di Katia Ricci
«“No professoré, basta con la Shoah”, questa è stata la reazione della classe alla mia proposta fatta al ritorno dalle vacanze di Natale di organizzare la Giornata della Memoria». Così mi dice un’insegnante del Liceo artistico Sacro Cuore di Cerignola, Stefania Creatura, invitandomi a parlare alle e agli studenti del mio libro Lupini violetti dietro il filo spinato: Artiste e poete a Ravensbrück, Tufani editrice.
«Ho scelto il tuo libro – mi aveva detto – perché tratta l’argomento in maniera diversa, da un altro punto di vista, che non è quello di raccontare le vessazioni, le violenze fino alla morte delle donne rinchiuse nel campo femminile, ma il modo in cui alcune o tante hanno reagito con creatività, conservando il senso di sé e della propria femminilità e dare delle donne l’immagine di forza».
E così in una piovosissima e fredda giornata siamo arrivate da Foggia a Cerignola. Durante il non lungo viaggio mi aveva avvisato che avrei trovato molti problemi perché la scuola era completamente allagata in tutte le stanze, laboratori e corridoi. E non per la rottura improvvisa e inaspettata di qualche tubo, come avevo subito sospettato, ma perché questo succede ogni volta che piove e l’acqua cade dal soffitto dell’edificio costruito abbastanza recentemente.
– E voi insegnanti che fate, e le/gli studenti, i genitori?
«Sono dieci anni – mi racconta – che facciamo scioperi, manifestazioni davanti agli uffici provinciali e regionali, scriviamo esposti e denunce, ma non succede niente, molte promesse, ma stiamo sempre nelle stesse condizioni. Oggi rischiavamo o di rimandare l’incontro in attesa di una giornata di sole o di farlo con i piedi nell’acqua, ma poi – aggiunge mentre la guardo sempre più perplessa – abbiamo deciso di allestire l’incontro nella palestra, che è l’unico spazio in cui non piove».
La palestra era già piena di giovani seduti a terra e di insegnanti, il tempo di aspettare che arrivi la preside Giuliana Colucci che saluta i presenti e cominciamo.
«Abbiamo scoperto – dice la collega che mi ha invitata – tutto un mondo di bellezza nascosta dietro quel senso di orrore e di dolore che avvertiamo quando si parla di Giornata della Memoria. Abbiamo cercato di dare valore alle cose belle che sono state realizzate persino nel buio più totale a cui le donne erano state condannate da chi voleva fiaccare la loro anima insieme al corpo. È stato davvero illuminante scoprire la resistenza di donne che riuscivano addirittura ad avere senso dell’umorismo, a fare ironia dissacrante, a disegnare, a comporre operette di cabaret, a raccontarsi ricette, barzellette e a scrivere poesie, tutto a rischio della propria vita, sarebbero state, infatti, uccise immediatamente se fossero state scoperte».
Il mio racconto e la proiezione di diapositive sono stati intervallati da danze di cerchio ebraiche, canti, accompagnati dal suono di chitarre, eseguiti dalle ragazze, un pezzo di cabaret di un giovane, un bel monologo recitato con commozione da una giovane studente e un videomessaggio del maestro Francesco Lotoro, compositore, pianista e direttore d’orchestra, studioso della musica concentrazionaria. Mi ha fatto particolarmente piacere vedere con quanto impegno ed entusiasmo abbiano lavorato le studenti sotto la guida di un nutrito gruppo di professoresse, di cui voglio riportare i nomi: Stefania Creatura, Maddalena Albanese, Mary Lastella, Anna Bracco, Concetta Frontino, Antonia Guerra, Emanuela Gigantiello, Barbara Vetrarte, Maria Teresa Sorbaro, Grazia Bizzoca e Stefania Matrella.
C’erano naturalmente anche insegnanti uomini che hanno collaborato alla buona riuscita della mattinata, come Paolo Ricci, che ha fatto rispettare la scaletta degli interventi dando la parola a turno e il tecnico del suono, Luigi Manduano, e altri.
È stato inevitabile accostare la forza delle donne rinchiuse a Ravensbrück con il coraggio indomito di quelle che nel mondo lottano per la libertà come le iraniane, perché, conclude Stefania Creatura, «finché esisterà anche solo in una parte del mondo l’ingiustizia di tatuare un numero sugli esseri umani, di imprigionarli in un’identità, di dare etichette, non ci lasceremo mai alle spalle gli orrori della storia e se le donne in condizioni difficili ieri come oggi riescono a mettere in campo tanta forza e bellezza, che cosa potrete fare voi giovani che vivete in una situazione tutto sommato di agio?»
L’intero evento mi è apparso come una grande metafora molto efficace: il vecchio sistema culturale sta collassando, simboleggiato dallo sgretolamento dell’edificio che non regge la pioggia, come fosse un ombrello bucato mentre sono già operanti la forza, l’entusiasmo e l’abilità delle donne giovani e delle ragazze, coadiuvate e sostenute dai loro compagni e colleghi, pronte a cambiare radicalmente il sistema con gioia e allegria e a porsi alla sua guida.
(L’Attacco – Foggia, 1° febbraio 2023)