre, nel quale intervista alcune colleghe; completa la troupe Angelo Ferranti, il produttore di TV Days.
Nasce così questo progetto, che è il racconto di un viaggio, è entrare in punta di
piedi in un luogo definito pubblico, ma che pubblico non è, se non per il fatto di
averci tutti visti passare. Uno spazio privilegiato per i bambini e quasi negato agli
adulti, se non a coloro, le maestre, che sono lì per indicare la strada, per ascoltare, per incoraggiare, per insegnare, non solo nozioni, ma molto di più; e questo lo sanno bene Vita, Cristina, Manuela e Daniela.
Quattro realtà, quattro storie di maestre e un maestro, diversi per età e per
impatto emotivo, l’immagine è comune: sono scuole, come ce ne sono tante, con i
banchi a volte azzurri a volte marroni, con i cartelloni alle pareti, i bambini con le
maglie delle squadre di calcio e i quaderni con i personaggi dei cartoni animati, ma
è proprio in questa normalità che si trova lo speciale che c’è in ognuno di loro. La
prima insegnante che si racconta è Chiara, insegna nella scuola di Casalecchio sul Reno in provincia di Bologna. Mi colpisce per i suoi occhi, chiari, la sua capacità di
aspettare i tempi dei bambini, trovare la giusta attesa, fare in modo che il pensiero si costruisca dentro la testa e arrivi alla parola; lascia i bambini sdraiarsi per terra, e questi scrivono sui loro quaderni in uno spazio d’intimità ed alla fine si ritrovano in cerchio a condividere e raccontarsi. E’ l’importanza del linguaggio, della parola, come espressione di sentimenti, di vissuti, non solo dei bambini ma anche degli insegnanti. Lei, Chiara, li racconta nell’intimità della sua casa, preparando un caffé e comunicando a noi tutta l’esperienza, condita da perplessità e stupore che fa dell’insegnamento una pratica difficile e responsabile, ma vera ed emozionante.
Ci ritroviamo poi a Campoleone provincia di Roma, dove Adriana e Bardo
insegnano, preparano con i bambini un grande cartellone, che raffigura una spirale sulla quale i bambini camminano, in una sorta di viaggio a ritroso fino alla nascita.
In questa scuola si dà importanza alla memoria personale e storica, in un intreccio umano e di condivisione; i compleanni non si festeggiano individualmente, ma raggruppandoli e legandoli alle stagioni; nel corso dell’anno scolastico le mamme sono state invitate ad andare a scuola per raccontare la storia di ogni bambino, di quando sono nati, attraverso le foto, gli oggetti e le emozioni: la storia individuale diventa ricchezza da condividere. La scuola è divenuta, dagli anni Ottanta ad oggi, luogo aggregante per la comunità, spazio attorno al quale si è venuto a creare il tessuto sociale, “un racconto corale, fatto di intersezioni e microstorie”.
Poi c’è Alice: è un’insegnante di Milano, sta per andare in pensione, si presenta
come una donna forte, esuberante, eccentrica; istintivamente mi porta alla mente l’immagine di una grande quercia alla quale ci si può sempre appoggiare, disponibile a farti ritrovare sotto le sue grandi fronde la tua parte di bimbo, anche se non lo sei più. La scuola è la sua famiglia allargata, nei tanti anni d’insegnamento la maestra ha coltivato relazioni con i suoi allievi e le loro famiglie, che ancora oggi sono i suoi migliori amici: vanno a trovarla, le presentano le fidanzate e i fidanzati, organizzano insieme incontri e momenti di svago.
L’ultima storia è girata in una scuola di Settimo Milanese. La maestra si chiama
Cristina, insegna in una quinta, i bambini sono alla fine dell’anno, ma soprattutto
al termine di un ciclo, hanno passato insieme 5 anni e, se ci si pensa, sono la metà di quelli che hanno oggi! Con lei sperimentano l’esperienza del distacco, e si scopre che i bambini, qui come nelle altre scuole, sanno scrivere, amano leggere e vogliono raccontarsi; e nel rimando tra parole dette e parole scritte si apre un mondo di emozioni e di vissuti, tamponati alla fine a colpi di scottex.
È così, stando vicino ai protagonisti dell’infanzia, nella quotidianità dell’insegnamento, che L’amore che non scordo racconta il microcosmo che è dentro a queste aule. Parte invisibile nei programmi didattici, lontana da quell’immagine di scuola come un enorme pachiderma, lento e indolente troppo spesso descritta. Ciò che ne viene fuori, senza forzature e con naturalezza, è una realtà fatta di affetti, di sguardi complici, di risate e impegno, in particolare delle maestre che ogni giorno accolgono i bambini per poi inventare, sperimentare metodologie nuove, ma sempre legate al concreto, all’esperienza personale e verso la costruzione della conoscenza. Non vuole essere un’analisi, è un contributo di forte impatto che trasmette emozioni, ribadisce l’importanza di riconoscere, rispettare e custodire quello che già esiste, “per traghettare verso il futuro quelle cose che sono fatte bene, vanno bene e ci fanno onore”, perché ci sono tante donne e uomini che hanno voglia di parlare di bambini, di condividere ciò che fanno e ripartire per ragionare insieme.
Quella che ci vuole mostrare è la scuola come un luogo nel quale si costruiscono
legami che hanno origine dal fare insieme, dal piacere di fare insieme, in forme
di collaborazione, gioco, lavoro; dove ad imparare non sono solo i bambini, ma
anche le maestre e i maestri che, delle relazioni intime che vivono in questi piccoli
universi e della consapevolezza quotidiana, possono fare tesoro.
Il DVD è corredato da un libro diviso in due sezioni: la prima in cui le registe
raccontano la loro esperienza vissuta entrando nelle aule. Le descrizioni sono accompagnate da un bel testo di Francesca Comencini nel quale definisce L’amore che non scordo come “un documentario che a passi di colomba ci parla di cose immense” ed aggiunge “E’ tempo di scoprire e di raccontare l’altra faccia di questo paese, la faccia positiva, propositiva, operosa, creativa, quella di queste maestre e di questi maestri, la faccia di tutti coloro che non fanno notizia, ma fanno miracoli”; nella seconda sezione si dà spazio alla riflessione, guidati dalle parole delle autrici, delle maestre, e da coloro che in questo progetto ci hanno creduto e partecipato, in una sorta di un dialogo aperto, tra narrazione e riferimenti bibliografici, ci invitano a nuove considerazioni e forme di approfondimento. Nell’ultima parte si parla in particolare di autoriforma, un percorso iniziato nel 1995 e che continua ancora oggi, cercando di dare voce a chi lavora nelle scuole, mettendo a confronto le diverse realtà con il desiderio di attuare un cambiamento che venga dall’interno.
Il film-documentario realizzato con il patrocinio della Provincia di Milano e del
Ministero dell’Ambiente è stato presentato per la prima volta a Milano il 28 febbraio di quest’anno presso il cinema Gnomo, in una quattro giorni di proiezioni e dibattiti. Ulteriori proiezioni (presso lo Spazio Oberdan e la Sala Cervi di Bologna; per esempio) e promozioni (Commissione delle Pari Opportunità di Grosseto e Unione Femminile Nazionale) si sono susseguite nei mesi immediatamente successivi.
Ma l’aspetto che colpisce di più sono i molti messaggi e commenti che si
trovano nella rete, nei forum degli insegnanti, in quel mondo sommerso a cui il
film vuole dare voce. Forse emozionarsi negli sguardi dei bambini simili ai loro,
forse un po’ per ritrovarsi con le colleghe, per uscire dalla routine del lavoro o per
trovare la voglia di raccontarsi… Ci sono molti motivi per cui un gruppo d’insegnanti dovrebbe vedere questo documentario; e quello che, soprattutto, se ne può ricavare è la scoperta di nuove opportunità, nuovi spunti che restituiscano la volontà di considerare la scuola come un fondamentale momento sociale e civile, che va al di là della didattica, che è affare di tutti: dei bambini, che la scuola devono imparare ad amarla, dei genitori che, troppo spesso affaccendati, delegano momenti educativi importanti e di quelli che ormai lontani dall’istituzione scolastica, riuscirebbero comunque ad esserne risorsa, colma di sapere, che avrebbe valore custodire e condividere. Le maestre possono essere il tramite per far capire che molti passi si sono fatti e si stanno facendo nelle scuole e che probabilmente questo è il momento per dire che le cose possono un po’ cambiare se a conoscerle e ad occuparcene siamo in tanti.
*Coordinatrice pedagogica Servizi minori Nerviano (MI),
Stripes Cooperativa Sociale ONLUS