22 Novembre 2005
il manifesto

Sotto processo

Stefania Giorgi

Dalla sua approvazione, anno di grazia 1978, la guerra contro la 194 ha registrato solo brevi armistizi. Nonostante quella legge – tutt’altro che permissiva – fosse figlia di mediazioni e compromessi che rendevano possibile per le donne dell’Italia cattolica l’interruzione di gravidanza solo sotto tutela statale e solo sottoponendosi a un iter lungo non facile e aggravato dal ricorso all’obiezione di coscienza. Mediazione ben lontana dalla proposta di depenalizzazione portata avanti, su posizioni diverse, dai Radicali e da una parte non piccola del movimento femminista. La legge ha retto l’urto del tempo, gli anatemi del Vaticano, i ripensamenti/pentimenti di uomini di sinistra e un referendum, grazie soprattutto a una pratica che è riuscita a superare ostacoli e farraginosità che quel testo contiene. Ed è esattamente quella pratica sotto attacco ora. La nuova strategia è chiara: quella legge “intoccabile” va aggirata. Lasciata apparentemente intatta, ma svuotata dall’interno. Ecco dunque la commissione d’indagine uscita dal cappello dell’Udc che non potrà che tramutarsi in un processo di massa alle donne; ecco il nuovo ossimoro – sinistro come quello della guerra umanitaria – dei “volontari professionali” del Movimento della vita assoldati da Storace e sguinzagliati nei consultori per convertire le donne alla maternità forzosa.

 

La lotta inesausta della Chiesa contro le donne con a fianco vecchi/nuovi chierichetti disseminati nel centrosinistra e nel centrodestra – ringalluzziti dal vittorioso referendum sulla procreazione assistita – si ammassano nel ventre di questo cavallo di Troia: ripensare le modalità applicative della legge, battere il tasto di quanto non è stato fatto per la tutela della maternità. La prevenzione – affidata ai consultori e presente nella 194 – ben presto è scivolata nella dissuasione cui il testo della legge non fa alcun cenno. Non è difficile immaginare l’esito di una campagna di indagini e dissuasori tutt’altro che occulti: una versione pesantemente riduttiva e autoritaria, penalizzante e umiliante dell’aborto. Un’esperienza – mai semplice, lineare, indolore – che le donne di tutto il mondo, da che mondo è mondo, conoscono e vivono sulla propria pelle. Un attacco che sottintende (la legge 40 docet) un’idea delle donne come creature egoiste e incapaci di decidere da sole se, quando e come essere madri. Esseri deboli e instabili da tenere sotto controllo e tutela per evitare eccessi e sregolatezze.

 

Sull’aborto, prevenzione e dramma sono le paroline magiche che troppo spesso anche la sinistra continua a tirar fuori dal cassetto per rintuzzare gli attacchi alla libertà femminile. Risposta debole e reticente, incapace di far proprio il principio della scelta femminile, dell’autodeterminazione. Di fidarsi e affidarsi alla responsabilità delle donne italiane che, i dati lo confermano, non ricorrono mai a cuor leggero all’interruzione della gravidanza.

 

Di fronte a vecchie e nuove alleanze che giocano sul corpo delle donne, alla vigilia del voto di aprile, fra prevenzione/dissuasione, vescovi, crociati dell’embrione, neoconvertiti alla preghiera, imboscati (come è accaduto per il referendum sulla procreazione assistita), è giunta l’ora di pretendere che la libertà delle donne in materia procreativa diventi un punto qualificante dei programmi elettorali. Che chi aspira a diventare nostro governante e legislatore, dica una parola chiara e definitiva su questo. Le donne, responsabilmente, faranno di conseguenza le loro scelte di voto.

 

Post scriptum della redazione: Stefania Giorgi, i sostenitori della legge 40 non hanno VINTO i referendum, non c’è nessuna vittoria. Ai referendum è mancato il quorum!

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