di Franca Fortunato
È passato alla storia come il sindaco che ha ridato vita a un borgo altrimenti destinato allo spopolamento e all’abbandono. Eppure Domenico Lucano, o meglio “Mimì Capatosta”, il sindaco che ha trasformato Riace da paese dei Ruga, potente famiglia mafiosa che domina nella zona di Locri, in paese dell’accoglienza per chi arriva sulle nostre coste da paesi dilaniati da guerre, carestie e fame, negli ultimi mesi è stato oggetto di tre ispezioni – una richiesta da lui stesso – da parte della Guardia di Finanza, a cui sono seguite tre relazioni della Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero degli Interni, una negativa e due positive a cui ha fatto seguito un avviso di garanzia della Procura di Locri per “abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in relazione alla gestione del sistema di accoglienza”. Per inciso, delle tre relazioni solo quella negativa, che non nega i risultati positivi del modello Riace, è stata consegnata al sindaco e data in pasto a giornali come “Il Giornale”, che secondo il suo stile ha tentato di dare avvio a una campagna diffamatoria. Un gruppo di fascisti, agitando quella relazione, ha organizzato a Riace una manifestazione contro Lucano e gli immigrati, ma è fallita. La notizia clamorosa dell’avviso di garanzia ha scatenato sconcerto, indignazione e tanta solidarietà per la fama che ormai accompagna nel mondo il “modello” Riace. Dietro a tutto questo tanti/e hanno visto il tentativo – da parte delle Prefetture e del Servizio centrale dello Sprar che opera in nome del Ministero – di porre fine, o al meglio ostacolare, un’esperienza che tutto il mondo ci ammira e ci invidia e che molti Comuni, dentro e fuori la Calabria, hanno cominciato a copiare. Troppo successo per Riace e il suo sindaco, in un momento in cui la fortezza Europa, che ha perso la sua anima, si chiude su stessa e l’Italia firma un accordo con i libici che il responsabile Onu per i diritti umani, Zeind Ra’ad Al Hussein, ha definito “un’offesa alla coscienza dell’umanità”, per impedire con ogni mezzo alle/ai migranti l’attraversata del Mediterraneo. Nel 2009 si celebravano a Berlino i vent’anni dalla caduta del muro, il regista Wim Wenders, nel presentare il suo film su Riace “Il volo”, di fronte a dieci Nobel per la pace ebbe a dire: «La vera civiltà, la nostra speranza come Europa io l’ho incontrata a Riace, un piccolo paese della Calabria». La rivista americana Fortune per il 2016 ha inserito Lucano tra i 50 uomini più influenti del mondo. La Rai ha pensato di girare una fiction con Giuseppe Fiorello per raccontare la storia di Lucano e di Riace e, dopo l’avviso di garanzia, c’è qualcuno che sta tentando di impedirne la messa in onda, prevista per il prossimo febbraio. Troppo successo in giro per il mondo. Troppo successo per terra di Calabria dove a molti sta bene continuare nella narrazione di una terra di ’ndrangheta e anti-’ndrangheta, senza possibilità che accada altro. Riace sta lì a dire che altro è già accaduto, che un’altra politica, un’altra Calabria, un altro mondo non solo è possibile ma che già esiste, grazie a un sogno, a un’idea, che Domenico Lucano si portava dentro e che, aiutato dalla sua gente e dai suoi compagni e compagne d’avventura, ha saputo trasformare in realtà, quello di fare del suo paese una Riace aperta, accogliente, solidale, dove la sua gente potesse vivere in pace con chi “forestiera” arriva sulle nostre coste col sogno di potersi costruire una nuova vita. A Riace, chi arriva, finito il periodo previsto dai progetti Sprar, a cui aderisce, può restare e continuare a lavorare nei laboratori artigiani riportati a nuova vita; può restare e lavorare nelle cooperative che gestiscono l’accoglienza, può continuare a mandare i propri figli e figlie a scuola e all’asilo che così restano aperti; può continuare a curarsi nell’ambulatorio aperto dal Comune e gestito da medici volontari. Chi vuole, insomma, può scegliere tra partire o restare. Da quando Mimmo Lucano è sindaco sono passati da Riace circa seimila migranti, molti sono rimasti e oggi su 1800 abitanti 600 sono stranieri. Ma questo non è previsto dai regolamenti dei progetti Sprar che obbligano, dopo sei mesi, a mandare via chi esce da tali progetti. Da qui una delle criticità contestate al sindaco. Lucano avrebbe speso 638mila euro senza giustificazione. Lui ha replicato che quei soldi sono serviti per quel 30 per cento di migranti che hanno superato i 6 mesi del periodo massimo di permanenza, e che quindi quel denaro non è sparito nel nulla, è stato contabilizzato e speso. Il conflitto aperto tra maschi è tutto politico, tra due modi di concepire l’accoglienza: emergenza o opportunità? La condizione di masse di immigrati nullafacenti concentrati per lungo tempo nei Cara, in attesa di conoscere il proprio destino, o abbandonati a se stessi ed emarginati in tante nostre città, dove la solidarietà ha il volto di chi va in loro soccorso, violando la legge “Minniti-Orlando” e le ordinanze dei sindaci, sono la diretta conseguenza di quella visione emergenziale che ha dato fiato alle mafie, alla corruzione, al razzismo, alla xenofobia e al fascismo fino ai vergognosi accordi con la Libia. Il modello Riace è tutt’altro, è una nuova civiltà a cui l’Europa non sa guardare e neppure chi ci governa. Nessun muro, nessun filo spinato, reale o simbolico, sarà mai innalzato a Riace. Nessun migrante sarà mai emarginato o cacciato dal paese, anche se questo vuol dire disubbidire a un regolamento redatto dal Ministero degli Interni, perché la civiltà delle relazioni umane si pone sempre al di sopra della legge. Quando la legge obbliga alla cieca obbedienza, è la capacità di pensare che viene meno e tutto diventa fredda burocrazia. Quanto questo sia pericoloso lo ha argomentato bene Hannah Arendt in “La banalità del male” a proposito del processo ad Eichmann a Gerusalemme, un burocrate incolore, fedele servitore della macchina nazista di sterminio degli ebrei. Lucano è un uomo di pensiero, di passione politica, di amore per la giustizia più che per la legalità, come ha ripetuto con emozione anche alla grande manifestazione di solidarietà nell’anfiteatro (costruito dove c’era una discarica) del 13 ottobre scorso (dove c’ero anch’io insieme a Serena Procopio. Questa estate, insieme ad altre donne della rete delle Città Vicine, abbiamo partecipato al Riace festival dove abbiamo presentato il nostro libro sull’Europa, edito dalla Mag di Verona e curato da Loredana Aldegheri, Mirella Clausi, Anna Di Salvo).
Là dove c’è pensiero libero si fa strada la creatività, l’inventiva, che sa aggirare gli ostacoli e trovare le soluzioni giuste. Il 18 luglio 2012 Lucano fa lo sciopero della fame per chiedere lo sblocco dei fondi che non arrivavano da un anno. Risolta la situazione, Mimì capisce che il problema si ripresenterà in futuro e perciò si ingegna per trovare una soluzione definitiva. Si inventa allora i bonus, una sorta di moneta locale che ha la stessa funzione dei “buoni pasto” che dipendenti pubblici e privati usano per fare la spesa. I migranti possono così fare la spesa a debito e i commerciati cambiare i bonus in euro all’arrivo dei finanziamenti. Ad avvantaggiarsene è l’intera economia del paese. Migliaia di euro, che sarebbero serviti per pagare gli interessi alle banche per avere gli anticipi di cassa, vengono così risparmiati e utilizzati per “borse lavoro” ai migranti. Lo stesso sistema si è poi diffuso in molti Comuni limitrofi: Camini, Gioiosa Ionica, Stignano, Caulonia, Acquaformosa. Per sette anni la Prefettura l’ha accettato ma non il Ministero che, anziché estendere la trovata di Lucano a tutti i Comuni che aderiscono ai progetti Sprar, gli ha intimato di sospendere i bonus perché “in Italia è vietata l’emissione di moneta e di qualsiasi suo sostituto”. Lucano non obbedisce e oggi viene indagato per irregolarità. Ma, ci si chiede, perché non si dichiarano allora illegali anche i “buoni pasto”? Non sarà che si vogliono favorire le banche, costringendo Riace e gli altri Comuni che hanno adottato i bonus a prestiti bancari con relativi interessi? Altro addebito mosso a Lucano è l’affidamento diretto dei servizi, senza bandi, dimenticando che – come lui scrive nella sua controrelazione – è stata proprio la Prefettura ad invocare questo metodo con «continue ed impellenti richieste di posti straordinari da attivare “con immediatezza”, per sistemare quanti più migranti possibili, arrivati al porto di Reggio Calabria». Un paradosso. E poi c’è anche l’affidamento diretto delle abitazioni sfitte sprovviste di “idoneità all’accoglienza o destinazione d’uso, l’osservanza delle norme edilizie-urbanistiche (compresi i certificati di agibilità e abitabilità), di abbattimento delle barriere architettoniche, di sicurezza degli impianti e antincendi”. Assurdo!! E ancora, la chiamata diretta anche per gli operatori, 80 in tutto, quando la chiamata fiduciaria è prevista per legge, così come la proroga. E poi c’è l’accusa di parentopoli. Chiarito che Lucano è separato dalla moglie che insieme ai figli vive fuori della Calabria, c’è da dire insieme a lui «che è inevitabile che in un paese piccolo ci siano alloggi di proprietà di soggetti legati da vincoli di parentela con personale in servizio presso l’Ente gestore». Insomma una montagna di accuse, di rilievi di criticità che hanno tutto il sapore di chi rema contro Riace e il suo sindaco. Ma il tutto si sta rivelando un boomerang.
(Casablanca – Le Siciliane, novembre-dicembre 2017)