Vittorio Melandri
Caro Barenghi, è vero, «i cattivi sono anche inferiori» (La risposta di sabato). E nei panni della iena, la soldatessa Lynndie ci si è messa con le sue mani ben prima che ce la mettesse jena. E la favola del buon generale e del cattivo soldato si trova in ogni antologia che si rispetti. E potrei continuare, solo reiterando (magari una volta sola), questo esercizio così simile, alla scoperta dell’acqua calda. Quello che mi pare più difficile da praticare è la manifestazione di un sentimento di «pena» misto a «com-passione» per la soldatessa Lynndie (oggi in particolare), e per tutti i disgraziati che come lei, partendo da una condizione «inferiore», se una spinta la ricevono, la ricevono verso una condizione morale e materiale ancora più inferiore al posto di un aiuto utile a cercare di riscattare la propria «cattiveria». I tanti esseri umani che riescono a rimuovere la propria «inferiore cattiveria», dovrebbero essere chiamati a soccorso per «interesse», non per melenso buonismo. Capita invece che ci si attardi di più a coprirli di «inutili» decorazioni, come si faceva nella vecchia Unione sovietica. Intanto una ragazza, di cui non ci si prende nemmeno cura di fornire l’età esatta (si legge 21 o 24, come fosse la stessa cosa), si trova esposta alla gogna su tutti i giornali del mondo con ben in vista il fardello della sua miserabile ignominia, quasi che il «male», del quale si trova ad essere alfiere, fosse tutto farina del suo sacco. Eretta così a simbolo dell’onore violato dell’America o del suo disonore a seconda del punto di osservazione. Antico quanto il mondo, lo spettacolo a cui stiamo assistendo. Non è rivoltante solo per quello che «si vede», ma anche per quello che maldestramente si vuole nascondere: le responsabilità di tutti i capi della soldatessa Lynndie. Dal caporale di giornata sino al comandante supremo dell’esercito degli Usa. Sino a investire anche tutti i corifei scandalizzati e muti. Dispiace (almeno a me dispiace) che anche il manifesto, con la parziale eccezione di Luciana Castellina, si acconci al «linciaggio» di una che si è già linciata da sé; una legata alla sua vittima con lo stesso guinzaglio, che sembra impugnare ma che in realtà lega anche lei. Intanto che i carnefici se ne stanno fuori campo a lodarsi e a scannarsi fra loro.