Ha risollevato l’economia restituendo dignità al suo Paese. Per la premier Luisa Diogo l’Africa può farcela
Raffaella Menichini
Fortune l’ha definita una delle cento donne più potenti del pianeta. Time l’ha inserita nella lista dei leader più influenti del mondo. Lei, Luisa Dias Diogo, indossa il potere con la sicurezza di un manager e la luminosità dei suoi abiti africani. Prima donna capo di governo in Mozambico, entrata in carica nel 2004 ad appena 45 anni e unica leader politica d’Africa insieme alla presidente della Liberia Ellen Johnson-Sirleaf, ha portato in pochi anni il suo Paese dal sottosviluppo a ritmi di crescita paragonabili a quelli delle “tigri” asiatiche. Se il reddito pro capite del Mozambico è raddoppiato negli ultimi dieci anni, il merito è anche e soprattutto suo: economista, già ministro delle Finanze ed esperta della Banca Mondiale, membro della commissione ristretta sulla riforma delle Nazioni Unite, Diogo è abituata a muoversi tra i grandi numeri della finanza e i nomi che contano della politica internazionale. Allo stesso tempo, conosce esattamente la vita di un contadino mozambicano, la sua fatica, i suoi bisogni. Soprattutto, sa riconoscere il valore meno visibile: il lavoro e il sapere delle donne, che considera l’arma per risolvere la povertà del continente. Di più: per fare di un Paese povero un Paese competitivo. “Tutto ruota intorno alle donne, loro sono la soluzione. Bisogna solo creare lo spazio perché possano dimostrare le loro capacità e potere. Il resto è semplice”. Ma “semplice”, in Mozambico, non è una parola d’uso comune. Il Paese è stato devastato, negli ultimissimi mesi, da catastrofi ambientali e umanitarie che avrebbero messo in ginocchio una potenza mondiale. Le inondazioni hanno devastato la zona centrale: una sessantina le vittime, oltre 120mila gli sfollati. Dopo di che il violento ciclone Favio ha colpito il Sud, proprio dove sono sorti, negli ultimi anni, molti resort turistici. La stessa zona è ciclicamente colpita dalla siccità, vero flagello dell’ex colonia portoghese che, per farvi fronte, deve ricorrere agli aiuti internazionali. E ancora, le piaghe della guerra, che aprono squarci dolorosi anche a distanza di tanti anni:per esempio la grande esplosione in un silos di armi abbandonato, che ha ucciso 101 persone e riportato alla memoria le ferite di 16 anni di sanguinoso conflitto civile. Una guerra che Diogo, militante del partito socialista Frelimo, non ha combattuto per motivi anagrafici. Il che la rende ancora più unica: non legata al dualismo distruttivo di quell’epoca, è una delle prime leader della nuova generazione mozambicana pronta a guardare al futuro. “Il nostro è un Paese vulnerabile e bellissimo, potenzialmente ricco”, dice, con passione, quando la incontriamo in una pausa tra le sue molte battaglie. È stata invitata a Roma a partecipare alla trentesima sessione del Governing Council dell’Ifad (international Fund for Agricultural Development), unico organismo finanziario delle Nazioni Unite che porta avanti nove progetti di aiuti allo sviluppo rurale in Mozambico: negli ultimi 14 anni ha investito nel Paese oltre 140 milioni di dollari. Diogo affronta i recenti disastri con piglio deciso e pragmatico. “Le alluvioni del 2001 furono utili per farci migliorare la sicurezza e la prevenzione. Andai nelle zone colpite: era un incubo, non c’era coordinamento, nessuno sapeva cosa fare, dove portare i senzatetto, come proteggerli dalle epidemie, come nutrirli. Ora tutto è cambiato. Abbiamo un sistema di allerta collegato con le agenzie ambientali dell’Onu, che ci dà informazioni sulla possibilità di inondazioni o siccità. A ottobre ci è arrivato l’allarme, e abbiamo messo a punto il piano d’emergenza. Ci ha permesso di limitare i danni, ma soprattutto di coinvolgere in tempo la popolazione, farle capire perché doveva lasciare le case e come avrebbe potuto continuare a lavorare i campi nelle zone a rischio. Abbiamo centri d’accoglienza, scuole dove i figli degli sfollati hanno priorità nell’iscrizione e centri di distribuzione di cibo, acqua, assistenza”. L’aiuto della comunità internazionale è necessario. “I Paesi donatori sanno che siamo seri: chiediamo solo se è inevitabile”. La strategia di Luisa Il Mozambico ha subito una piccola rivoluzione strutturale negli ultimi anni, grazie a questa donna instancabile, che non lavora solo per il suo Paese:l’Onu l’ha incaricata di delineare una strategia che permetta ai Paesi più poveri di coinvolgere l’imprenditoria privata negli obiettivi di sviluppo. “Sappiamo cosa può fare la natura. Le inondazioni sono cicliche, arrivano in media ogni cinque anni. La siccità, anche. Quindi ci prepariamo, siamo flessibili: dighe e gestione idrica sono i rimedi possibili. Prodotti specifici per combattere la siccità che, paradossalmente, ora è l’emergenza maggiore: dobbiamo nutrire centomila persone”. La strategia di Luisa Diogo ha un obiettivo: ridurre la povertà, modernizzando il Mozambico. “Il nostro piano ha tre aspetti essenziali:istruzione, assistenza sanitaria, lavoro per tutti. Per questo abbiamo bisogno di un misto di pubblico e privato. Sono pubbliche tutte le infrastrutture, le comunicazioni e le telecomunicazioni. I privati vanno incoraggiati a investire, a creare occupazione. Perché questo accada, abbiamo avviato una grande battaglia contro la corruzione, autentica piaga del Mozambico. E qui veniamo al secondo piano, quello del buon governo, ovvero: trasparenza del sistema giudiziario e decentramento. Il mio è un Paese molto bello ma assai difficile da amministrare. L’abbiamo diviso in 40 distretti, con finanziamenti locali che funzionano in modo eccezionale, investimenti molto più efficienti e una spesa pubblica distribuita in modo più adatto alle esigenze locali”. La premier non è donna da fermarsi davanti al grande tabù dell’Africa, l’Aids, che sta bloccando lo sviluppo di Paesi a lei vicini e con grandi potenzialità: uno su tutti il Sudafrica, che si rifiuta di riconoscere e affrontare l’emergenza. Per Diogo, l’Aids è una perdita economica, e come tale va affrontata. “È un problema enorme, uno dei rischi maggiori per il nostro sviluppo. Il tasso di infezione è del 16,8 per cento. Muoiono insegnanti, infermieri. In totale, stiamo perdendo l’1 per cento del Pil a causa delle morti o delle inabilità per Hiv. Avevamo un tasso di crescita dell’8-9 per cento, ora siamo sul 7-8. Nelle aree dove l’Aids è più diffuso, la produttività è molto bassa”. Leadership e futuro (femminile) Le risorse del Mozambico sono soprattutto le sue donne e i suoi uomini: le loro capacità vanno valorizzate, potenziate, usate. “Ci sono priorità trasversali, prima tra tutte la questione femminile. Il premier è una signora, deve essere una priorità per forza”, dice Diogo con una gran risata. “E settori che vanno potenziati, da quello della difesa alla gestione dell’emergenza”. Liberia e Mozambico: che ci siano due donne alla guida di altrettanti importanti Paesi africani è incoraggiante, ma Diogo non vi legge un segno di svolta o, quantomeno, non il più interessante. “È sempre utile che le ragazze abbiano punti di riferimento durante la crescita, qualcosa che dia loro la forza di uscire e dire: posso farcela. Ma la questione non è solo avere o meno un presidente donna. Dobbiamo andare sul terreno, verificare le condizioni reali. Il 70 per cento della popolazione mozambicana lavora nell’agricoltura: andiamo a vedere quali sono le condizioni delle donne contadine, come funziona la loro istruzione, come nutrono ed educano i bambini, come si comportano quando hanno pochi soldi e devono scegliere chi far studiare. Mettiamo che il bambino sia stupido e la bambina intelligente: la famiglia sceglierà di far studiare lei o il fratello? E salendo di livello: come vengono fatte le scelte di genere nella leadership dell’apparato statale? E nelle professioni? Quando sono entrata al ministero delle Finanze, soltanto il 12 per cento delle posizioni dirigenziali erano occupate da donne. Quando sono andata via, avevano superato il 50 per cento. Ma non ho fatto niente di speciale: avevo a disposizione persone competenti, brillanti e ho dato loro opportunità e spazi per dimostrarlo. Le africane sono molto potenti, anche se non lo danno a vedere”. O, forse, non lo sanno. Racconta Diogo con un gran sorriso: “Nel 2005 sono andata in un piccolo villaggio nel Sud, a discutere della siccità che stava devastando l’area. Il governatore mi ha presentata alla comunità locale: “Ecco il primo ministro”. Un’anziana signora si è alzata: era forte, le sue erano mani da contadina. Ha cominciato a gridare: “Mi avete mentito, mi avete sempre mentito!”. Noi la guardavamo allibiti, e lei: “Non sapevo di essere così potente!”. A 60 anni aveva incontrato me, e aveva capito che una donna, in Africa, può farcela”.