«Mai più guerre, con o senza Onu. L’Afghanistan? Come l’Iraq. Il 2 giugno? Senza parata. Stop alle sanzioni alla Palestina». Parla Sentinelli, viceministra agli Esteri
Cinzia Gubbini – Angelo Mastrandres
Desidera essere chiamata viceministra, non «per una questione di puntiglio» ma perché «la mia esperienza mi ha insegnato a dare una grande importanza al linguaggio e al simbolico». L’«esperienza» di Patrizia Sentinelli è quella di militante del Pdup prima e del Pci poi, fino al Prc, partito in cui ha ricoperto la carica di segretaria della Federazione romana e, fino a ieri, di capogruppo al comune di Roma. Insegnante di economia aziendale fino a qualche anno fa in una scuola del ghetto ebraico della capitale, ha capeggiato la federazione romana della Cgil scuola. Ma la cifra della sua storia politica sta nel rapporto privilegiato con i movimenti, tanto da essere considerata a Roma la «cerniera» tra Rifondazione e l’area ex Disobbediente, nonostante la rottura a seguito della mancata elezione al Parlamento europeo di Nunzio D’Erme. Da ieri è il braccio destro (o forse sarebbe meglio dire sinistro) di D’Alema, con delega alla cooperazione internazionale.
Dunque, Sentinelli, lei parla spesso di democrazia partecipata, rapporto con i movimenti e «relazioni orizzontali». D’Alema ha invece tutt’altra concezione della politica. Non sarà facile.
Io sono una donna molto solare. Credo ai corpi che si abbracciano e che si muovono insieme. D’Alema ha probabilmente un’altra concezione delle relazioni, ma questo non mi spaventa. Credo fermamente nella parità dei diversi punti di vista e credo che l’autorevolezza derivi dalla convinzione in ciò che sei e in quello che hai costruito negli anni. Dunque penso di non avere nulla da temere.
Negli ultimi anni lei ha sfilato con il movimento pacifista che chiedeva il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq e prima ancora dall’Afghanistan. Come si comporterà ora?
Prodi ha dato oggi (ieri, ndr) quel segnale di discontinuità che gli veniva chiesto: il governo considera sbagliata la guerra in Iraq e si metterà subito al lavoro per il ritiro delle truppe con i tempi che verranno concordati. Non abbiamo paura a parlare di guerra e di forze di occupazione. Questa è la cosa fondamentale, al di là degli annunci di ritiro già fatti dal precedente governo.
Intanto bisognerà votare entro il 30 giugno il rifinanziamento delle missioni, a partire da quella in Afghanistan.
Ci sarà certamente una discussione serrata. Ma io credo che proprio su questo punto la scelta di prevedere una delega agli esteri per la cooperazione è essenziale: potremmo dire, con uno slogan, meno militari e più civili. L’obiettivo deve essere quello di ridare corpo e gambe alla cooperazione come strumento di prevenzione dei conflitti. Il governo deve essere impegnato in politiche di pace a partire dal ripudio della guerra sancito dalla Costituzione.
Anche se ci si dovesse trovare di fronte a una copertura delle Nazioni unite o comunque a un intervento multilaterale e non a un’iniziativa autonoma degli Stati uniti come per l’Iraq?
Credo che l’intervento armato non debba mai entrare nell’agenda della politica estera italiana. La Costituzione deve essere la Bibbia, come hanno detto tanto il presidente della Repubblica Ciampi che il suo successore Napolitano. Penso che la cooperazione internazionale imponga un altro modello di pensiero, un’altra lente attraverso cui guardare le cose. Lo stesso termine cooperazione si pone agli antipodi del termine competizione, abusato ai giorni nostri.
La «guerra al terrorismo» non ha lasciato immune il mondo della cooperazione, che ha subito una progressiva militarizzazione negli ultimi anni.
Vedo due principali rischi nell’azione della cooperazione internazionale. Da un lato la deriva securitaria, e cioè sia l’utilizzo della cooperazione come strumento di controllo sociale che la commistione con le Forze armate. Dall’altro quella assistenzialista, e quindi il rischio di privilegiare, anche attraverso i finanziamenti, quelle ong che hanno un atteggiamento autoreferenziale. Per capirci, quelli che pensano di sapere benissimo come si deve agire e cosa si deve fare, assumendo una prospettiva che definirei neocolonialista e paternalista. Io vorrei, invece, promuovere una cooperazione che sia in grado di valorizzare le esperienze di autorganizzazione, le relazioni sociali, la società civile dei paesi con cui si stringono rapporti, mettendo a frutto tutto quello che abbiamo imparato dai movimenti che abbiamo incrociato nel mondo in questi anni. Ricordo, ad esempio, l’incontro al Forum sociale mondiale di Bombay con delle donne straordinarie che poi abbiamo ritrovato al governo indiano. Mi piacerebbe inoltre fare da ponte per alcuni modelli politici sperimentati altrove. Ad esempio, quello che stanno facendo in Sudamerica per l’acqua come bene comune.
Intanto l’Italia è agli ultimi posti al mondo per aiuti allo sviluppo.
La cooperazione è stata malmenata e manomessa in questi anni, forse per questo percepisco una grande attesa dal mondo delle ong e dell’associazionismo. L’obiettivo, dal punto di vista finanziario, è arrivare a quell’impiego dello 0,7% del Pil stabilito dall’Unione europea. Oggi siamo molto indietro, destiniamo soltanto lo 0,1%. Si tratta di fare uno sforzo vero, ma il programma dell’Unione è molto chiaro su questo punto. Credo inoltre che sia necessario ripristinare quella Direzione generale allo sviluppo smantellata dal passato governo. E prevedere una serie di istituti che diano spazio alla democrazia partecipata: non soltanto tavoli di consultazione, ma un vero strumento di confronto continuo.
Un’altra questione a dir poco spinosa è quella del Medio Oriente. Appoggerete la scelta delle sanzioni al governo di Hamas in Palestina?
La ritengo una scelta sbagliata. La politica dovrebbe avere un sussulto di fronte al blocco degli aiuti che colpisce la popolazione civile, donne e bambini che muoiono di fame. Il primo passo della Russia contro le sanzioni mi sembra un inizio, ma credo che gli interventi finanziari dovrebbero arrivare dall’Onu ed essere gestiti dall’Autorità nazionale palestinese.
Intanto la prima grana è all’angolo. Lei e il suo partito hanno sempre contestato la parata militare del 2 giugno. Da che parte starà quest’anno?
Non vedo l’esigenza di una parata militare, tanto più che, come ho già detto, il nostro programma è chiaro sul ripudio della guerra.
Il retroscena
«Brava Sentinelli», l’esultanza dell’Onu
Con il precedente dicastero guidato da Fini, che come documentato dal manifesto aveva azzerato i «contributi volontari», le Nazioni unite non avevano avuto buoni rapporti. Sarà per questo che ieri la portavoce della Campagna del millennio Onu Eveline Herfkens si è sperticata in elogi per la neo viceministra degli Esteri con delega alla Cooperazione Patrizia Sentinelli. La Herfkens si augura che la vice di D’Alema «sia messa nelle migliori condizioni per poter gestire tutte le risorse finanziarie destinate dall’Italia alla lotta alla povertà e, nell’ambito di una necessaria e ampia coerenza governativa, partecipare ad ogni decisione che abbia un impatto sulle politiche di lotta alla povertà, contribuendo al raggiungimento degli otto Obiettivi di sviluppo del millennio nel rispetto della scadenza fissata per l’anno 2015». «Siamo molto felici che nella sua prima dichiarazione abbia rinnovato l’impegno per il raggiungimento dello 0,7% del Pil da destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo», ha concluso.