Sara Gandini, Elisabetta Marano, Laura Colombo, Laura Milani
Caro Giacomo,
la tua risposta ci ha permesso di mettere più a fuoco alcune aspetti non chiari del nostro articolo sull’Unità. Tu cogli nel segno nel momento in cui scrivi “vorrei usare la ricchezza delle relazioni di oggi per scoprire e indagare in modo nuovo il mio passato, nonché il mio futuro”. È questo il punto che a noi piacerebbe indagare. A noi piacerebbe che si riuscisse a nominare che cosa si vuole davvero riscoprire, recuperare, della propria storia, per metterlo in gioco nelle relazioni. Non tanto per il desiderio in sé di ricostruire la propria storia, ma in quanto la nostra storia é ciò che ci ha formato ed è ciò che ci portiamo dentro…
Tu scrivi: “a volte sono tentato di giudicare [la mia storia] irrimediabilmente improntata alla superficialità o alla prevaricazione; e invece c’è molto di più, nel passato e nel futuro”. Cos’è questo di più? Come recuperare una genealogia maschile, a cui tu accenni? Perché farlo? Da che desiderio, necessità o difficoltà nasce?
Ricordiamo che, con molto coraggio, all’incontro di Diotima avevate accennato al “desiderio di recuperare in parte qualcosa riguardo al patriarcato”. Avete detto poco, e faticosamente, rispetto a questo desiderio. Ecco. Vorremmo che tentaste di raccontarlo più ampiamente perché li stanno – forse – le contraddizioni più interessanti. Naturalmente non stiamo dicendo che il patriarcato (e il suo sistema di valori) ritorni a essere il punto di riferimento dominante! Si tratta, piuttosto, di capire la vostra intima relazione, il vostro posizionamento, il vostro vissuto, il vostro giudizio.
Noi crediamo che la vicinanza con la politica delle donne produca inevitabilmente contraddizioni in un uomo, e ci pare che questo uscisse abbastanza chiaramente dal vostro intervento al Grande Seminario di Diotima del 2003. A noi interesserebbe capire dove stanno queste contraddizioni, perché è lì che si giocano delle possibilità. Certo per farlo ci vuole una forza, data anche da nuove relazioni fra uomini, che possono diventare il proprio centro e che potrebbero permettere di costruire vere relazioni di differenza anche con le donne.
Chiara Zamboni, in un intervento al Convegno di Identità e differenza dell’anno scorso, intitolato Donne e uomini dirsi la verità, si chiedeva che cosa volesse dagli uomini e diceva, con parole molto chiare: “Chiedo loro che mi dicano che legame ci sia tra quello che conoscono di sé e la civiltà che è cresciuta in questi secoli e che ora è fortemente in bilico e di cui gli uomini sono in gran parte autori. È sterile e non mi spiega nulla l’atteggiamento di quegli uomini che si tolgono fuori dalla civiltà maschile, perché non mi aiutano a capire come si è fermata e qual è stato il momento nel quale è diventata così pericolosa. Né mi aiutano quelli che seguono il modello di agire delle donne, assumendolo per sé senza una trasformazione che li impegni rispetto al proprio mondo maschile. Mi aiutano invece quegli uomini che mi dicono dove li porti la loro differenza maschile….”
Così noi diciamo che la distanza può avvicinare solo se si ha il coraggio di nominare e narrare anche lì dove non corrisponde al previsto o al piacevole…
Tu vorresti che noi ci fidassimo, riguardo alla differenza maschile, ma noi vediamo il rischio che la differenza venga “rimossa”, non nominata, perché difficile comunque da rielaborare, come emerge anche dall’ultimo numero Via Dogana. Quindi il punto non sta nel fidarsi, comunque fondamentale, ma nel cominciare a raccontare, nominare, eventualmente per riscoprirla assieme. Tutto ciò all’interno di quelle relazioni di cui tu parli, ma che esistono solo in uno scambio coraggioso in cui c’è la forza di nominare la differenza.