di Maria Chiara Franceschelli
I dissidenti in Russia non hanno vita facile, e la situazione sembra solo peggiorare. Il 22 marzo scorso, la Russia è stata vittima di un feroce attacco terroristico. L’attacco, durato in totale 18 minuti, ha causato 139 vittime. Nonostante la rivendicazione dell’attacco da parte dell’ISIS-Khorasan, il ramo dell’organizzazione terroristica attivo principalmente in Afghanistan e nel Caucaso, il presidente russo Vladimir Putin non ha esitato a strumentalizzare quanto accaduto alludendo a possibili responsabilità da parte ucraina. Per quanto riguarda la politica interna, conseguenza immediata dell’attentato è l’inasprimento del governo russo nei confronti delle questioni relative alla sicurezza.
Le leggi russe relative al terrorismo sono state a lungo un’arma efficace contro il dissenso. Infatti, la legge sul terrorismo varata nel 2006, così come quella sull’estremismo, è stata spesso strumentalizzata per sopprimere il dissenso e controllare il dibattito pubblico, lasciando poco spazio a istanze di opposizione.
Sono 3.738 le persone condannate ai sensi della legge contro il terrorismo nel periodo che va dal 2013 al 2023. Ma tanti sono anche i casi antecedenti a quella data. Tra questi c’è la storia di Ivan Astashin, attivista per i diritti umani che per anni si è battuto contro gli abusi in divisa e contro le condizioni disumane imposte nelle carceri russe. Nel 2009, Ivan lanciò una molotov contro una stazione dell’FSB, il servizio di sicurezza federale russo. Il gesto, più simbolico che realmente tattico, non causò vittime né feriti, né danni sensibili agli uffici: si limitò a rompere una finestra. Ciononostante, Ivan fu accusato di terrorismo e condannato a tredici anni di carcere. Anche in virtù della propria esperienza, Ivan si è impegnato nell’attivismo a tutela dei diritti umani, e a raccontare la tragica situazione delle carceri russe, in cui gli abusi in divisa sono all’ordine del giorno e i dirittihttps://www.rivistastudio.com/sheila-heti-intervista/ dei detenuti sono sistematicamente lesi.
Ivan Astashin è uno dei protagonisti di La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel Paese di Putin (Altreconomia) , libro scritto a quattro mani dalla scrivente e da Federico Varese [. Astashin è uno dei cinque oppositori del regime di Putin di cui abbiamo raccontato le vicende: i protagonisti del libro sono persone reali, che si sono raccontate in lunghe interviste ripetute a distanza di mesi, così da coprire un arco temporale vasto e sensibile ai cambiamenti che la Russia ha attraversato dal lancio dell’invasione su larga scala scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Ogni storia svela un aspetto specifico della società russa, e soprattutto di cosa vuol dire essere dissidenti nel Paese di Putin.
Apriamo il volume con la storia di Ljudmila, una blokadnica (dal russo blokada, “assedio”), vale a dire una sopravvissuta all’assedio di Leningrado (1941-1944). In risposta all’invasione dell’Ucraina, Ljudmila è scesa in strada a manifestare contro la guerra, ed è stata arrestata nonostante l’età avanzata. Ljudmila racconta degli scambi che ha avuto con i giovani soldati. Lei che la guerra l’ha vissuta davvero e ne ha sofferto gli orrori sulla propria pelle ha spiegato, con comprensione e umanità, come la retorica bellicista di Putin, fondata sulla mitizzazione della vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale, sia un dispositivo per giustificare altrettanti orrori, anziché per rendere omaggio agli eroi del passato.
La seconda storia del volume ci porta invece in periferia, nelle campagne moscovite, dove padre Ioann, un pope ortodosso, è stato arrestato per aver denunciato i crimini russi in Ucraina durante un’omelia a una platea di dodici persone. La storia di Ioann rivela come la Chiesa ortodossa russa sia un importante alleato politico del Cremlino, sposandone le politiche violente e imperialiste e diffondendo propaganda bellicista tra i fedeli. L’assurda storia di Ioann, però, ci ricorda anche come sia sempre più difficile trovare spazi sicuri nella Russia di oggi: i delatori possono nascondersi anche fra una platea di una manciata di persone in un villaggio di campagna.
Grigorij Judin è la terza figura chiave del libro. Ricercatore e docente, con lui svisceriamo le difficoltà di sondare l’opinione pubblica nella Russia di Putin e, in generale, in contesti non democratici. Numerosi studi dimostrano come i sondaggi possano essere influenzati molte variabili, che in contesti non democratici acquisiscono peso maggiore: la formulazione delle domande, il luogo e il momento in cui vengono poste, la familiarità dei partecipanti con l’argomento in questione, la misura in cui essi si sentono liberi di esprimere la propria opinione in sicurezza, l’ente che conduce il sondaggio, e così via. In questo scenario fumoso è difficile misurare il consenso popolare di un regime, e quindi rispondere a una domanda che dal lancio dell’invasione su larga scala ha impensierito molte persone in Russia e non: quanto di quello che sta succedendo in Ucraina è colpa di ciascun cittadino russo? La questione chiama in causa i concetti di colpa e di responsabilità collettiva, e la relazione di accountability che lega governanti e governati, ossia il vincolo di responsabilità bidirezionale degli uni verso gli altri.
A chiudere il volume c’è la storia di Doxa, rivista indipendente nata in seno alla Higher School of Economics, ateneo moscovita di fama liberale, raccontata da Katja, redattrice. La parabola di Doxa e del collettivo di ragazze e ragazzi che la animano mostra il tentativo da parte delle autorità russe di soffocare il dibattito politico all’interno delle università, ma anche di imporre un modello di giornalismo “neutrale”, che in questo contesto significa non critico nei confronti del potere. Di erodere, dunque, spazi che storicamente sono stati culle di dibattiti, cambiamenti e rivoluzioni.
Il filo rosso che lega le storie di Ljudmila, Grigorij, Ioann, Ivan e Katja sono le tattiche di resistenza quotidiane di chi si trova a lottare in un paese in cui fare opposizione è pressoché impossibile. Il processo storico che ha attraversato la Russia dal crollo dell’URSS ai giorni nostri, infatti, ha fatto sì che il paese si ritrovi ad oggi privo di infrastrutture che possano canalizzare il dissenso entro un fronte coeso, e fare opposizione sistematica al Cremlino. Questa situazione non è dettata dal caso, ma dalla combinazione di circostanze preesistenti l’ascesa di Putin, e dalla precisa volontà di Putin di esacerbare una situazione non favorevole allo sviluppo democratico della società civile sin dal suo primo mandato presidenziale. Analizziamo nel dettaglio la questione in un saggio conclusivo, a cui seguono poi due appendici. Nella Cronologia elenchiamo nel dettaglii i momenti fondamentali della dialettica fra opposizione e repressione dal duemila ad oggi. Nel Glossario della resistenza, invece, illustriamo metodi alternativi che cittadini e cittadine russe hanno escogitato per continuare a esprimere il loro dissenso in un contesto così soffocante.
Con La Russia che si ribella ci siamo posti l’obiettivo di mostrare dinamiche interne alla Russia di Putin che spesso rimangono lontano dalle cronache giornalistiche. Attraverso le voci dei nostri intervistati, abbiamo voluto mostrare le difficoltà e le sfide che attendono quella parte di popolazione che non si trova d’accordo con le politiche del Cremlino, e le soluzioni che sono state trovate per farvi fronte. Osservando da vicino le esperienze molto diverse fra loro di cinque dissidenti, il volume rivela passo passo i nodi e i dilemmi fondamentali della popolazione contraria al regime di Putin, facendo luce sul volto di una Russia che difficilmente si riesce a scorgere oltre le maglie della repressione putiniana.
(Valigia Blu, 20 aprile 2024)