di Sebastiano Gulisano
Le mamme di Niscemi in Sicilia hanno deciso di ribellarsi allo strapotere USA e così ogni giorno mettono i loro corpi davanti ai convogli militari che si dirigono alla base ove è situato il MUOS, Mobile User Objective System. Da quando hanno visto manganellare i manifestanti – l’11 gennaio scorso – hanno deciso di prendere loro la situazione in mano. Spendersi in prima persona. Ogni giorno in guerra, anche con la neve. Presidi, blocchi stradali, assemblee. Ogni mercoledì in piazza. Tutti devono sapere. E così coinvolgono altre e altri. Scuole e comuni limitrofi. Queste mamme vogliono che i propri figli nascano e crescano sicuri, senza malformazioni, senza la prospettiva di morire senza vivere la vita.
«Per vent’anni abbiamo dovuto subire, inconsapevoli, le emissioni delle 46 antenne; ora vorrebbero che subissimo anche quelle delle tre parabole satellitari: non abbiamo alcuna intenzione di continuare a farci avvelenare, non vogliamo né le nuove installazioni né le vecchie.» Concetta Gualato è la portavoce del Comitato Mamme No MUOS, che in appena un mese è riuscito ad aggregare circa 600 mamme niscemesi – perlopiù casalinghe, ma anche impiegate e insegnanti – fermamente decise a ribellarsi allo strapotere USA, che in questo angolo di Sicilia lontano dai riflettori delle cronache ha una delle sue installazioni strategiche per le comunicazioni militari nel Mediterraneo: 46 antenne che da vent’anni contaminano le popolazioni locali con le loro emissioni a bassa frequenza, aggiungendosi alle emissioni velenose provenienti dal vicino petrolchimico di Gela. «Per vent’anni nessuno ci ha informati dei rischi alla salute cui eravamo soggetti a causa delle antenne, ma ora, dopo lo studio dei professori del Politecnico di Torino Massimo Coraddu e Massimo Zucchetti, noi sappiamo e non intendiamo tacere, dobbiamo difendere la nostra salute e, soprattutto, quella dei nostri figli, e non permetteremo che il MUOS sia realizzato», chiarisce Mamma Concetta.
Il MUOS, Mobile User Objective System, è il sistema di telecomunicazioni satellitari della marina militare statunitense che consentirà agli USA di controllare le comunicazioni su tutto il pianeta, grazie a quattro installazioni terrestri e cinque satelliti che trasformeranno le forze armate a stelle e strisce in un unico network in grado di scambiarsi e condividere istantaneamente informazioni in qualsiasi parte del mondo. Inoltre, il MUOS servirà a guidare i droni, i micidiali caccia senza pilota di stanza a Sigonella, cioè servirà a fare la guerra standosene comodamente seduti davanti a un terminale, a uccidere azionando un semplice joystick, come in un videogioco.
Nella Sughereta di Niscemi, una riserva naturale protetta dalla UE, gli Stati Uniti intendono installare una delle quattro basi terresti. Lo studio di Zucchetti e Coraddu per il comune di Niscemi sui rischi concreti per la salute (ma anche per i voli civili gravitanti sugli aeroporti di Comiso e Catania) ha convinto la Regione Siciliana a revocare le autorizzazioni concesse in precedenza, innescando un conflitto col governo nazionale e con il potentissimo alleato che potrebbe arrivare davanti alla Corte Costituzionale, visto che la giunta del presidente regionale Rosario Crocetta non intende recedere dalla posizione assunta e, soprattutto, che le popolazioni di Niscemi e dei comuni limitrofi non intendono sottostare ai rischi per la salute illustrati dagli scienziati del Politecnico. Da dicembre, da quando in contrada Ulmo, nei pressi della base militare, è stato istituito un presidio di giovani militanti antimilitaristi, il conflitto fra abitanti e militari è diventato fisico, grazie ai blocchi stradali finalizzati a impedire il transito dei mezzi che trasportano operai, soldati e soprattutto le enormi gru necessarie a montare le nuove gigantesche parabole. I componenti principali del MUOS sono tre grandi antenne paraboliche di 18,4 metri di diametro l’una, «destinate a emettere microonde con una potenza di 1600 Watt ciascuna, orientativamente un centinaio di volte la potenza dei ripetitori per telefonia cellulare», chiarisce il professor Zucchetti. La notte dell’11 gennaio, però, il governo Monti, con uno spiegamento di forze spropositato, ha fatto isolare la città e fatto scortare i tir che trasportavano le gru dalla Celere, che ha sbrigativamente sgomberato i manifestanti a manganellate consentendo il transito degli automezzi. È stato a quel punto che le donne di Niscemi hanno deciso che non potevano più stare a guardare e che dovevano impegnarsi in prima persona contro il MUOStro, come lo ha efficacemente definito il giornalista e scrittore Antonio Mazzeo. In meno di un mese, le Mamme sono diventate circa 600, partecipano attivamente ai blocchi stradali che, 24 ore su 24, impediscono agli operai di entrare e ai militari di fare il cambio della guardia, creando una situazione di stallo che difficilmente si sbloccherà. Prima si sono costituite in Comitato Mamme No MUOS, poi hanno deciso di ritrovarsi ogni mercoledì nella piazza principale del paese: «In piazza siamo visibili, costringiamo anche chi non vuole interrogarsi sull’installazione americana a fare i conti con la nostra presenza e con le problematiche connesse al MUOS e alle 46 antenne esistenti: i rischi per la salute. È stato così, grazie a questa visibilità che abbiamo coinvolto altre mamme», ci spiegano. Sono loro l’elemento nuovo di questa protesta: stanno coinvolgendo i preti, le scuole (sono quotidiane le visite guidate di studenti al presidio e nella Sughereta, da dove la base militare è ben visibile) e le donne dei comuni limitrofi – Gela, Caltagirone, Piazza Armerina… – affinché la protesta non resti circoscritta agli abitanti di Niscemi. Una storia speculare a quella delle Madres argentine di Plaza de Mayo, questa delle Mamme siciliane: quelle rivolevano i propri figli desaparecidos; loro vogliono che i propri figli nascano e crescano sicuri, senza malformazioni, senza la prospettiva di morire senza vivere la vita. Ogni giorno mettono i loro corpi davanti ai convogli militari che si dirigono alla base; ogni mercoledì si ritrovano in piazza a far sentire il proprio urlo: «No al MUOS, sì alla vita!».
Casablanca n.28