di Giusi Milazzo
Salendo dal mare Riace ci accoglie con un cartello che la definisce “Città dell’accoglienza”. Una terra argillosa in cui crescono rigogliosi gli ulivi, circonda il piccolo borgo medievale in cui tra il grigio delle piccole e vecchie case spicca il moderno anfiteatro colorato con i colori della pace. In giro per le stradine, nella piazza, nelle scalinate che si percorrono per arrivare alla mediateca, il luogo in cui si svolge il Riaceinfestival (24-31 luglio 2016), io Anna e Mirella restiamo colpite non solo dalla cura che promana da quei luoghi: fiori, pulizia, bellezza, colori, ma ancor di più dall’armonia e dall’allegrezza che pare esserci tra gli abitanti. Sono donne e uomini africani/e, calabresi, siriani/e, curdi/e che passeggiano, chiacchierano, lavorano nelle botteghe artigianali tra argilla, rame, nastri e perline di vetro. Attorno al calcetto sulla piazza principale si affollano ragazze e ragazzi di tante etnie, con naturalezza e spontaneità giocano flirtano chiacchierano. Guardiamo incantate l’agio con cui si muovono si sorridono si abbracciano al di là di ogni differenza di cultura e religione. Il primo giorno all’arrivo siamo state accolte da Chiara Sasso, l’anima del Festival e la coordinatrice della rete dei Comuni Solidali, che abbiamo conosciuta a Lampedusa, grazie ad Alfonso Di Stefano e Teresa Modafferi della rete Antirazzista catanese. Chiara è una donna che con determinazione e passione ha condiviso e sostenuto per anni le scelte di Domenico Lucano, il Sindaco che dal 1999, ancor prima di essere eletto per la prima volta, ha cominciato a mettere in pratica con l’associazione Città Futura un’idea di accoglienza che restituisse a questo termine il suo significato più profondo. L’occasione fu lo sbarco sulle coste ioniche della Locride di 100 donne e uomini curdi in fuga dalle persecuzioni della Turchia e dallo sterminio con i gas messo in atto da Saddam. Anche il Sindaco è anomalo, diverso dai tanti che conosciamo, lo guardiamo con simpatia mentre si aggira essenziale quasi schivo ma mai rude tra ospiti, registe e registi, artisti, giornalisti, ricercatori, migranti e i suoi abitanti che affollano la sera la sala dei dibattiti. Si vede che lo seguono e che condividono quello che fa. Non tutti naturalmente. Hanno sparato alla vetrata della vecchia casa recuperata come taverna e intitolata a donna Rosa una straccivendola che aveva avuto il merito di tenere in vita il mercato del paese e dove ogni sera siamo state invitate a cenare tutti insieme gustando piatti tipici calabresi e eritrei… la ndrangheta non sembra aver gradito il progetto e l’idea che dalla rassegnazione e dallo sconforto sia possibile uscire. Sì, perché il progetto di Mimmo Lucano è un progetto per i migranti, ma anche per la sua terra martoriata dallo spopolamento e dall’abbandono. La scelta poi di creare una rete tra i Sindaci dell’accoglienza: oltre Riace, Caulonia, Badolato, Stignano… rompe l’isolamento e rischia di creare una vera rivoluzione. È per questo che la criminalità organizzata spara e incendia. Ma si va avanti e Riace, che rischiava di essere un comune fantasma si è ripopolato, non ha chiuso la scuola, ha nuove botteghe per vecchi mestieri. È una storia di piccoli passi, una storia di relazioni di passioni e d’impegno. Donne e uomini in un intreccio fecondo hanno ridato senso e valore all’ospitalità e all’accoglienza, aprendo le vecchie case che sono tornate a essere animate ricostruite strappate all’incuria e all’abbandono da mani solidali ed esperte.
Incontriamo il Sindaco già la prima sera, ci distribuisce la carta moneta “coniata” a Riace e utilizzabile per scambiare merci prodotti e servizi. A Riace viene adoperata in sostituzione dei soldi veri per evitare che le lunghe attese dei fondi per i rifugiati e per i richiedenti asilo blocchino la vita del piccolo borgo e rendano complessa la vita sia per gli abitanti che per i migranti. Ma a Riace le sperimentazioni di un altro modo di amministrare un comune non si fermano qui. Come illustra il sindaco nel corso di un dibattito sull’acqua organizzato nell’ambito del Festival, si sta tentando di rendere il comune autonomo per l’approvvigionamento idrico, scavando dei pozzi autonomi e rifiutando il modello di gestione inefficace e dispendioso della Società privata a cui la Regione ha affidato il servizio. Come Città Vicine quest’anno siamo state invitate a partecipare alla 8a edizione del Riaceinfestival con la mostra itinerante mail art “Lampedusa porta della vita” esposta per la prima volta a Lampedusa nel 2013, realizzata grazie al contributo di artiste e artisti di varie città d’Italia e curata da Anna di Salvo e Katia Ricci delle Città Vicine e da Rossella Sferlazzo dell’associazione Color Revolution. La mostra molto ammirata e apprezzata, allestita nei locali della Mediateca, esprime la positività e la complessità dell’accoglienza avvenuta in questi anni da parte delle donne e degli uomini di Lampedusa nei confronti dei migranti e approda a Riace con le sue belle opere realizzate con varie tecniche artistiche, dopo essere stata esposta in varie città. Qui sembra aver trovato la sua collocazione perfetta, quasi un continuum tra l’intensa esperienza di Lampedusa e questa emozionante storia di costruzione di un nuovo modo di condividere vite, culture e narrazioni. E sono proprio alcune donne migranti che ci avvicinano e si raccontano. Le avevamo viste nelle botteghe artigiane impegnate nella realizzazione di pregiati manufatti, poi il pomeriggio del secondo giorno le incontriamo nell’anfiteatro ad assistere con i figli e alcune con i compagni al recital intenso e commovente di Mohamed Ba, il griot senegalese attore cantore e poeta. Raccontano della loro scelta di stabilirsi a Riace, dove possono vivere con serenità e dignità e crescere i figli in un ambiente a misura di donna. Il nostro soggiorno breve ma per tutte noi straordinario è poi arricchito dalla visione di due dei film del festival. In uno, bellissimo e poetico, Un paese in Calabria, realizzato da due registe italo francesi, Shu Aiello e Catherine Catella, girato durante i lunghi periodi trascorsi a Riace dalle registe nel corso di tre anni, si coglie l’essenza dell’esperienza realizzata a Riace attraverso gli occhi e le emozioni di chi quella esperienza l’ha vissuta e condivisa. Anche nel secondo, Magna Grecia Europa Impari, realizzato da Anita Lamanna e Erwan Kerzanet, le donne sono protagoniste: ritratti quotidiani di donne calabresi in cui le storie di emigrazione si intrecciano con il radicamento a una terra antica e colta ma anche con la capacità di ribellarsi alla cieca violenza degli uomini di casa. Mi viene in mente la potenza delle madri mediterranee raffigurate nelle statuine fittili che ho visto anni fa nel museo di Locri. Questa terra ci ha proprio affascinato, riprendiamo il viaggio verso Catania con la certezza che l’anno prossimo torneremo sempre per le Vacanze politiche delle Città Vicine e con il proposito di riparlare presto nel corso dell’inverno a Catania di quello che è stato fatto a Riace perché siamo convinte che sia l’unico modo possibile per far sì che le migrazioni possano trasformarsi in occasioni di arricchimento culturale e benessere anche per le nostre comunità.
(Catania 8 settembre 2016)
(www.libreriadelledonne.it, 22 settembre 2016)