di Bruna Bianchi
Finestre, balconi, abiti e zaini, vie principali delle città, stazioni della metropolitana, teatri, palazzi governativi, monumenti sono i luoghi nei quali continuano improvvisamente ad apparire cartelli e striscioni spesso con messaggi in codice, si svolgono azioni di protesta, vengono strappate o danneggiate le lettere Z, appaiono richiami a libri come 1984, ormai introvabile nelle librerie, di George Orwell. Come nei mesi precedenti, le proteste femminili, individuali e di gruppo, si rivelano le più creative e coordinate. Naturalmente la repressione nei confronti di chi protesta contro la guerra cresce. «Ho paura, ma non taccio» ha scritto Julia sul cartello che teneva tra le mani a San Pietroburgo il 12 giugno. Un resoconto di quanto accaduto negli ultimi due mesi in Russia
Mentre decine di migliaia di uomini fuggono dalla Russia per non partecipare a una guerra atroce, le proteste all’interno del paese continuano. Secondo gli ultimi dati (No to War. How Russian Authorities are Suppressing Anti-War Protests1), dall’inizio del conflitto al 13 aprile i casi di arresto in base al decreto che punisce il “discredito” alle forze armate sono stati almeno 993 in 78 regioni. Sfuggono ai provvedimenti repressivi molti autori di graffiti o installazioni in vari edifici e luoghi cittadini e coloro che hanno messo in circolazione monete e banconote con messaggi contro la guerra2.
I provvedimenti adottati o entrati in vigore ad aprile hanno inasprito le pratiche repressive, i controlli, aumentato gli importi delle multe e allungato l’elenco dei reati. Ne rende conto il rapporto aggiornato di OVD-info No to War (cit.). Continuano, infatti, le chiusure dei siti internet per qualsiasi vago accenno alla guerra, le minacce e gli arresti di giornalisti e giornaliste, le pressioni per il licenziamento di attivisti e i loro amici e congiunti, la persecuzione dei collaboratori di Naval’nyj, mentre multe elevatissime colpiscono periodici, tra cui il giornale indipendente Vecherniye Vedomosti, e radio per costringere alla bancarotta e sono state inflitte le prime confische dei beni a chi è stato accusato di diffusione di false notizie (almeno quattro di questi casi sono venuti a conoscenza dell’organizzazione per i diritti umani Agora, resoconto 4-10 giugno).
Contemporaneamente, si spinge la popolazione a rendere esplicito il proprio sostegno alla guerra apponendo una Z sui social o sulle auto. Nella società civile non vi deve essere più alcuno spazio per i dubbi o il tacito dissenso; se non si è a favore del conflitto si è contro il conflitto, il governo, lo stato, l’esercito, e pertanto si è sempre perseguibili.
È sempre più difficile, infatti, evitare il proibito; qualsiasi accenno alla pace, anche nelle conversazioni private, può essere sanzionato. Valga per tutti l’esempio della frase citata nei social “siamo amici” pronunciata da uno dei personaggi del cartone animato per bambini “Il gatto Leopoldo”. Citarla è considerato un atto di “discredito”.
Mentre la repressione si inasprisce, i caratteri della protesta stanno in parte cambiando.
Nelle pagine che seguono – sulla base delle segnalazioni quotidiane a OVD in lingua russa –, e ai resoconti settimanali delle cause penali e civili in inglese (Russian Protest against the War with Ukraine. A Chronicle of Events, 15aprile-11giugno), tracciano un breve quadro delle proteste degli ultimi due mesi.
Letti uno dopo l’altro questi resoconti si fondono in un unico alto grido contro la guerra. Accanto a queste manifestazioni di protesta sui social e per le strade, oggi si possono leggere anche gli scritti di poeti e poetesse, scrittori e scrittici russi-e nella raccolta di testi a cura di Mario Caramitti e Massimo Maurizio, ***/*****. Voci russe contro la guerra, Università degli studi di Torino, 2022, liberamente scaricabile su collane.unito.it.
Attori, luoghi, simboli e messaggi in codice
Non sempre resoconti e segnalazioni riportano l’età e la condizione sociale degli arrestati, ma le immagini suggeriscono che appartengono a ogni classe di età – con una prevalenza di giovani, uomini e donne, spesso con bambini – e a ogni ceto sociale. Sono incappati nelle maglie della repressione giornalisti/e, artisti/e, studenti e studentesse, attivisti/e dei diritti umani, di organizzazioni giovanili e vegane, come il giovane che appare in una fotografia con il cartello “Vegan contro la guerra. Finisca questa follia” (foto).
Hanno manifestato la loro opposizione alla guerra anche due suore, un prete, un ex poliziotto e un candidato alle elezioni per il partito comunista.
Come nei mesi precedenti, finestre, balconi, abiti e zaini, vie principali delle città, stazioni della metropolitana, teatri, palazzi governativi, monumenti e altri spazi simbolici sono stati i luoghi in cui sono apparsi cartelli e striscioni, si sono svolte le performance di protesta, sono state strappate o danneggiate le lettere Z, sono stati tracciati graffiti, intonate canzoni in ucraino – talvolta prendendo a prestito il microfono da un musicista di strada – e sono stati distribuiti distintivi con la scritta «No alla guerra» o «La Russia sarà libera» (foto).
La bandiera a strisce bianca-blu-bianca, al posto di quella russa bianca-blu-rossa, è diventata il simbolo del movimento contro la guerra e ha fatto da sfondo a scritte e slogan (foto).
Tra coloro che hanno messo in atto le proteste c’è chi si è fatto arrestare più volte; l’attivista che compare in questa foto è al suo settimo arresto.
Sempre più numerosi i casi in cui i manifestanti hanno tenuto tra le mani un foglio bianco con 8 asterischi *** *****, quante sono le lettere di нет войне (No alla guerra): foto.
Evitare di scrivere qualsiasi parola sui cartelli e striscioni ha avuto lo scopo di evitare l’arresto oltre a quello di deridere. In un primo momento, infatti, gli agenti accorsi sul luogo della protesta, restavano perplessi, si consultavano sull’esistenza degli estremi per una sanzione, ma la repressione in Russia evolve rapidamente, spostando sempre in avanti i limiti del proibito e gli attori di queste forme di protesta sono stati comunque arrestati.
In un mondo in cui non si possono mai prevedere i motivi di un’accusa, i messaggi stanno diventando non solo indiretti, ma espressi in un linguaggio in codice. Per aggirare i controlli sempre più stringenti sui social, quando si vuole annunciare un’azione in cui si prevede di essere arrestati si usa la frase “vado a fare un passeggiata con il passaporto”.
Anche gli autori dei graffiti evitano messaggi espliciti. Il significato di queste opere non è stato ancora “decodificato” dalle autorità, non è stato discusso nelle aule dei tribunali e pertanto non appaiono nelle segnalazioni quotidiane di OVD. «Sono messaggi meno universali, occorre avere una certa cultura per comprenderli», ha detto in una intervista del 15 aprile Alexandra Arkhipova, la studiosa del Wilson Center che sta conducendo una ricerca sulla protesta in Russia.
Ne sono un esempio i graffiti che ritraggono le ballerine del lago dei cigni di Čajkovskij. Quando Leonid Brežnev morì, spiega Arkhipova, la televisione di stato non ne diede subito l’annuncio in attesa di trovare un accordo sul successore e trasmise in continuazione Il lago dei cigni. Le ballerine, dunque, comunicano l’auspicio che la situazione politica possa mutare radicalmente in seguito alla morte di Putin. Lo stesso auspicio è espresso dalla frase: «Brindiamo alla sciarpa e alla tabacchiera» che si riferisce all’assassinio dello zar Paolo I, strangolato con una sciarpa e finito da un colpo alla testa con una tabacchiera.
«Quando la verità è vietata, è cento volte più necessaria»
Di fronte alla volontà di mettere a tacere ogni voce di dissenso, non stupisce che molti episodi di protesta vertano sulla libertà di parola.
«Ho paura, ma non taccio» ha scritto Julia sul cartello che teneva tra le mani a San Pietroburgo il 12 giugno (foto).
«Ho il diritto di parlare» è quanto si legge sul cartello di un giovane uomo che il 26 maggio si è recato sulla Piazza Rossa, portando con sé il figlio in passeggino.
Per denunciare la censura, alcuni post sui social hanno raffigurato una Z apposta su una bocca cucita.
A Ekaterinburg il 4 maggio Nadežda Sayfutdinova con ago e filo la bocca se l’è cucita davvero e per questo ha rischiato l’internamento in ospedale psichiatrico. Sul poster che teneva tra le mani era scritto:
«Tacere! Non si può! Non si può tacere!
La guerra non è pace!
La libertà non è schiavitù!
L’ignoranza non è forza!».
Eccola lì la vostra ideologia 3 (foto).
Il simbolo dell’operazione speciale, la Z, è stata al centro di molte azioni di protesta; il simbolo è stato di volta in volta rimosso, strappato, bruciato, coperto di vernice rossa, oggetto di sputi e altre manomissioni, come quella di disegnarle accanto “un calcio dimostrativo”, come è accaduto a Čeboksary.
«Togliete quella Z, è il simbolo dell’omicidio. Non c’è niente di che essere orgogliosi, è una vergogna!» si poteva leggere il 12 giugno, la giornata della Federazione russa, sul pezzo di carta esibito da un manifestante di fronte al Teatro di Mosca.
Un caso che ha fatto sensazione è quello di Natalia Filonova, giornalista di Ulan-Ude, città della Siberia orientale, arrestata il 26 aprile per aver chiesto all’autista di un autobus di rimuovere la Z. L’uomo, al contrario, ha fatto scendere tutti i passeggeri e ha portato con la forza Natalia al posto di polizia.
Gli studenti dell’Università di Ekaterinburg, invece, hanno deciso una raccolta di firme per ottenere la rimozione della Z dalla facciata dell’Università. Dal 19 aprile alla fine del mese le persone che hanno firmato sono state 570, 300 delle quali studenti e studentesse.
«E il Signore disse: “cosa hai fatto?”»
Più la guerra si prolunga e più numerosi sono i cartelli che gridano il numero dei morti, in particolare di civili e bambini. Il 26 maggio è stata arrestata a Soči Anna Goretskaya che nei pressi del partito nazionalista e conservatore “Russia unita” aveva esposto il cartello: «Mariupol è completamente distrutta. In termini numerici, era uguale a Soči».
A Ekaterinburg Ivan Ljubimov ha esposto un manifesto di denuncia della violenza all’infanzia; il disegno raffigurava una bambina sul punto di essere colpita dallo scarpone di un soldato. Ha scritto Ivan: «Il male non riuscirà a trionfare. Genesi 4.11. E il Signore disse: “Cosa hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”». «Vergogna ai criminali di guerra. Bisogna perseguire i saccheggiatori, gli stupratori e gli infanticidi» (foto).
Nella stessa città il 23 giugno un manifestante ha voluto porre sotto agli occhi dei concittadini la realtà della guerra occultata nella comunicazione pubblica: «Dal 24 febbraio in Ucraina sono morti o sono stati feriti 10.308 abitanti».
L’orrore per i crimini contro i civili ha indotto anche un prete di San Pietroburgo a diffondere un video in cui affermava che i soldati russi morti in Ucraina non sarebbero “andati in Paradiso”. Il religioso è stato arrestato per aver screditato l’esercito; due icone, un crocifisso di legno e una tonaca gli sono stati sequestrati. Con la stessa accusa un cittadino sordomuto di Tambov è stato multato di pari a oltre 500 euro per un post che raffigurava una donna in costume tradizionale ucraino nell’atto di sferzare un soldato russo. Sotto all’immagine la scritta: «Quando batto un soldato russo con un ramo di salice, è un gran giorno».
Una multa pari a 3.500 euro è stata inflitta a una giornalista di Ekaterinburg per i suoi post contro Putin, sulle stragi di Buča e Mariupol e per aver scritto: «È strano: i russi non credono alle statistiche di mortalità per Covid, ma per qualche ragione credono in una guerra che non fa vittime, né tra i russi, né tra i civili».
La drammatica realtà delle distruzioni in Ucraina è stata messa in evidenza da Valerij Myazdrikov il 22 maggio a Mosca. Questo il suo commento: «Occupanti, predoni e assassini di Putin, andate via dall’Ucraina! La Crimea è anche Ucraina! Libertà per i prigionieri politici!» (foto).
La sofferenza delle madri ucraine è stata rappresentata in un’opera di grandi dimensioni dell’artista Yelena Osipova esposta in una via di San Pietroburgo il primo maggio e accompagnata dalla scritta:
«1° maggio: Solidarietà internazionale (in alto)
No alla guerra, no alla guerra (ai lati)
XXI secolo! (al centro)
La morte dell’umanità è la conseguenza della guerra» (in basso). (foto)
Una settimana dopo, il 9 maggio, giornata della vittoria, l’anziana artista è stata fermata sulla soglia di casa per impedirle di manifestare contro la guerra. Non sappiamo quale opera Yelena Osipova intendeva portare con sé, ma, a proposito degli eroi, il 27 febbraio in uno dei suoi dipinti aveva rappresentato un soldato bendato a cui la madre strappava l’arma dicendo: «Non combattere questa guerra, figlio» e l’artista aveva aggiunto le parole: «Soldato, getta il fucile. Questo è ciò che fa di te un eroe» (fonte).
Nelle segnalazioni di OVD troviamo solo un esempio di rifiuto del servizio militare, ma significativo per gli echi di un’altra terribile guerra nelle sue dichiarazioni. Saveli, un giovane di Stavropol’, nella Russia meridionale, all’inizio di aprile aveva chiesto l’esenzione e avanzato richiesta di servizio alternativo. Convocato all’ufficio di reclutamento e invitato a esporre le sue ragioni, così ha riassunto la sua risposta: «Ho spiegato la mia convinzione che la vita umana abbia un immenso valore. Ho anche raccontato che mia madre aveva fatto l’esperienza della guerra a Groznyj, che era stata sotto i colpi dell’artiglieria per un mese e che miracolosamente si è salvata, che mi diede alla luce quando era già avanti negli anni e che io non voglio mettere a rischio la mia vita». Tratto in arresto, di lui non abbiamo trovato altre notizie.
A commento del reclutamento e della sua ideologia omicida, a San Pietroburgo ha scritto il 16 giugno sul suo poster Aleksej Dudinsky:
Forse che augurare ai nostri ragazzi di tornare vivi dalle loro madri e mogli significa screditarli?
E mandarli sotto le pallottole e i proiettili significa sostenerli?
Russia sei sana di mente?
Fermate la guerra!
«Uccidete tutte le guerre, maledite tutte le guerre»
Tra coloro che hanno protestato c’è chi ha voluto comunicare il suo messaggio con le parole di grandi poeti e scrittori per affermare verità universali, richiamarsi alle tradizioni culturali russe e in particolare alle parole di Tolstoj. Il 23 giugno a Ekaterinburg, un uomo è stato arrestato – fonte – per aver riprodotto nel suo poster una poesia di John Donne (1572-1631), Meditazione XVII:
Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te1.
A Pskov Ivan Kulesh è stato arrestato il 21 giugno per un post con una lunga citazione di Tolstoj tratta dallo scritto Ricredetevi! (1904) contro la guerra russo-giapponese:
E centinaia, migliaia di uomini in uniforme e con diversi strumenti di morte – la carne da cannone – storditi dalle preghiere i sermoni, gli appelli, le processioni, le immagini, i giornali, con l’angoscia nel cuore, in un coraggio apparente, lasciano parenti, mogli, figli e vanno là dove, arrischiando la loro vita, commettono l’atto più terribile: la strage di uomini che non conoscono e che non hanno fatto loro alcun male2.
Alexander Kapustin a Krasnoyarsk il 28 maggio ha voluto sferzare gli apatici con una citazione di Albert Einstein: «Il mondo sarà distrutto non da coloro che fanno il Male, ma da coloro che lo guardano senza fare nulla».
Ma il libro che è diventato il simbolo della protesta è 1984 di George Orwell. L’opera, che è andata a ruba in pochi giorni, rivela ai lettori della Russia di oggi le analogie tra la visione distopica del romanzo con la realtà del regime putiniano. Portare il libro con sé è diventato un segnale di riconoscimento. Così il 31 maggio, il giovane Aleksej Zorin si è recato davanti alla Duma con un cartello in cui aveva scritto «1984 – Possiamo replicare» (foto).
Il giorno successivo, a San Pietroburgo, Oleg Klimenchuk ha citato la poesia di Robert Roždestvenskij, Requiem, dedicata ai soldati russi morti nella Seconda guerra mondiale e che termina con le parole: «uccidete tutte le guerre, maledite tutte le guerre». Per questo Oleg è stato aggredito non lontano dalla sua abitazione.
«Mio nonno non ha combattuto per un futuro del genere»
Il 9 maggio, giornata della vittoria, si sono svolte le proteste più numerose e di aperta e dura condanna della guerra. In quel giorno sono state arrestate 125 persone; almeno 50 attivisti e attiviste, note per aver partecipato a precedenti manifestazioni di protesta, sono state quelle fermate nelle stazioni delle metropolitane, individuate attraverso il riconoscimento facciale. Un numero imprecisato di persone sono state intimidite da minacce e insulti affissi alle porte delle loro abitazioni da parte di volonterosi collaboratori del regime.
A Mosca, ma anche in altre città, su molti cartelli e striscioni spiccavano le fotografie di coloro che avevano combattuto nella guerra di liberazione in divisa militare e medaglie sul petto. Le reggevano tra le mani i nipoti.
«Ha combattuto per la pace!», ha scritto Ekaterina Voronina, «Non voleva che si ripetesse». Il nonno diceva: «Se solo non ci fosse la guerra!», «Pace al mondo!», «Non voleva la guerra!». (foto).
«Mi vergogno di voi, nipoti. Abbiamo combattuto per la pace, tu hai scelto la guerra» (Novosibirk, 9 maggio, foto).
«Hanno combattuto per la Patria. E noi?» ha scritto sul suo poster un attivista per i diritti umani che ha manifestato a Mosca di fronte al ministero della difesa (foto).
Rabbia, indignazione e desiderio di sfida hanno animato la protesta del 9 e del 12 giugno, festa della Federazione russa.
«Russia, arrestami, non me ne frega un cazzo!» (Mosca, 9 maggio, foto).
«Putin, inizia la denazificazione da te stesso» (Vladivostok, 12 giugno, foto).
Né è mancato qualche tentativo di manifestazione eclatante. L’artista e fotografo Danila Tkatchenko aveva pianificato di far esplodere 140 ordigni, installati nei condizionatori di un edificio nei pressi della Piazza Rossa che avrebbero diffuso fumo azzurro e giallo durante la parata. Scoperto, l’artista è riuscito a fuggire dalla Russia.
«Non possiamo lavarci il sangue»
Come nei mesi precedenti, le proteste femminili, individuali e di gruppo, si sono rivelate le più creative e coordinate. Il tema ricorrente è il sangue versato, le vittime della guerra. «Io sono contro la guerra, l’Ucraina è inondata di sangue» (Maria, Krasnodar, 16 maggio).
«La Russia ha le mani insanguinate fino al gomito. #No guerra» (Alexandra, 9 maggio, Samara al Monumento della gloria).
Davanti al ministero degli affari esteri della federazione russa Ljudmila Annenkova, che già aveva scontato una pena di una settimana, è stata nuovamente arrestata il 7 giugno per aver manifestato contro la guerra in abito bianco sul quale aveva sparso vernice rossa: «Non possiamo lavarci il sangue» (fonte).
A San Pietroburgo il 9 maggio, sulla prospettiva Nevsky, si è svolta una manifestazione delle Donne in Nero. Tenevano tra le mani una rosa bianca e una copia del libro di Svetlana Aleksievič, Ragazzi di zinco, una raccolta di testimonianze sulla guerra afghana dedicata agli almeno quattordicimila giovani soldati che tornarono in Russia chiusi nelle casse di zinco, e che furono sepolti di nascosto. L’azione era stata proposta dalla “Resistenza femminista contro la guerra” (foto).
Un altro tema che ricorre nelle proteste femminili è la denuncia delle distorsioni del discorso mediatico. L’8 maggio, nel Parco della Vittoria a Ekaterinburg, Svetlana Moleva e Galina Bastrygina sono state arrestate per aver distribuito volantini contro la guerra in cui si rivolgevano ai cittadini affinché non guardassero i notiziari televisivi, ritrovassero il proprio giudizio, la propria voce e riconoscessero il vero motivo dell’invasione: le ambizioni di Putin.
Con lo stesso scopo a San Pietroburgo Anna Anisimova si è ammanettata a una televisione con l’immagine del giornalista putiniano Vladimir Solovyov (foto).
Tra coloro che sono coraggiosamente scese in strada ci sono state anche due suore. «Pace nel Mondo» e «Noi siamo per la pace» sono stati i loro messaggi (Krasnodar, 16 maggio).
«La polizia faceva battute sullo stupro»
A inasprire la condizione di chi incappa nelle maglie della “giustizia” si sono moltiplicati abusi di ogni sorta; perquisizioni e minacce si sono estese a coinquilini sospettati di complicità, a mogli e mariti, ai figli, ai tassisti, colpevoli di aver portato i manifestanti ai luoghi delle proteste. Né mancano ritorsioni ancora più vili, come quella che ha colpito il giovane uomo che sulla Piazza Rossa il 26 maggio aveva protestato per la libertà di parola portando con sé il figlio in passeggino. Poiché l’uomo non aveva con sé il certificato di nascita, il bambino gli è stato sottratto ed è stato portato in un istituto.
Alle minacce, alla reclusione in luoghi completamente bui, al rifiuto di chiamare gli avvocati ai posti di polizia, si sono aggiunte le torture, le minacce di strangolamento, le pressioni violente sulla persona arrestata affinché firmasse una dichiarazione di aver agito “per odio politico” aggravando così la sua posizione giuridica. Le violenze hanno colpito soprattutto donne e ragazze. Nelle stanze chiuse dei posti di polizia, lo spettro della violenza sessuale è sempre incombente. «Gli agenti facevano battute sullo stupro». È quanto è accaduto a tre giovani attiviste, Anastasia, Elena e Natalia, arrestate il 24 maggio sulla Piazza Rossa benché in quel momento non stessero compiendo alcuna azione di protesta. Natalia è stata portata in una stanza separata e da lì le compagne hanno sentito urlare.
Né è mancata la volontà di infierire su persone con disabilità. Amir Amaireh, dopo essere stato minacciato di detenzione speciale in un centro per criminali, quando gli agenti si sono accorti della sua disabilità, lo hanno costretto a stare a lungo in piedi per causargli dolore alle gambe (9 giugno, Irkutsk).
Tali crudeltà non soffocheranno la protesta, lo hanno dimostrato coloro che fin dall’inizio del conflitto hanno levato la loro voce contro la guerra, e, forse, il coraggio e la forza dei loro messaggi riusciranno a scuotere l’apatia e lo scoraggiamento che affliggono la nostra società, come l’appello, semplice, ma profondo, lanciato da Ekaterina Vorobyova il 22 maggio di fronte alla cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca:
«Не привыкай к войне»: «Non abituarti alla guerra» (foto).
Note
1 Per i casi riportati da questa fonte non è sempre facile risalire con esattezza alla data in cui si è verificato l’episodio di protesta. Le imprecisioni nel testo sono dovute a questa difficoltà.
2 Sui graffiti e la protesta in Russia si veda: https://serenoregis.org/2022/04/01/graffiti-contro-la-guerra-in-ucraina/.
3 Sono queste le frasi leggibili.
4 Cito dalla traduzione italiana che compare in numerosi siti tra cui: http://www.claudiomalune.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2450:john-donne-nessun-uomo-e-unisola-meditazione-xvii&catid=768:donne-john&Itemid=86.
5 Cito dalla traduzione italiana recentemente ripubblicata da Gruppo Abele Edizioni, Torino 2022, p. 25.
(comune-info.net, 29 giugno 2022)