Libreria delle donne di Milano, 6 aprile 2019. Ascoltare la voce delle viscere, tradurla in pensiero, in narrazione di sé contestualizzata, in storia, è un lavoro politico condotto da donne in stretta relazione fra loro, un lavoro più che decennale che ha portato al libro La spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi curato dalla Comunità di storia vivente di Milano (Moretti&Vitali, 2018). Dieci racconti e alcuni testi teorici che fanno storia. Se, come dice Zambrano, “pensare è decifrare ciò che si sente” la storia viventericompone la frattura tra il sentire e il ragionare introducendo nuove chiavi di lettura della realtà. Caterina Diotto della Comunità filosofica di Diotima conversa con Marirì Martinengo e le altre autrici del libro.
Report degli interventi introduttivi, a cura di Katia Ricci, Anna Potito e Laura Minguzzi.
Introduce la conversazione Marirì Martinengo, ispiratrice e fondatrice della Comunità di storia vivente, per raccontare il percorso che l’ha portata dalla solitaria fatica de La voce del silenzio alla ricerca comune con altre donne e al convincimento, avvalorato dalla storica spagnola Maria- Milagros Rivera Garretas, che la rilettura dei fatti storici a partire dal nodo irrisolto della narratrice, l’indagine del profondo enigma che ha generato ciò che ciascuno e ciascuna è diventata, narrarlo e discuterlo in presenza di altre e scriverlo confrontandosi con loro, è un nuovo modo di fare storia. Il lavoro che comprende parti teoriche, narrazioni individuali e un racconto per immagini è stato avviato oltre dieci anni fa dalla Comunità di Milano, cui si è unita la Comunità di Foggia.
Mariri Martinengo spiega brevemente il significato del titolo del libro La spirale del tempo: “Esso riassume la pratica della nostra Comunità di storia vivente, che consisteva in questo: ognuna di noi, durante i nostri incontri mensili cominciava a parlare di un suo viluppo interiore disturbante la libera espressione della soggettività; le altre ascoltavano e intervenivano; la volta successiva il racconto veniva ripreso, modificato e arricchito dalle riflessioni della stessa, rivivificato da quelle delle altre; e così per tempi molto lunghi, tredici anni, finché il viluppo, divenuto via via sempre più limpido e mai uguale nel movimento a spirale, veniva deposto in scrittura, la quale metteva in moto un’altraspirale di continuo ripensamento, revisione, approfondimento fino alla nascita del racconto. Il libro si compone di dieci racconti e di alcuni testi teorici che spiegano la pratica della storia vivente, di cui i racconti sono l’esito. La pratica della storia vivente consiste nell’ascoltare la voce delle viscere e tradurla in pensiero, narrazione di sé contestualizzata, in storia.
Si tratta di un lavoro politico, perché condotto da donne di Milano e di Foggia in stretta relazione fra loro. La pubblicazione del libro, nella collana creata da Annarosa Buttarelli, che ringraziamo, è il risultato di una pratica più che decennale: infatti, come ho detto, ogni voce narrante ritornava nel tempo in un percorso di continuo approfondimento, in un ritorno mai uguale a se stesso. Ogni racconto si prefigge lo scopo di dare statuto di esistenza quindi storia al sentire profondo che giace in ciascuna delle narratrici Maria Zambrano, nostra maestra, afferma che “pensare è decifrare ciò che si sente” (la segnalazione di questo pensiero mi è pervenuta dalla docente di storia medievale, Maria Milagros Rivera Garretas, qui presente).
Riflettendo su questo pensiero, ho argomentato che la pratica della storia vivente nel suo percorso ricompone la frattura, creatasi nella cultura occidentale, tra il sentire e il ragionare”.
Presenta il libro Caterina Diotto, dottoranda di filosofia estetica presso l’Università di Verona della Comunità di Diotima; legge l’ultima di copertina che riporta un pensiero di Milagros in cui la storica evidenzia l’opposizione tra due paradigmi storiografici: la storia di impostazione positivista e sociale e la storia vivente. Questo conflitto si inserisce in uno più grande. In una comunità ci sono forze centripete omologatrici e forze centrifughe che spingono verso l’esterno e l’abbandono dalla comunità. Comunità operativa la prima, in cui ognuno ha un ruolo stabilito, l’altra resta pure collettività ma conta sulla particolarità, l’eccedenza dell’individuo. Comunità “disoperosa” che opera, cioè, in maniera diversa e permette l’accadere, esalta la singolarità. La comunità operosa tende al neutro, la seconda, invece, esalta la differenza sessuale e in questa seconda, a suo avviso, si inserisce la storia vivente. Lo fa come pratica. Nel testo c’è la molteplicità, non c’è un messaggio unico ma una complessità che entra in relazione con gli altri. Individua due blocchi: -conflitto tra storia ufficiale e storie, -in quale orizzonte di questioni s’inserisce quando si dà voce alle viscere. La storia vivente è la politica delle donne immessa nelle pratiche delle storiche e anche nella modalità di composizione del libro in cui non c’è un orizzonte unico ma si compone di testi teorici, racconti, immagini.
Nel testo è evidente il contrasto tra due linee nell’esaminare come si sono svolte le cose. Una storiografia del potere e una della potenza. Costruire una storiografia sulla forza è costruire una storia fatta di vincitori e vinti, sui rovesci di potere e sul potere e chi lo esercita. Simone Weil dice che forza e potere non sono categorie diverse perché vince sempre la forza. Esamina poi la linea della potenza. La potenza è multidirezionale al contrario della forza che è unidirezionale. Prende ad esempio uno scritto della spirale del tempo ispirato al racconto della prima guerra mondiale che nell’opinione comune è negativa perché ha prodotto morti, feriti, sconvolgimenti, l’orrore della guerra, ma nell’esperienza delle donne presenta anche valori positivi perché le donne dovendo prendere in mano le sorti della famiglia acquisirono consapevolezza, che le rese diverse.
Invece, in uno scritto del secondo dopoguerra che è accompagnato da un racconto positivo per il boom economico, la pace, il benessere, le maggiori risorse, la narrazione può essere anche negativa perché gli uomini reduci dalla guerra hanno riportato traumi e disagi, ricorrendo spesso all’alcool per superarli, divenendo di conseguenza violenti specie sulle donne e sui bambini di casa. C’era un silenzio sociale su questo.
C’è una interiorizzazione di fronte alla violenza raccontata e l’interpretazione fatta dalla storica consente di riconoscere la forza e la debolezza delle donne e si può leggere il percorso per riuscire a smarcarsi di fronte al potere riconoscendo i saperi femminili. Cita Luciana Tavernini “c’è una conoscenza sapienziale femminile che si trasmette col fare con la poesia…che si mostra lasciandoti libera di cogliere ciò che va bene per te … che non pretende codificazioni precise…” che consente di liberare dalle incrostazioni dei saperi specialistici che l’hanno screditata e ne hanno cancellato il vero insegnamento. Paradigma della storia ufficiale è l’oggettività, paradigma della storia vivente la soggettività.
Cita ancora Marina Santini che ricorda come la storia ufficiale è un grande arazzo in cui ogni filo si intreccia con l’altro formando un disegno perfetto, la storia vivente invece osserva il rovescio, i fili e i nodi e mostra ciò che è rimasto nascosto.
Il secondo tema è avvicinare la storia alle storie. Come lo fa? Avvicinandosi alle viscere, affermando la verità delle donne; questo permette alla storia ufficiale di non chiudersi in categorie e di non allontanarsi dall’esperienza e di riaprire l’interpretazione. Le viscere non possono essere esposte alla luce cartesiana ma ad una lampada a olio dalla fiamma oscillante che illumina alcune parti e non altre. Qual è la misura della verità delle viscere? Non si tratta di temi ma di orizzonti e problemi delle donne. Nella narrazione si pone un problema strutturale e se ci sono buchi tendiamo a tapparli con stereotipi. Quando il sé diventa politica e storia? Può essere letteratura o autocoscienza?
Milagros Rivera. L’interesse per la storia vivente in Spagna è grande a Madrid, a Barcellona, a Girona ma non c’è un gruppo pronto alla trasformazione di sé, un piccolo gruppo si riunisce a Madrid “le tre Marie” che si chiede come credere alla verità delle viscere. Maria Zambrano è molto vicina in Spagna ma l’Università non la riconosce specie la sinistra e non viene insegnata perché molto legata al cristianesimo di cui non parla ma è la sua fonte. Quando fu cacciata dall’università di Marella nel ’39 scrisse Filosofia e poesia. Con le tre Marie stiamo cercando di aderire alla vita dell’anima. Il sentire è la vita dell’anima. Sentiamo di accedere al nostro proprio sentire. Pensare come radice è come decifrare ciò che si sente, intendere il sentire originario. Là c’è la fonte di autenticità. Difficile capire quando un sintomo fisico fa verità nella tua esperienza vissuta, quando arriva ad essere sentita. Quella esperienza è inespugnabile quando fa verità. Siamo all’inizio.
Laura Minguzzi interviene sul titolo riallacciandosi al pensiero sul tempo: è un tornare all’origine alla lettera, ritornando al sentire dell’esperienza, all’origine materna, tornando alle viscere materne da cui nasciamo, che sono diverse da quelle degli uomini, un materialismo simbolico, costruendo una genealogia materna. Quando Marirì Martinengo ha scritto La voce del silenzio per noi è diventato un nuovo inizio, una svolta della Comunità, come raccontiamo nel libro, favorita da un contesto dove con la pratica del femminismo la parola di una donna è creduta, come oggi mostra pienamente il movimento #MeToo. Marirì ha aperto una via che mi ha consentito di parlare della mia storia, del mio nodo irrisolto, cosa che non mi era stato possibile negli anni ’70. È stato per me un guadagno di essere. Elenca poi le autrici della comunità di Milano e di Foggia e annuncia la formazione di nuovi gruppi.
Per la registrazione video dell’incontro, vai a: https://www.youtube.com/watch?v=P4YeETizIGU
(www.libreriadelledonne.it, 25 aprile 2019)