di Adriana Sbrogiò – Spinea
– Ricordo quando di giorno e di notte suonava l’allarme e dopo un po’ di tempo si sentiva il rombo degli aerei che arrivavano carichi di bombe (hhuu hhuu hhuu hhuu); un rumore sordo, lento, inesorabile con il suo carico di distruzione e di morte.
Scappiamo, scappiamo, non c’è tempo, gli aerei sono vicini, troppo vicini, fra poco sganciano le bombe; andiamo tutti sotto il pagliaio dei contadini vicini. Lì hanno scavato una buca lunga e larga sotto il pagliaio grandissimo e tanti vanno là sotto per ripararsi perché, se proprio non cade una bomba sull’imboccatura del rifugio, siamo tutti riparati dalle schegge. Non ricordo quanti fossimo, tutti vicini appiccicati, donne e uomini anziani, alcuni sempre in piedi, altri seduti. Di là sotto ricordo i pianti, i lamenti e le imprecazioni e l’odore, l’odore rivoltante di chi se la faceva addosso per la paura. E sentivo attutiti dalla paglia gli scoppi delle bombe e tremare la terra. La mia mamma mi teneva stretta stretta e con l’orecchio appoggiato al suo petto sentivo battere forte il suo cuore che mi sembrava una specie di musica e mi distoglieva da tutti gli altri rumori fino a farmi pendere il sonno. E quando suonava il cessato allarme piano piano si usciva, ci si guardava in giro per veder se la nostra casa fosse ancora là. Era là, era ancora là. Risparmiata dai tanti bombardamenti l’abbiamo trovata ancora in piedi.
Un mattino, però, l’abbiamo vista ridotta ad un ammasso di macerie.
E siano andate profughe dall’altra parte del paese. Tre kilometri più in là dal punto nevralgico dei bombardamenti (Marghera-Chirignago-Stazione ferroviaria Mestre-Padova).
– E ancora, quando suonava l’allarme di giorno e di notte, ci si alzava in fretta e furia e si scappava di corsa a piedi, si attraversavano campi e fossati, oppure con una bici con i cerchioni delle ruote coperti da gomma piena, si correva verso la campagna di Spinea. Ci si riparava sotto le cataste di fascine fatte di rami molto lunghi appoggiati a terra che si incrociavano verso la cima. Un ramo sopra l’altro, anche quelli proteggevano dalle eventuali schegge di bombe. Ricordo un uomo terrorizzato che continuava a gridare: arrivano, arrivano, adesso bombardano, moriamo tutti, moriamo tutti. E alcune donne che gli intimavano di stare zitto perché spaventava tutti.
Eravamo tutte/i tanto impauriti. Di notte, sotto il “fascinaro” però, ad un certo momento il suono del cuore di mia mamma mi faceva addormentare. Avevo quattro, cinque, sei anni.
Per un periodo di tempo, quando si arrivava di notte nella casa dei contadini di Spinea, che erano anche parenti di mia nonna, non andavamo sotto il “fascinaro”, ma ci ospitavano su delle brande vicino al granaio. Ricordo il tormento di tutte quelle notti piene di pulci, cimici puzzolenti e anche pidocchi. Mi grattavo sempre e mi lamentavo e non dormivo più. Ad un certo momento mia mamma preferì restare seduta con me in braccio al riparo sotto le fascine. C’era sempre l’uomo che ci spaventava, ma per lui mia mamma provava anche gratitudine perché una volta mi aveva portata via dai binari del treno dove ero caduta.
– Mia mamma lavorava e fino ai quattro o cinque anni, mi hanno portata all’asilo delle suore a Chirignago perché, dicevano, era il posto più sicuro in quanto non avrebbero bombardato dove si sapeva che c’erano dei bambini. Infatti, la casa delle suore era molto grande e metà era stata occupata dal Comando Tedesco, l’altra metà lasciata alle suore che accoglievano bambine/i.
Ma un brutto giorno suonò l’allarme e le suore ci fecero entrare tutti in una grande aula e ci strinsero tutte e tutti, insieme a loro, vicini vicini ai muri più interni che facevano angolo. Sull’asilo caddero alcune bombe e ricordo che vedemmo crollare la parete più esterna dell’aula, ma tutti noi restammo incolumi e anche le suore, ma tutti spaventati a morte.
Ricordo i cavalli e gli asini che, impazziti dalla paura, correvano qua e là nel piccolo parco delle suore e altri erano morti dentro gli orti. Erano animali che i tedeschi si portavano dietro per cibarsi, mi dissero.
Un mio zio, fratello di mio padre, che comprava e vendeva il latte passò, con il suo carrettino con sopra i bidoni del latte, davanti all’asilo e mi ha cercata per portarmi a casa. Si sapeva, dicevano, che dopo un bombardamento, molte volte, passavano gli aerei che mitragliavano anche la gente che fuggiva. Lo zio mi prese e mi mise dentro un bidone del latte e mi fece tenere una mano sull’orlo dell’imboccatura per tenere alzato il coperchio e non soffocare. Lui si accucciò sotto il carretto dei bidoni e fummo salvi entrambi. Quando si misero a mitragliare io sentivo tanti tic tic tic sull’esterno del vaso. Quel rumore deve essermi entrato nel cervello perché tanti, ma tanti anni dopo, quando avrebbero dovuto farmi un esame con la risonanza magnetica, appena entrata nel cilindro e sono iniziati tutti quei tic tic tic, mi sono messa ad urlare, mi sono sfilata dal tubo e sono scappata. Sono uscita di corsa dall’ambulatorio mentre il medico mi correva dietro cercando di calmarmi.
Quella volta gli americani distrussero tante case a Chirignago e uccisero uomini e donne. E io molto più tardi capii che l’asilo non era il luogo più sicuro, ma che eravamo gli scudi umani dei tedeschi e che in guerra tedeschi e americani, amici e nemici si uccidono e uccidono tutti, civili e innocenti.
– Ricordo mia mamma che in quel tempo, mentre faceva la lavandaia in casa di benestanti, le si piantò un ago dimenticato in un panno da una signora e finì all’ospedale perché non riuscivano a toglierlo e camminava lungo il braccio. Quando l’ago arrivò alla spalla, fecero l’operazione e la liberarono. Nel frattempo, però, mia mamma si ammalò di paratifo e rimase all’ospedale molto tempo. Intanto i miei parenti mi mandarono ospite da una zia sul Montello perché là, dicevano non bombardavano. Non ricordo quali truppe ci fossero di stanza in quei posti, ma ricordo che tanta gente soffriva di scabbia ed io me la presi. Tornai a Chirignago dai nonni materni e nessuno della famiglia si infettò. Ma io, con poche difese, poco cibo e niente sale, rimasi “la scabbiosa” per quasi un anno e sono stata vicina a morire.
Quante sofferenze fisiche e morali, mi pare di averle scritte da un’altra parte.
Ho scritto questi ricordi perché guardando e ascoltando la tragedia della guerra in Ucraina, pensando alle sofferenze, ai dolori, alle morti di tante creature umane e alle distruzioni mi viene un forte tremore fisico che mi passa soltanto se mi addormento.
So che è il mio modo per fuggire dalla realtà. Sono vecchia e la guerra fa troppo male.
E quanti ricordi ancora mi tornano in mente:
La fame e la paura – I bagliori dei bombardamenti verso Padova – Pippo di notte che mitragliava le luci anche piccolissime e qualsiasi cosa vedeva muoversi – le sirene e i razzi – le uccisioni – i disertori nascosti nei fienili – i soldati tedeschi che costruivano le trincee nei campi prima e poi l’invasione dei soldati liberatori americani, inglesi, indiani… e poi le vendette su qualche uomo capo fascista…
NO NO alla guerra –
(www.libreriadelledonne.it, 15 marzo 2022)