21 Novembre 2015
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Mia Madre Femminista

di Betti Briano


Pensieri su “MIA MADRE FEMMINISTA. Voci da una rivoluzione che continua”, a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini Ed. Il Poligrafo Padova 2015.

Aspettavo questo libro da quando ho conosciuto le autrici a Paestum nel 2012 al grande incontro del femminismo radicale “Primum Vivere anche nella crisi” ed ho saputo che stavano lavorando ad una storia del movimento femminista in Italia dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso ai giorni nostri. L’interesse è nato per il fatto che, avendo a cuore il passaggio generazionale della memoria degli avvenimenti e delle idee che hanno trasformato radicalmente il modo di vivere e di pensare di tante donne che come me sono state giovani nella seconda metà del ‘900, porto avanti con la comunità Eredibibliotecadonne una pratica politica mirata proprio alla promozione e alla cura dell’eredità da trasmettere tanto attraverso libri e documenti quanto con parole che viaggiano in rete o vengono scambiate in presenza. Quando poi ho potuto leggere i contributi di Marina e Luciana comparsi su un numero di DWF del 2012 ed anche ascoltarle in occasione nell’Incontro di presentazione della Pratica della Storia Vivente svoltosi alla Ubik di Savona il 26 febbraio 2014, mi è sorta l’ulteriore aspettativa di vedere se e come l’esperienza della storia vivente potesse entrare in gioco in un’opera di traduzione di biografie individuali e collettive in storia condivisa.

La prima volta che ho preso in mano il libro ho pensato “ecco una copertina indovinata”: una vecchia foto in bianco e nero di una mamma che insegna alla figlia piccola il famoso gesto delle mani unite a simbolizzare il sesso femminile sullo sfondo della curva di un’autostrada che risale una collina; non si poteva rappresentare meglio l’idea del movimento che verso la fine degli anni ’60 ha preso corpo, mosso i primi passi ed imboccato un cammino né piano né lineare che però ha portato le nostre vite ad oltre-passare la strada segnata dai millenni di patriarcato alle spalle. L’altra sorpresa mi è arrivata dall’apprendere già dalle prime pagine che il progetto del libro ha preso forma a seguito delle domande di allieve e allievi di un istituto superiore dopo la visita alla mostra “Noi utopia delle donne di ieri memoria delle donne di domani. Quarant’anni di storia del movimento delle donne a Milano” del 2006, esperienza che è anche all’origine dell’invenzione narrativa del dialogo epistolare tra una madre e una figlia, con la quale le autrici hanno sviluppato il racconto; vi ho trovato molta analogia con la scelta che mi son trovata a compiere nel momento in cui, dovendo parlare degli stessi avvenimenti nell’ambito di un progetto per la scuola  promosso da Eredibibliotecadonne e dalla Biblioteca del Liceo Scientifico ‘O.Grassi’di Savona , ho individuato nella testimonianza personale la fonte e il metodo più idonei per raccontare come è potuto succedere a me e a molte altre donne di riuscire, divenendo soggetti, a cambiare noi stesse e anche il mondo intorno.

La prima parte del dialogo (lettera della madre alla figlia) contiene le parole che molte della mia generazione avrebbero voluto trovare per spiegare ai propri figli/e il senso ed il perché dell’impegno nella politica e quindi delle tante assenze, del tempo sottratto alla famiglia; sono parole semplici, profonde, incisive ed efficaci, che riescono a connettere l’esperienza delle ragazze di ieri con il mondo di quelle di oggi, senza istituire gerarchie tra le diverse epoche ma facendo chiaramente intendere che molto del buono e del bello ricevuto in eredità e la libertà guadagnata sono il frutto della presa di coscienza e del protagonismo di tante mamme, nonne e zie. La madre racconta come la prima rottura dell’ordine simbolico patriarcale è avvenuta proprio con la ricerca delle parole per ‘dire’ l’esperienza femminile prima con l’autocoscienza che si svolgeva in piccoli gruppi separati, poi indagando testi ed opere di donne venute prima per rintracciare i segni di un ordine simbolico materno in luoghi più grandi, a volte anche pubblici, ove circolava autorità femminile; non meno dirompente è stata l’inversione del destino biologico che voleva le donne inchiodate alla riproduzione della vita attraverso la conoscenza del corpo e la gestione consapevole della maternità, conquistate con le lotte e le sperimentazioni sociali e politiche di quegli anni ( self-help, consultori, ecc…) ma soprattutto grazie al guadagno di libertà e autonomia realizzato nella sfera sessuale. Il racconto si rivolge poi alle imprese femminili ( librerie, biblioteche, archivi, centri antiviolenza) nate quando la figlia era piccola dalle pratiche politiche portate avanti dalla madre insieme a tante donne a Milano come in altre città e fornisce, pur senza istituire un inventario, una mappa ancora attuale dei luoghi in cui il femminismo esercita capacità di orientamento e di trasformazione anche per le nuove generazioni.

Nella seconda parte la figlia supera le perplessità e compie il gesto che a me e molte altre piacerebbe vedere dai propri figli/e: si apre al riconoscimeno dell’opera della madre. Considerando che le imprese che avevano ‘troppe’ volte portato la mamma lontano da casa hanno dato i frutti di cui oggi si può giovare per migliorare la sua vita, la figlia deve ammettere se pure implicitamente che avere avuto una madre femminista non è stata una sfortuna. Nella sua lettera racconta infatti di aver capito, grazie allo scambio con coetanei e con una donna più grande in occasione di un incontro dell’Agorà del lavoro, che nelle proposte portate avanti in quel luogo, ispirate al celebre manifesto politico Immagina che il lavoro pubblicato dalla Libreria delle Donne di Milano nel 2009, può trovare risposta il suo desiderio di affermazione nel lavoro e nella maternità insieme, anche in un mondo profondamente cambiato rispetto a quelle della madre e delle stesse donne che hanno scritto il manifesto.

Entrambe le lettere risultano documentate (su preziosi inserti di colore grigio inframmezzati al racconto) con testimonianze di donne che sono state protagoniste degli avvenimenti raccontati e con immagini e foto attinte da archivi personali quasi tutte inedite; ciò costituisce, insieme al ricorso alla figura del dialogo epistolare, uno dei punti di forza del libro, poiché ha consentito alle autrici di istituire in modo non didascalico ma penso mettendo a frutto la sapienza acquisita con la pratica della Storia Vivente, la connessione vitale tra vicende personali e collettive che va necessariamente posta a fondamento della memoria condivisa. Altri punti di forza sono rappresentati da una scrittura a quattro mani perfettamente omogenea e da un linguaggio che dietro l’apparente immediatezza lascia intendere un enorme opera di semplificazione e di selezione lessicale. I sette anni di lavoro impiegati valgono sicuramente il risultato di un testo che presentandosi depurato da espressioni datate, da astrazioni o da ideologismi e fortemente radicato nell’esperienza riesce a parlare alla generazione delle figlie e anche a quella delle nipoti.

La prima considerazione che mi è venuta al termine della lettura è stata che il libro, se fosse uscito un anno prima, avrebbe potuto rappresentare una fonte d’ispirazione per il mio contributo al sunnominato Progetto sulla storia delle donne svolto al Liceo Scientifico; in particolare avrei potuto far tesoro dell’intuizione dichiarata dalle autrici di sottoporre il testo alla revisione della figlia ventisettenne di Luciana e lavorare quindi maggiormente sul linguaggio cercando di ‘misurare’ il discorso sulla viva esperienza giovanile piuttosto che sulla ‘cultura’ scolastica; un tono più materno e meno professorale aggiungendo empatia avrebbe certamente facilitato la comunicazioni con gli/le studenti. L’altra considerazione è che sono grata a Marina e Luciana per aver aperto la strada col loro innovativo lavoro ad altre iniziative rivolte alla trasmissione generazionale di un’esperienza tanto grande da apparire per molti aspetti ancora ineffabile.

Presentazione a Savona, il 10 dicembre ore 18,00

 

(www.eredibibliotecadonne.wordpress.com, 21 novembre 2015)

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