1 Ottobre 2002

Recensione de “La politica del desiderio” di Lia Cigarini

Luciano Sartirana

Politica delle donne, pensiero della differenza… questo stupendo libro (edizioni Pratiche) spiega tutto questo, e senza ombra di frantendimenti.
Sono articoli e riflessioni sull’arco di una ventina d’anni, su argomenti specifici come il dibattito sull’aborto o la fine della scala mobile; relazioni di convegni e incontri di donne; approfondimenti. Linguaggio attento e rigoroso, ma scorrevole. In questo senso, suggerisco di leggere la prefazione di Ida Dominijanni alla fine del libro: molto interessante anch’essa, ma un tantino faticosa…

 

Riassumendo la grande dovizia di idee, spunti ed esperienze raccontate:
1) in secoli e millenni di dominio maschile della vita sociale, politica, del linguaggio e di molto immaginario, per una donna è decisamente difficile capire quale sia, a livello profondo e simbolico, il suo vero desiderio; questo essendo stata definita “in rapporto” o “in negazione” del simbolico maschile. Anche la frequente situazione di scarsa autostima, che impedisce a molte donne di crescere e realizzarsi nel quotidiano, deve essere affrontata da questo punto di vista.
2) Come uscirne? Secondo Lia, non bastano le politiche rivolte alla partecipazione (come le quote garantite alle donne), perché non affrontano il vero desiderio femminile: vogliono davvero, le donne, occupare più posti di potere politico o economico?
Come lo possiamo capire? Tramite l’analisi, per ricostruire la storia personale e, soprattutto, il rapporto con la madre, ultima portatrice del desiderio rimosso; il confronto franco con le altre donne, per recuperare la storia comune e non racchiudere il cammino di crescita in un percorso solo individuale; la critica dell’istituzione, del linguaggio, dell’immagine, del potere che fonda individua i canali che perpetuano un simbolico repressivo.
3) Un mezzo importante, però, è costituito all’autorità femminile. Riconoscere nel gruppo di donne di riferimento, e in una donna in particolare, un sapere e un’esperienza più ampi del proprio; qualcosa che faccia evolvere il desiderio dall’eredità della madre biologica a quella della madre simbolica e più avanti nella coscienza; per avere davanti un diverso modello di desiderio femminile.
Dove trovare movimento in positivo e cui riferirsi con fiducia piena.
Dove creare relazione al posto di individualismo, modalità tipicamente maschile.
4) Questo significa differenza, separatezza dal modello maschile, comunque si incarni nella vita di ciascuna: coppia repressiva, immaginario sessuale distorto, rincorsa di ruolo.
5) Il progetto di sottrazione dal potere maschile e costruzione di un nuovo simbolico non si riferisce solo ai rapporti quotidiani, ma anche all’ambito politico-statuale-istituzionale, il mondo del potere e del linguaggio sessuato ma occulto. Qui si deve tendere a sottrarre spazi e momenti di vita alla decisione e alla definizione giuridica e riconsegnare la prassi alla relazione fra le donne. Un esempio: il recente caso di una donna che si è liberamente accordata con un altra perché quest’ultima cresca suo figlio nel suo utero, cosa che ha scombussolato il mondo morale e giuridico vigente in quanto atto esente dall’equazione azione-denaro.
6) A differenza dell’anarchia (anch’essa vorrebbe eliminare lo Stato per restituire la vita alle persone, intese però come individui), il progetto delle donne è basato sulla relazione, il confronto tra molte, l’autorità femminile. Per far sempre emergere il desiderio e il simbolico autentici. E la politica al servizio del desiderio, non il contrario.

 

È una forma di pensiero decisamente affascinante e produttiva, che ricerca l’unità della persona e il dispiegamento di rapporti diversi, non solo per le donne. Un pensiero che ricorda il gioco dello shangai, dove Lia ci invita a togliere ora quel bastoncino ora quell’altro (cosa succede se non cerchiamo il potere? O se non andiamo a votare? O addirittura senza leggi e decreti?).
E notare con sorpresa che il castello regge lo stesso.
Magari anche meglio.

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