Intervista di Mariagrazia Gerina alla La presidente Laura Boldrini
La Padania l’ha ribattezzata la “papessa”. Il leghista Salvini dice che il problema non è il Papa ma lei che lo strumentalizza. Brunetta le ha dato dell’estremista perché non ha accettato l’invito di Marchionne in fabbrica. La presidente della Camera Laura Boldrini tira dritto per la sua strada. Quella dei “diritti” sui quali – ha detto al numero uno della Fiat – non accetta “gare al ribasso”.
Presidente lei che tante volte ha denunciato la strage nel Mediterraneo come ha accolto le parole del Papa da Lampeudsa?
È stata una grande emozione. Le sue parole sono un monito al Nord ricco del mondo e all’indifferenza. Il Papa ha rimesso al centro le persone che rischiano la vita in mare, ridando dignità a migliaia di morti e ai tanti che ce l’hanno fatta. Negli anni di lavoro con l’Alto commissariato, tra i miei obiettivi c’era il rispetto degli obblighi internazionali e dell’ordinamento italiano, che tutela il diritto d’asilo. Si è trattato di fare anche una battaglia culturale sull’utilizzo ingiusto di parole come clandestino.
“Un conto sono le prediche, un conto è il governare”, ha detto però Cicchitto.
Basta guardare quello che sta succedendo in Egitto per capire che è proprio dal governare che nasce tutto. Da che mondo è mondo le fughe sono conseguenza della cattiva politica, del fallimento della democrazia. La gente fugge quando non ha alternative. E gli Stati hanno l’obbligo di accogliere e verificare se ci sono motivi per rilasciare protezione internazionale. Il diritto d’asilo è nella Costituzione. Governare vuol dire gestire tutto questo, nel rispetto dell’ordinamento nazionale e degli accordi internazionali.
Lei come portavoce Unhcr dal 1998 al 2013 ha avuto come interlocutori governi di centrodestra e di centrosinistra. Quali risposte le davano?
Ci sono stati governi più disponibili al dialogo, altri meno. Ricordo momenti drammatici. Come quando nel 2009 l’Italia scelse di mettere in pratica il respingimento in alto mare senza concedere neppure la possibilità di presentare domanda d’asilo. Fu un momento molto difficile, come portavoce dell’Unhcr venni attaccata duramente. Ma poi l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani. L’altro momento drammatico fu nel 2011, quando i migranti che arrivavano a Lampedusa non furono più trasferiti fuori dall’isola e si creò quella situazione ingestibile tutta sulle spalle degli abitanti. In Libia c’era una guerra, nei paesi vicini arrivavano centinaia di migliaia di persone, in Italia dalla Libia arrivarono 28mila persone ma autorevoli esponenti politici parlarono di tsumani umano, di esodo biblico, facendo sentire l’opione pubblica minacciata.
I suoi interlocutori di allora sono gli stessi che adesso sostengono il governo delle larghe intese. Questo taglia le gambe alla speranza o c’è una possibilità di cambiare rotta?
Io mi auguro che in Italia si esca dall’utilizzo strumentale dell’immigrazione e dell’asilo, che si vada oltre le ideologie, le prese di posizione propagandistiche e le divisioni. Il paese ha bisogno di uscire dalla stagione della paura, nell’era della globalizzazione si va inevitabilmente verso società composite formate da persone che vengono da contesti diversi ma cittadini nel paese in cui vivono. Non si può giocare alla demonizzazione, ci vuole senso della realtà. Non c’è un nemico di fronte. Ci sono solo quattro milioni e mezzo di immigrati e alcune decine di migliaia di rifugiati di cui occuparsi nel rispetto del diritto nazionale e internazionale. Ci vuole più maturità.
Pensa che dal parlamento possa venire un segnale?
C’è un gruppo di parlamentari bipartisan che sta lavorando sui temi dell’immigrazione. Io mi auguro che si riesca ad arrivare presto all’elaborazione di un testo condiviso sulla cittadinanza.
Ne avete parlato con Napolitano che oggi (ieri per il lettore ndr) l’ha ricevuta?
Abbiamo parlato della visita del Papa a Lampedusa. E di quando lui era ministro dell’Interno. Anche da presidente della Repubblica, ha sempre sollecitato i partiti a riconsiderare la legge sulla cittadinanza.
Le ha espresso la volontà di andare a Lampedusa?
Non ne abbiamo parlato.
E lei ci tornerà?
Se me lo chiedono, volentieri.
Dallo stabilimento di Atessa dove lei non è andata Marchionne ha attaccato quanti “anche da autorevoli istituzioni” considerano “esercizio dei diritti” “comportamenti violenti”.
Non credo che si riferisse a me. Io considero il mondo delle imprese centrale per la ripresa del paese, per questo ho ricevuto delegazioni di imprenditori, sono andata dai giovani industriali, ho accolto l’invito del presidente di Confindustria. Ma non posso esimermi dal ribadire che ci vuol rispetto dei lavoratori. Un concetto che dovrebbe essere pacifico. Lo dice la nostra Costituzione. Questo scrivevo nella lettera a Marchionne. Non si può pensare che il gioco al ribasso sui diritti sia il modo per uscire alla crisi.
Marchionne risponde che rischiamo di morire di diritti.
Non penso sia questo il rischio, piuttosto oggi ci sono più generazioni che vivono la precarietà del lavoro e di ogni ambito della vita. E che rischiano di morire della mancanza di diritti. Il nostro paese ce la farà se i lavoratori avranno più capacità di incidere. La formula di chi ordina e di chi esegue non è più praticabile, bisogna coinvolgere chi lavora nei processi produttivi.
Gliele dirà a voce queste cose?
Perché no? Se ci sarà occasione. Ho lavorato una vita per la mediazione, non mi tiro mai indietro di fornte a uno scambio di vedute.
Brunetta le dà dell’estremista, Salvini dice che strumentalizza il Papa. Sente il suo ruolo in discussione?
Ormai il gioco è a chi rilancia di più. Ma non è nel mio stile uscire dal linguaggio del rispetto. Quando uno ha buone ragioni non ricorre alle grida. Continuo nella mia strada e se questo provoca reazioni scomposte, non è un mio problema. Non mi interessa assecondare il pensiero unico. Seguo la mia coscienza e il programma che ho esposto il giorno in cui sono stata eletta alla presidenza della Camera. Quello è il mio impegno con gli italiani.