Intervista a Nadine Gordimer ospite a Torino del Grinzane
‘Non sono d’ accordo con André Brink che si dichiara deluso: la spinta del movimento contro l’ apartheid non si può considerare esaurita’ – ‘Ci sono uomini che hanno tradito il sogno di Mandela e c’ è il gravissimo problema dell’ Aids che il nostro presidente trascura’
Simonetta Fiori
«Sono un’ ottimista realista», dice Nadine Gordimer, con la tenacia delle donne minute e ferrigne. Ottantatre anni, d’ una bellezza naturale senza alcun desiderio di lifting, è ora ospite del premio Grinzane, che ha promosso un convegno sulla letteratura africana. “Ottimista realista”, è la formula dietro cui spesso trova riparo, come a distinguersi dalle crescenti voci critiche verso il suo paese, ma anche da un’ inutile apologia. Simbolo della lotta contro l’ apartheid – combattuta anche attraverso i suoi romanzi “civili”, i suoi folgoranti racconti e innumerevoli saggi di denuncia – la scrittrice-premio Nobel si trova oggi in una non facile condizione. Il partito che lei ha lungamente sostenuto, l’ African National Congress, una volta al potere ha finito per tradire – in alcune sue incarnazioni – il sogno di Mandela. Scrittori come André Brink confessano sentimenti di delusione, raccontando un paese colpito dal dilagare dell’ Aids, criminalità diffusa, enorme povertà. «Se l’ Anc è oggi rappresentato da uomini quali Nqakula e Zuma», ha scritto Brink su Repubblica, «io mi sento profondamente tradito». La Gordimer però resiste, non si lascia andare, «non è certo questo il mio punto di vista». Piccola, curata, di un’ eleganza minimale e assai chic, è come se volesse difendere a tutti i costi la storia del suo paese, che è poi la sua stessa storia. «Non credo che le straordinarie energie spese nella battaglia contro l’ apartheid possano considerarsi esaurite», dice con convinzione. Qualche anno fa, in una piccola provincia sudafricana, è stata inspiegabilmente accusata di razzismo, lei che al tema ha dedicato anche la sua vocazione letteraria, perché «non è vero che c’ è un tempo per vivere e un tempo per scrivere, ma ci sono nazioni, periodi storici e situazioni politiche in cui la letteratura ferisce chi la fa e chi la legge». La politica attraversa prepotentemente anche i lapidari racconti de Il Salto, che Feltrinelli pubblicherà il mese prossimo in una nuova edizione. Però al “pessimismo” di Brink si ostina ad opporre “l’ ottimismo della volontà” secondo un celebre detto di Gramsci, autore letto dalla Gordimer, “sì, proprio lui”, sorride. Ha una missione da compiere, e la svolge con coriacea volontà e fedele alle formule del “politicamente corretto”. Anche quando le si domanda della rapina subita recentemente a casa sua, replica asciutta: «Sono una vittima della disoccupazione. Quelle giovani braccia che mi hanno stretto con forza avrebbero dovuto essere impiegate altrove». Signora Gordimer, non condivide dunque la denuncia di Brink? «No, guardo al Sudafrica da una prospettiva diversa. Sicuramente nell’ attuale governo ci sono uomini che hanno tradito il sogno di Mandela e dunque le nostre speranze, ma sento di dover difendere fermamente l’ operato del presidente Thabo Mbeki. Egli è oggi oggetto di molte critiche ingiuste, mentre ha avuto un ruolo fondamentale nel difendere la pace in Africa». In realtà Brink fissa il suo bersaglio non in Mbeki ma in altri personaggi come Nqakuka o Zuma, quest’ ultimo accusato di corruzione e molestie sessuali. «Sì, la corruzione è uno dei problemi, ma vorrei richiamare l’ attenzione sulle gravi responsabilità che ricadono sul nostro presidente. Mbecki ha dimostrato di essere un grande statista, estendendo la sua opera pacificatrice anche sugli altri paesi africani. Oggi lo criticano perché incapace di affrontare Robert Mugabi, il presidente dello Zimbabwe. Ma Mugabi è diventato un pazzo, inebriato di potere. Se Dio scendesse dai cieli e gli intimasse: “Smetti di rovinare il tuo paese”, egli replicherebbe: “Ma tu chi sei? Io sono Dio”. Allora, come si combatte la pazzia? Oggi tutti i paesi, dall’ Occidente all’ Oriente, dovrebbero collaborare nel contrastare questa follia, non solo il Sudafrica». Nei giorni scorsi la Somalia è stata oggetto di un raid militare ordinato dalla Casa Bianca. È la prima volta in Africa sotto l’ amministrazione di Bush. «Sono scioccata, naturalmente. Ma non c’ è niente di nuovo: bastano la guerra in Iraq e la prigione di Guantanamo per qualificare la politica muscolare di Bush». Tornando al Sudafrica, la sensazione è che lei voglia sorvolare sulle manchevolezze della nuova classe politica. «No, non è così. Ho una critica da muovere al mio presidente, non certo irrilevante. È per me incomprensibile il suo atteggiamento verso il dilagare dell’ Aids. Come se girasse la faccia dall’ altra parte, ignorando un fenomeno gravissimo: non solo perché viene offeso il diritto dell’ individuo alla vita, ma anche perché rischiano la decimazione intere collettività di giovani, insegnanti, agricoltori. Come si fa a restare impassibili davanti a questa tragedia?». Un personaggio significativo della politica sudafricana quale Jacob Zuma è stato messo sotto accusa per corruzione e molestie sessuali. Nel processo per stupro, egli s’ è difeso con argomenti pesantemente maschilisti, peraltro spuntandola. Oggi si parla di lui come un possibile successore di Mbeki. «Rabbrividisco solo all’ idea. Sto seguendo con grande apprensione tutta questa vicenda. Zuma è un acceso populista, capace di sollevare masse di persone, ma non ha mai detto una parola su cosa fare per risolvere la disoccupazione o contrastare l’ epidemia dell’ Aids. Un episodio in particolare ne restituisce la tempra morale. Accusato di stupro ai danni di una donna sieropositiva, ha dichiarato d’ aver schivato la malattia facendo una doccia dopo il rapporto. Ma che messaggio ha dato in questo modo ai giovani?». L’ Aids è ora al centro del suo impegno civile e attraversa anche i suoi ultimi romanzi. «Sì, la battaglia mi impegna personalmente. Anche per questo Zuma mi appare un folle superstizioso, senza alcuna responsabilità verso le nuove generazioni. Francamente mi sembra impossibile che l’ Anc lo scelga come suo presidente, che è poi il primo passo verso la guida del paese. Da quel che so, si sta cercando un candidato di ben altro calibro, che però riesca a guadagnare i consensi dei seguaci isterici di Zuma». Non deve essere facile la condizione di chi ha coraggiosamente sostenuto l’ Anc negli anni della clandestinità e oggi assiste a questo spettacolo. «Posso soltanto dirle che godiamo della massima libertà di espressione. Sono regolarmente iscritta all’ African National Congress. Quando vedo qualcosa che non approvo, lo dico liberamente. Non sono mai stata rimproverata, né mi hanno mai impedito di parlare. Mi definirei un ottimista realista: abbiamo problemi enormi, ma anche straordinarie risorse. Le persone che in passato mostrarono non comuni qualità nella lotta per la libertà hanno oggi la determinazione per combattere gli attuali flagelli». Tre mesi fa, lei ha subito nella sua casa di Johannesburg una rapina. Che tracce le ha lasciato? «È molto spiacevole, per dirla in termini blandi~ È molto spiacevole che uomini giovani mi abbiano aggredito in casa mia! Il danno materiale è stato irrilevante, tanto da chiedersi se ne sia valsa la pena. Io non tengo a casa somme di denaro significative. Hanno anche cercato di rubarmi anche la macchina, ma non ci sono riusciti: qualcuno deve averli disturbati. Il segno è stato più forte sul piano psicologico. Ciò che più mi ha turbato è il “perché” e il “come”. I quattro giovani rapinatori avrebbero dovuto avere di meglio da fare – studiare, lavorare, essere occupati in qualcosa – piuttosto che scassinare casa mia ed afferrare una vecchia signora. In fondo sono stata una vittima della disoccupazione». Lei è una scrittrice, attenta al particolare. C’ è qualcosa che l’ ha colpita durante la rapina? «Sì, volevo osservare la faccia dei rapitori, ma il mio aggressore mi ha premuto la testa nell’ incavo della sua spalla, proprio perché non vedessi. Noi scrittori siamo sempre curiosi, così ho allungato lo sguardo sul suo braccio tornito, liscio, senza cicatrici. Anche le mani erano piuttosto belle. È a quel punto che ho pensato: ma cosa ci faceva quell’ uomo in casa mia? Per rubare dieci euro? M’ è scattato un senso di fallimento: in Sudafrica abbiamo compiuto passi da gigante, ma dobbiamo lavorare ancora molto».