COME DEFINIRE LE CONDIZIONI PER UNA CULTURA E UNA CONVIVENZA TRA SOGGETTI DIFFERENTI
Intervista di Paola Azzolini a Luce Irigaray
Luce Irigaray, a Verona nel marzo scorso per un seminario nell’ambito del seminario organizzato dall’associazione “Il filo di Arianna” sul tema L’insostenibile violenza delle donne, ci ha gentilmente aggiornato sul suo lavoro e sulle sue ultime pubblicazioni. Sono passati trent’anni dalla pubblicazione in Italia, di Speculum. L’altra donna nella splendida traduzione di Luisa Muraro, ma l’attualità e il valore rivoluzionario del suo pensiero rimane intatto. Come intatta rimane la ricezione che in Italia ha trovato la sua filosofia, centrata sulla necessità di recuperare la mancata esperienza dell’altro, il dialogo fra i generi, che è alla base di qualsiasi altro dialogo fra entità e individui diversi. In questi anni Luce Irigaray ha ulteriormente sviluppato la sua riflessione, affrontando il tema della differenza a livello di democrazia e di linguaggio, cioè di educazione dei giovani. Secondo Irigaray è necessario oggi lavorare a livello educativo alla costruzione di un terreno comune tra i sessi, fatto da un linguaggio e una cultura condivisi, nel rispetto delle reciproche differenze. Inoltre ha preso posto fra i temi della sua riflessione quello della felicità e dell’energia vitale.
Quali sono i tuoi interessi e i tuoi progetti di lavoro in questo periodo?
In questi ultimi anni lavoro anzitutto alla terza parte della mia opera: definire e mettere in pratica le condizioni per una cultura e una convivenza fra soggetti differenti, di cui il paradigma più universale è la relazione uomo e donna, uomini e donne. La prima parte del mio lavoro era dedicata alla critica di una cultura basata e gestita a partire da un unico soggetto, sedicente neutro, in realtà maschile. La seconda parte era centrata sulla definizione di valori necessari per assicurare l’autonomia del soggetto femminile. Certo le tre parti si mescolano e interagiscono: si parla della necessità di una cultura a due soggetti già in Speculum. Il mio lavoro attuale è più costruttivo. Probabilmente per questo è meno apprezzato da donne che si fermano alla critica, alla decostruzione, più che curarsi di creare una nuova cultura.
Quello che dici potrebbe spiegare la violenza, di cui sono protagoniste oggi le donne e di cui tanto si parla?
Forse le donne che, per tanti secoli, hanno tuonato contro di loro la violenza patita hanno bisogno di farla uscire, di manifestarla esteriormente. La critica, una certa comprensione della decostruzione corrispondono a gesti assai aggressivi di cui sembra necessitano certe donne. Capisco questa necessità ma temo che fermarsi alla critica o all’identificazione all’oppressore non possano essere un modo di acquisire una vera autonomia, soprattutto quando si tratta di un atteggiamento globale e non solo intellettuale. Per di più non fa sbocciare la felicità. Da lì risulta un circolo vizioso, in cui la donna genera la propria infelicità.
Sarebbe interessante avere qualche notizia elle tue recenti pubblicazioni, non ancora uscite in Italia…
I miei ultimi libri, stampati per prima in inglese, trattano delle vie per giungere una cultura a due soggetti più giusta e felice. La Via dell’amore (The Way of Love) propone cammini, segnatamente nel parlare, per potere avvicinarsi all’altro ed entrare in dialogo. Cerco di fare sentire come il fatto di risolvere la questione della convivenza fra i sessi, i generi, ci aiuta a trattare le altre differenze: di generazione, di cultura, di razza… Lo stesso atteggiamento vale in ogni caso: rispettare le differenze dell’altro. È sbagliato opporre o contrapporre la differenza fra i sessi e la differenza fra le culture o le razze come fanno certi o certe. Ma è vero che, per prima, è necessario confrontarsi con la differenza fra i sessi che coinvolge l’intera persona e ci costringe a coltivare i nostri istinti. E anche stato pubblicato un insieme di venti testi organizzati in cinque parti: filosofia, linguaggio, arte, spiritualità, politica, che trattano dello stesso argomento: come elaborare una cultura che non supponga un soggetto neutro e universale, ma che tenga conto della o delle differenze in ogni ambito (cfr. Luce Irigaray, Luce Irigaray: Key Writings, 2004).
Il tuo lavoro tiene conto della realtà? Non rischia di fermarsi alla teoria?
Il mio lavoro suscita entusiasmo quando lo conoscono anzitutto da parte dei più giovani ma provoca anche rigetto, perché tocca la realtà e chiede di cambiarla, di evolversi. Molti discorsi oggi sono fondati sull’ideologia, per di più un’ideologia non adatta al presente. Sono ascoltati dalla gente già convinta, su cui esercitano una sorta di seduzione e repressione morale che si propaga come ciò su cui conviene accordarsi. Sono sostenuti dai mass media perché incontrano il successo di un rumore che si comunica, di cui si parla ma che non chiede lo sforzo di un cambiamento, per prima di se stessi. Sono discorsi abbastanza formali e conformisti che tuttora pretendono dì imporre la loro legge su un pensiero più vicino alla realtà come quello che si preoccupa di differenza sessuale. Una realtà difficile da negare!
Dunque tu non rinunceresti alle tue posizioni, nonostante le recenti polemiche fra posizioni rispetto all’eguaglianza e quelle che si confrontano con la differenza?
Non so il tutto su questo. Non posso nemmeno essere responsabile di tutte le proposte che si fanno ormai in nome della differenza. Ma senza dubbio resterò fedele al mio pensiero, qualsiasi siano le resistenze che incontro, qualsiasi le violenze che patisco a causa di esso. Penso che il mio pensiero non è ancora bene capito da certi o certe, ma anche che certi o certe si impegnano perché sia così. È un peccato! Perché oltre al fatto che questo pensiero è necessario per passare ad un’altra tappa della cultura, è indispensabile per cambiare i nostri atteggiamenti, fra l’altro amorosi, nei confronti dell’altro, di ogni sorta di altro.
Poco tempo fa ci ha lasciato Renzo Imbeni, con cui tu hai collaborato fra l’altro quando era vice presidente del Parlamento Europeo. Da questo incontro sono nati due dei tuoi libri, La democrazia comincia a due e Amo a te. Potresti rievocare questo personaggio importante e la tua collaborazione con lui?
La mia stima per Renzo Imbeni è nata dalla sua capacità di mettere in pratica le sue convinzioni senza attenersi a belle parole. Renzo Imbeni è il solo che mi ha salutata dopo il mio intervento all’ultimo congresso del P.C.I. Mi ha affidato la gestione delle serata dedicata alla sua elezione al Parlamento Europeo malgrado la resistenza di persone del suo partito, come racconto nel Prologo di Amo a te. Ha anche accettato di lavorare insieme a me al Progetto di codice di cittadinanza nell’ambito del Parlamento Europeo, come spiego in La democrazia comincia a due. Un uomo di una simile onestà e convivialità, non si incontra spesso, neppure di una simile disponibilità. Anche qui temo che molti e molte non hanno capito bene il senso e lo scopo della nostra relazione: dedicata a una democrazia fondata sulla differenza.