6 Settembre 2003
l'Unità

Padri comboniani “Lotta per la dignità dell’Africa d’Italia

Enrico Fierro

“Scusate, sapete dirmi dov’è via Matilde Serao?”. Castelvolturno, Villaggio agricolo. Siamo nel dedalo di viuzze, negozi e case una addosso all’altra che una volta avevano la pretesa di essere villette per le vacanze. Un uomo sudato in canottiera interroga con lo sguardo la moglie, una matrona che fatica a tenere a bada due piccirilli che si rincorrono tra i cumuli di monnezza. “Nunn’o saccio (non lo so, ndr)”. Insisto: “Via Serao, dove c’è la chiesa di padre Giorgio” “Ah, voi cercate ‘o prevet de puttane (il prete delle puttane, ndr), chillu strunzu … “. Il volto dell’uomo è paonazzo, la
bocca vomita bestemmie contro ‘e puttane, ‘e nire, ‘o prevete.
La moglie lo trascina in casa, io vado via e continuo a girare a vuoto per mezzora. E invece la chiesa di padre Giorgio è lì, a due passi dalla casa dell’uomo in canottiera. E di fronte, la casa dei comboniani. “The church”, c’è scritto su un cartello, appeso al cancello. Come nelle zone di guerra. Un casone a tre piani, gli intonaci che cadono a pezzi, un cortile pieno di stracci, mobili vecchi, una bandiera della pace lacera. Busso ad una porta al piano terra, mi apre una ragazza nera in pantaloni stretti e colorati. Un’altra, impaurita, si copre il volto e va a nascondersi. Nel locale sei letti a castello e qualche culla. “Chi cerchi?”. “Padre Giorgio”. Mi accompagna, finalmente.
Al primo piano la cucina e un signore dall’accento abruzzese, con una camicia azzurra aperta sul collo dalla quale oscilla un crocefisso di legno, è padre Nicola, traffica con ali e cosce di pollo da surgelare. Nella stanza di padre Giorgio un lettino, sulla parete una foto con un giovane Papa Wojtyla, di fronte una scrivania con un computer e il telefono. Le finestre sono spalancate ma fa un caldo cane.
“Peggio del Mozambico”, ride quest’uomo nato al Ferrara sessanta anni fa, ex elettrotecnico, prete per vocazione sprituale e intellettuale, comboniano da 25 anni e subito missionario nei villaggi più sperduti del Mozambico, insanguinato dalle guerre civili. Dopo qualche anno, fedele all’insegnamento del fondatore dell’ordine Daniele Comboni, “salvare l’Africa con l’Africa”, il suo continente nero padre Giorgio l’ha cercato qui Castelvolturno, cuore multietnico del litorale Domitio. Qui ‘e nire, come li chiamano, riescono, loro malgrado, ad essere mille cose insieme: economia e arretratezza, bene e male, il piacere e il dolore. Le puttane e la droga, le braccia a poco prezzo per l’edilizia, e le campagne, le case del litorale affittate a nigeriani, polacchi, albanesi, moldave, a posto letto (200 euro al mese per una brandina), il sesso a buon mercato per i giovani dalla pelle bianca della grande conurbazione che va da Formia a Castelvolturno (” 15 bocca, 30 l’amore”), l’eroina tagliata con la fetenzia che crepa le vene dei ragazzi.
Qui ‘e nire ora sono il nemico numero uno, il cancro da estirpare, la vergogna da cancellare. Loro e chi li difende: i comboniani, Che a giugno si sono incatenati, ai cancelli della questura di Caserta contro la Bossi-Fini, sotto gli occhi impotenti del questore e dei funzionari venuti da Roma per dirigere l’Operazione Alto impatto. “Rastrellamenti indiscriminati contro gli immigrati”, denunciarono i missionari. Padre Giorgio e padre Franco, un omone di un metro e novanta venuto dal Varesotto sul litorale Domitio a portare la parola di Cristo. E una croce di legno pesante che quel prete con la stazza di un marcantonio issò sotto gli uffici della Questura, davanti un tavolinetto come altare e li celebrò la Messa insieme a padre Giorgio e alle suore di colore fatte venire dalla Nigeria. Quella. protesta fu gradita a pochi, a molti fece perdere la pazienza e la testa.
Al sindaco di Castelvolturno, ragionier Antonio Scalzone, di Forza Italia, prima di tutti, che accusò i comboniani e il vescovo di Caserta, mansignor Raffaele Nogaro, e tutta la Chiesa che non guarda al colore della pelle e al timbro sui passaporti, di “favorire il traffico di droga e quello di giovani donne ridotte in schiavitù”. Il sindaco chiamò Mario Borghezio, terrore degli immigrati, e,il panzer di Bossi si fiondò a Castelvolturno accolto dalla gente coi fazzoletti verdi al collo e dai cori: “Viva la Padania fuori i negri”. Borghezio ringraziò gli abitanti di “Castelvetrano, pardon, Castelvolturno” e illustrò la sua ricetta per ” la ripulitura sociale della zona”: “Cacciare subito i comboniani, quei preti amici di neri e puttane”. Infine il vescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino che accusa i comboniani di “non predicare Gesù” e ne, propone la cacciata dal suo territorio. “Perché ci hanno rotto i coglioni”, urlò dagli scranni di un consiglio comunale aperto un assessore di Forza Italia.
Ma padre Giorgio, padre Franco e padre Nicola non hanno piegato la testa. Anzi. Il cinque di ottobre saliranno a Roma, si piazzeranno all’ingresso di Montecitorio e insieme a nire e puttane reciteranno il Rosario. Per ore. “Con la parola di Cristo – mi dicono – cercheremo di far capire ai parlamentari della Repubblica che quella legge, la Bossi-Fini è semplicemente disumana”. Poi, a novembre bruceranno gli ordini di espulsione davanti a tutte le prefetture d’Italia e rilasceranno i “veri” permessi di soggiorno, “quelli dati in nome di Dio”. Altre polemiche, altre fratture. Ora siamo sulla terrazza della cucina, il cronista, i preti corriboniani, un seminarista giovane venuto da Bologna e uno venuto dal Messico. Con noi ci sono sei ex prostitute nigeriane, tre hanno i loro bambini nei passeggini. Ringraziamo Iddio per il cibo che ci ha offerto e ringraziamo anche A. (le ragazze sono terrorizzate dai papponi e chiedono l’anonimato) che ha cucinato spaghetti conditi con sugo di pollo speziato e piccante come non mai. Da una stanza si sente il canto di un’altra ragazza, è una nenia della sua terra d’Africa che sa di gospel e di blues. Tutto attorno, invece, sa di precarietà, i soldi per mandare avanti la baracca sono pochi, inesistenti le donazioni pubbliche. “Mi servono 4mila euro al mese per aiutare le ragazze e i loro figli. Spesso è difficile trovarli, ma andiamo avanti”, dice padre Giorgio. “Padre – gli chiedo – ne vale la pena?”. “Certo – mi fu lui – questo è il nostro modo di essere Chiesa. Ne vale la pena per questi bambini e per le loro madri che abbiamo strappato alla strada, alla violenza e ad umiliazioni indescrivibili. Spesso mi sento impotente come l’altro giorno. E’ venuta da me una ragazza ucraina bellissima. “Padre mi aiuti, mi trovi un lavoro altrimenti torno a battere”. L’ho guardata disperato”.
E’dura ma ne vale la pena. Padre Giorgio racconta di padre Franco, che ogni sera va per le strade della Domitiana a raccogliere prostitute. Le avvicina insieme a una suora nigeriana. Parla con loro, ascolta le loro storie e i loro drammi sfidando l’ira dei violentissimi papponi nigeriani e quella della camorra di Casal di Principe e dintorni. Che con la mafia nera ha da anni stabilito solidi rapporti.
All’inizio, per la verità, i nigeriani non capirono che questa è terra dove anche l’aria è sotto il controllo di boss che si chiamano “Sandokan”, “Cicciotto ‘e mezzanotte”, e che sono potentissimi. La strage di Pescopagano nel ’90 (quattro pusher tanzaniani “fucilati” in un bar) chiarì subito come stavano le cose: qui comanda la camorra. E ora i papponi nigeriani e gli spacciatori pagano: da 50 a 100 euro è la tassa sul “posto” (l’albero o la fetta di marciapiede dove stazionano le prostitute), più il 30 per cento sugli incassi. “Questa realtà è terribile – dice padre Giorgio – le condizioni di vita sono disumane per tutti, bianchi e neri. In questo luogo non luogo non c’è una biblioteca, un posto di aggregazione sociale, non c’è nessuno che si occupi del disagio giovanile”.
Castevolturno, con il suo centro storico che raccoglie 5mila abitanti e gli altri 15mila che vivono lungo 27 chilometri di litorale, è fatta così. Qui le case che i casertani e i napoletani della piccola borghesia si erano costruite per la villeggiatura, sono state occupate via via dai cittadini di Pozzuoli dopo il bradisimo e dagli immigrati attirati dalla raccolta del pomodoro e dal lavoro nell’edilizia. E’ una realtà che scoppia. “Ildramma – riflette padre Giorgio – è che la gente vive male, per anni hanno covato disagi e rabbia che ora scaricano sugli immigrati, su tutti indiscriminatamente, mettendo insieme spacciatori, prostitute e chi viene qui per fuggire dalla fame e dalla miseria”.
C’è chi soffia sul fuoco (il sindaco e la sua maggioranza) e così le vittime si alleano con i carnefici pronte a scagliarsi contro chi è più vittima di loro. La storia si ripete drammaticamente. In un’area che negli anni Settanta fu al centro di una formidabile devastazione del territorio: Coppola Pineta Mare, le Torri e gli alberghi, demanio e litorale depredati con la benedizione di vescovi e ministri. Una storia vecchia. Perché ora c’è un piano di risanamento del litorale (l’ultima Torre abusiva dei Coppola è stata abbattuta il 1 agosto) che prevede investimenti per 503 milioni di euro. L’ampliamento dell’Holiday Inn e del campo da golf, la costruzione di nuovi alberghi e di punti turistici di eccellenza. “Perle nel deserto – dice scettico padre Giorgio – vogliono risanare, ma a chi hanno affidato il risanamento? Ai figli dei Coppola, agli stessi che hanno devastato il territorio”.
Il nostro incontro è finito, i bambini giocano con i due novizi, il bolognese e il messicano, le ragazze nigeriane riordinano la casa. Nel cortile due polacchi cercano di aspirare acqua da un pozzo.
Non viene fuori una goccia. Qui, nel Villaggio agricolo di Castelvolturno, i rubinetti sono a secco e in molte case non c’è acqua corrente. Però si stanno costruendo alberghi lussuosi e campi golf per turisti che possono spendere ma che non devono vedere neri in giro. Fuori gli spacciatori e le puttane, fuori i povericristi carne da macello per l’industria dell’edilizia e della pummarola. Questo è il futuro. Il presente di padre Giorgio e di padre Franco è la strada. Tra poco calerà la sera, le puttane nigeriane indosseranno le loro minigonne sgargianti e venderanno i loro corpi ai bianchi. Quindici bocca, trenta l’amore. Passeranno ore sotto un albero a salire e scendere dalle auto. Uno, due, dieci, venti rapporti ogni sera. Padre Franco le avvicinerà una ad una per offrire loro povere cose. Un piatto di pasta, un letto, una parola di conforto. Pillole di vita e di dignità.

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