Ida Dominijanni
Passano i giorni, monta l’onda razzista, cresce il delirio identitario, si gonfia il panico securitario, slitta in stato d’eccezione lo stato di diritto, precipita in senso comune fascistoide il senso comune democratico, e nel frattempo svanisce nella nebbia del rimosso il fatto, il dato, l’evento che a tutto questo ha dato origine. Una donna, italiana per caso, aggredita, seviziata e massacrata da un uomo, rumeno per caso.
Per caso, come per caso era inglese Meredith Kergher, massacrata a Perugia da qualcuno di cui non si conosce ancora il certificato etnico. Era italiana Chiara Poggi, massacrata a Garlasco quasi certamente da uno di casa. Era pakistana Hina, massacrata a Brescia nell’estate 2006 da suo padre e dai suoi zii pakistani perché voleva vivere all’italiana. Era italiana la moglie di un intellettuale illuminato di Pescara, massacrata e infilata in un cassonetto dal marito poco prima di Hina. L’elenco, si sa, non ha fine, e sovente non ha nomi. Solo volti senza nome e cifre senza volto, per quell’epidemia che ne uccide in Europa più del cancro e dell’infarto, e alla quale il nostro illuminato governo dedica un illuminato spot preventivo nelle prime serate tv.
C’è un’emergenza di cui occuparsi e preoccuparsi? Sì, c’è e non è quella rumena. Si chiama violenza sulle donne, e non ha né colore né passaporto, è transculturale e globale, e gode, a destra e a manca, di rimozioni e connivenze transculturali e globali. E’ insopportabile la strumentalità con cui l’omicidio efferato di Giovanna Reggiani è stato usato, da nefascisti e neodemocratici, per legittimare il repulisti dei rumeni dalle “nostre” strade. Ma non è bella nemmeno la facilità con cui quell’omicidio efferato scivola negli argomenti sacrosanti di chi i rumeni vuole difenderli e rifiuta di criminalizzarli. La questione sessuale affonda nel razzismo da una parte, nella solidarietà dall’altra. E’ inevitabile?
Non può e non deve. E’ un vecchio tic della razionalità politica (maschile), questo di “trascendere” i fatti e i corpi in “più alti” significati: l’immigrazione, la globalizzazione, l’insicurezza, la sicurezza… ma quel corpo di una donna massacrato da un uomo resta lì, con tutti gli altri corpi di donne massacrati da uomini, a chiedere anche un altro ordine del discorso. Questo ad esempio, che non sono solo i decreti emergenziali, la confusione fra responsabilità individuali e presunti “marchi culturali” collettivi, la sospensione reiterata dei diritti e dello stato di diritto – non sono sole queste le anticamere o le porte spalancate al razzismo, ai pogrom e alle pulizie etniche. C’è da sempre, nella cultura occidentale e non solo in quella occidentale, un indicatore certo dell’imbarbarimento razzista, ed è la riduzione del corpo femminile a cosa, la pretesa di averne piena disponibilità con le buone o con le cattive, l’identificazione del sesso femminile col carattere della preda e col destino della vittima e di quello maschile col carattere del predatore e col destino del carnefice. Sesso e carattere appunto: prima del nazismo venne Weininger.
Barriere di sesso e barriere identitarie crescono assieme, cadono assieme. Non uno degli uomini che hanno a cuore la sicurezza sarà credibile finché alienerà sui rumeni o su altri “altri” un’autocoscienza che non riesce a fare su di sé e sui propri vicini di casa. Non uno degli uomini che hanno a cuore l’accoglienza dei rumeni fra noi sarà credibile finché non si interrogherà sulle violenze di cui troppe donne rumene soffrono nelle proprie case. Ci sarà il 24 novembre una manifestazione di donne contro la violenza sulle donne. Sarebbe stato bello, civile, democratico se a convocarla fossero stati uomini.