27 Settembre 2005
il manifesto

Sit-in illegale, arrestata Cindy Sheehan

Era davanti alla Casa Bianca. Attorno a lei si è coagulato il movimento contro la guerra
S.D.R.

La polizia di Washington non deve avere un gran senso dell’opportunità. Ieri ha deciso di arrestare, davanti a un gran pubblico e alle telecamere, Cindy Sheehan, la madre di un giovanissimo militare morto in Iraq – ovvero, la donna attorno a cui si è coagulato e rivitalizzato negli Stati uniti un movimento contro la guerra. Cindy Sheehan è stata arrestata nel pomeriggio di ieri fuori dalla Casa Bianca. Era con decine di altre persone: avevano camminato giù per Penssylvania Avenue e poi si erano seduti sul marciapiede, sul lato nord della residenza presidenziale. La polizia si è subito fatta avanti per avvertire che il sit-in era illegale, e ha seguito le regole a puntino: poiché i manifestanti non si muovevano, al terzo avviso ha cominciato ad arrestarli. Ha cominciato proprio dalla signora Sheehan, che si è alzata ed è stata portata a un veicolo della polizia mentre gli altri scandivano: «Il mondo intero sta guardando».

 

Cindy Sheehan, 48 anni, californiana, è diventata un simbolo di un nuovo movimento contro la guerra quando ha deciso di trasformare in protesta la sua tragedia personale. Suo figlio Casey, 24 anni, è stato ucciso l’anno scorso a Sadr City, in Iraq. Lei ha reagito. La scorsa estate è andata a piazzarsi davanti al ranch del presidente George W. Bush a Crawford, in Texas, con un piccolo gruppo di madri come lei e di sostenitori. L’accampamento di fortuna, chiamato «Camp Casey», è cresciuto, qualcuno ha messo a disposizione un terreno, e le madri pacifiste hanno avuto l’attenzione dei media: ostinate, sono rimaste là per settimane. La loro semplice domanda – «perché i nostri figli vano a morire in Iraq» – ha innescato una reazione molto ampia. «Mio figlio è morto per niente, e George Bush con le sue politiche senza scrupoli lo ha ucciso», ha dichiarato e scritto Sheehan: «Mio figlio è stato mandato a combattere una guerra che non aveva fondamento nella realtà ed è stato ucciso per questa».

 

«I nostri figli muoiono ogni giorno per una bugia», hanno detto le madri divenute pacifiste: è una carneficina senza senso, non stiamo portando democrazia né pace in Iraq. «L’unico modo di sostenere le nostre truppe è riportarle a casa subito», ha ripetuto Cindy in innumerevoli interviste.

 

E’ così che un movimento contro la guerra si è messo in moto, come uscendo dal torpore. Nelle ultime due settimane una carovana ha attraversato 27 degli Stati uniti. Infine la manifestazione dell’ultimo fine settimana a Washington: sabato c’erano forse 150mila persone a marciare davanti alla casa Bianca; per unanime opinione è stata la più grande manifestazione del suo genere da quando la guerra in Iraq è cominciata nel marzo del 2003.

 

Le circa 250 madri raccolte dalla signora Sheehan erano anche sabato le protagoniste della marcia – insieme alla rete che va sotto il nome United for Peace and Justice, a gruppi di «Veterani dell’Iraq contro la guerra», a collettivi di giovani no-global, a frange sindacali e ai pochi esponenti politici che si siano finora schierati apertamente contro l’avventura in Iraq: tra i pochi c’era il reverendo Jesse Jackson. Interessante: gli slogans contro la guerra in Iraq si sono mescolati a quelli sulla cattiva gestione del disastro Katrina, «usate le risorse per i soccorsi, non per la guerra».

 

L’amministrazione Bush ha finora cercato di combattere il movimento delle «madri contro la guerra» schierando altre madri e padri di soldati impegnati in Iraq: anche domenica ne ha mobilitati 500, che hanno manifestato a Washington «a sostegno delle nostre truppe» che combattono per la patria. Ma non sono molto convincenti, a giudicare dai sondaggi d’opinione.

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