Vandana Shiva
Quando a Curitiba, Brasile, si terràl’Ottava conferenza sulla convenzione Onu per la diversità biologica, con le riunioni sul Protocollo per la biosicurezza (20-31 marzo), in cima all’agenda ci saranno i semi assassini dell’industria delle biotecnologie. Semi che uccidono la biodiversità, i coltivatori e la libertà delle persone. Tra questi vi è il Bt.Cotton della Monsanto che ha già spinto migliaia di agricoltori indiani ai debiti, alla disperazione e alla morte. I governi di Australia, Nuova Zelanda e Canada, agendo da strumenti del governo Usa e dell’industria delle biotecnologie, stanno cercando di minare la moratoria dell’Ue attualmente esistente su tutti gli alimenti e i semi geneticamente modificati e su quella che è stata chiamata la tecnologia Terminator, una tecnologia che fa produrre semi sterili alle piante geneticamente modificate. Contro la moratoria dell’Ue si è espresso – il 7 febbraio scorso – il Wto. E il messaggio è chiaro: la libertà dei cittadini di scegliere cosa coltivare e cosa mangiare non ha cittadinanza in un mondo regolato dai profitti delle corporations. Il Bt. Cotton, un cotone geneticamente modificato venduto dalla Monsanto, ha ripetutamente deluso gli agricoltori indiani da quando la società iniziò illegalmente le sperimentazioni nel 1998. E da quando, nel 2002, è stata autorizzata la commercializzazione dei suoi semi. La pubblicità della Monsanto prometteva ai contadini una produzione di 15 quintali per acro e circa 226 dollari di guadagni aggiuntivi, ma per un gran numero di agricoltori il Bt.Cotton ha causato la perdita di interi raccolti. Molti altri hanno avuto raccolti medi di soli tre quintali per acro, un quinto di ciò che era stato loro promesso.
Le nostre ricerche sulle colture delle stagioni precedenti hanno evidenziato nel Maharashtra e nell’Andhra Pradesh raccolti medi di 1,2 quintali per acro. Uno studio del Centro per l’agricoltura sostenibile ha evidenziato che mentre i semi del Bt.Cotton costano ai contadini 36 dollari per acro, i semi dei coltivatori organici costano soltanto 10 dollari per acro, cioè meno di un terzo. Il Bt.Cotton è stato trattato con pesticidi che vengono spruzzati tre volte e mezzo, a un costo di 59 dollari per acro. I coltivatori organici, al contrario, per il controllo dei parassiti hanno usato sostanze ecologiche che costano meno di 9 dollari per acro, cioè meno di un sesto del costo del Bt. A causa degli alti costi di coltivazione e dei bassi guadagni, i contadini indiani si sono trovati intrappolati in pesanti indebitamenti, per sfuggire ai quali si stanno togliendo la vita. Nell’ultimo decennio, in India, più di 40.000 agricoltori si sono suicidati – anche se sarebbe più esatto parlare di omicidio o genocidio. Più del 90% degli agricoltori che si sono uccisi nel Maharashtra e nell’Andhra Pradesh, nella stagione del cotone 2005 avevano piantato il Bt.Cotton. Eppure i lobbisti delle biotecnologie, come Graham Brookes e Peter Barfoot, manipolano i dati per nascondere questo orrore. In un recente viaggio in India, Brookes ha sostenuto che gli agricoltori indiani, coltivando il Bt.Cotton, avrebbero guadagnato 113 milioni di dollari, con un incremento di 45 dollari per ettaro. In realtà usare i semi Monsanto è costato ai coltivatori altri 50 dollari per acro, il che ammonta a oltre 226 milioni di dollari di perdite. Questo è il motivo per cui i governi dell’Andhra Pradesh e del Gujarat hanno portato la Monsanto in giudizio.
La monopolizzazione dei semi da parte delle corporations globali è una ricetta per distruggere la biodiversità e i contadini. Più del 90% del mercato dei semi geneticamente modificati è costituito da quattro soli tipi di colture: grano, soia, canola, cotone. Solo due varietà sono state commercializzate su larga scala: le colture resistenti agli erbicidi e le colture di Bt.Cotton. E più del 90% del mercato dei semi geneticamente modificati è controllato da una sola compagnia: la Monsanto.
Lo studio di Brookes e Barfoot non è basato su dati empirici primari ma su estrapolazioni tratte da falsi presupposti e studi manipolati. Per quanto riguarda gli Usa, i lobbisti sostengono che il cotone resistente agli erbicidi frutterebbe agli agricoltori americani 66,59 dollari per ettaro di guadagni aggiuntivi. Eppure 90 coltivatori di cotone texani hanno fatto causa alla Monsanto per aver subito grosse perdite nei raccolti: la Monsanto non li avrebbe avvertiti di un difetto presente nel suo cotone geneticamente modificato. La causa si propone di ottenere un’ingiunzione contro quella che viene definita «una lunga campagna di inganni». Il tentativo di introdurre la tecnologia Terminator farà aumentare la vulnerabilità degli agricoltori indiani e la minaccia alla biodiversità. Quando a gennaio si è riunito a Granada il gruppo di lavoro sull’articolo 8 (j) della Convenzione sulla diversità biologica, gli Usa hanno sostenuto la falsa tesi che la tecnologia Terminator, una tecnologia che crea sterilità, farebbe «incrementare la produttività».
Le popolazioni indigene vedono la tecnologia Terminator come una minaccia alla loro libertà e sovranità. Come ha affermato in Brasile Mariana Marcos Tarine a nome del Forum internazionale indigeno sulla biodiversità, «la tecnologia Terminator rappresenta una minaccia al nostro benessere e alla nostra sovranità alimentare, e costituisce una violazione del nostro diritto all’autodeterminazione». E ad essere in gioco non è solo la libertà delle popolazioni indigene. Il pronunciamento del Wto sulla questione degli Ogm minaccia la libertà di tutti noi sui semi e sull’alimentazione. Nel 2003, quando il presidente Bush cominciò la disputa, noi avviammo una campagna mondiale. Al meeting del Wto 2005 di Hong Kong, io e l’agricoltore attivista francese Jose Bové abbiamo consegnato al Wto più di 60 milioni di firme con le quali si dichiara che la libertà dagli Ogm è parte integrante del nostro fondamentale diritto a scegliere liberamente le colture che coltiviamo e gli alimenti che mangiamo. Non ci faremo asservire dai giganti della genetica. Non permetteremo che i loro semi assassini uccidano i nostri agricoltori e le nostre libertà. Continueremo a conservare i nostri semi come un dovere verso la creazione e verso le nostre comunità. Diffonderemo le zone «ogm-free» come zone della nostra biodiversità e della nostra libertà alimentare. Diffonderemo semi di pace e fermeremo la diffusione dei semi di morte.
(Traduzione Marina Impallomeni)