di Sara Gandini
La cosa che più mi stupisce di alcuni uomini intelligenti, con cui ho fatto politica per anni, è che non arrivino al punto politico. Si perdono. “Come possiamo giudicare se non sappiamo cosa sia vero?” si chiedono, “non siamo noi a dover fare un processo”.
Non capiscono che l’unico fatto su cui si può, anzi bisogna esprimersi, posizionarsi e dire una parola decisa è che una donna ha affermato di avere subito violenza da un componente di Maschile Plurale. Bisogna fare i conti con la sua parola, con la sua sofferenza, che è lì, pubblica, e questo è un fatto politicamente significativo, che bisogna prendere seriamente, soprattutto per il tipo di lavoro che Maschile Plurale (MP) da anni porta avanti nelle scuole, negli incontri con gli uomini maltrattanti, in innumerevoli incontri pubblici… Non si può tentennare con dichiarazioni imbarazzanti che negano la verità di lei, finendo per rivittimizzarla, come scriveva TK Brambilla.
Fortunatamente Marco Deriu, Claudio Vedovati e Claudio Magnabosco hanno scritto su http://maschileplurale.it e sono riusciti a creare dei varchi di verità, nella cortina di fumo, illuminando con coraggio cosa stava accadendo. Ma le posizioni difensive di alcuni di loro, che non hanno fatto spazio alle critiche arrivate da dentro e da fuori MP, e il silenzio di altri, hanno reso lo scambio sul web ma anche alla Libreria delle donne problematico. Certo, è stato uno scontro duro anche quello alla Libreria perché la passione della discussione si mischiava all’aggressività, ma questo non può essere un alibi.
Sinceramente speravo che in presenza le relazioni tra gli uomini di MP fossero sufficientemente forti da reggere la durezza dello scambio. Speravo che avessero affinato non solo solidarietà tra loro, ma anche quella fiducia che permette di aprire conflitti veri e profondi senza mettere in discussione le relazioni, quella capacità di dire verità dure senza timore di ferire, quel coraggio di andare al nodo delle questioni senza finire in competizioni falliche. Lo speravo, perché so che ci sono intelligenza, sensibilità e grandi competenze in questo gruppo di uomini. Negli scambi con alcuni di loro, ho vissuto di persona il desiderio di verità, la correttezza personale e politica, il desiderio di andare fino in fondo, di mettersi in gioco.
E io, come femminista, ho bisogno di sperare che ci siano uomini in grado di fare politica puntando sulla pratica di relazione e non sulle gerarchie, sull’autorità relazionale e non sul potere, sul conflitto e non sulla competizione.
TK si chiede perché gli uomini dovrebbero associarsi tra loro, e rimanere in un’omosessualità difensiva: «Gli uomini, in quanto uomini, mi pare siano storicamente già associati a sufficienza», scrive su Facebook. Non ha tutti i torti.
MP simbolicamente mette sulla scena pubblica le relazioni tra maschi e questo può spaventare, in quanto rimanda a quell’immaginario patriarcale oramai insopportabile. La libertà femminile e l’indipendenza simbolica guadagnata con il “tra donne” ha sparigliato le carte tanto che le donne non hanno più bisogno dei maschi per dare significato alle loro scelte. Questo nuovo scenario ha fatto sì che alcuni uomini sentissero l’esigenza di ripensare la mascolinità, perché dalla differenza nasce l’eros, la curiosità, ciò che ci porta fuori da noi, anche se a volte risulta incomprensibile o fa arrabbiare.
Maschile Plurale nella mia esperienza è un gruppo di uomini che, facendo riferimento al femminismo, ha lavorato seriamente per una mascolinità differente. Un lavoro che possono fare solo tra loro, ma che importa anche a me. Infatti MP ha rappresentato l’occasione di incontrare sulla mia strada uomini che imparavano dalle pratiche e dalle relazioni con le femministe, ma che allo stesso tempo, grazie alle loro relazioni, non si appiattivano sulle conquiste fatte e cercavano di confliggere anche con l’autorità femminile, per la loro verità. Una verità parziale, non più universale, su cui aprire conflitti.
Ma per configgere, rinunciando a posizioni di difesa, gli uomini devono essere in grado di creare relazioni tra maschi differenti, di fiducia, fuori da lotte patriarcali, fratricide e gare per il potere. Relazioni che permettano di nominare la loro verità anche di fronte a donne forti e autorevoli, che stiano in conflitto, tenendo la relazione.
Non è quello che abbiamo visto sulla scena pubblica in questi mesi. In questa vicenda MP ha mostrato relazioni fragili, in cui è mancata la fiducia necessaria per confliggere e mostrare le differenze vitali che peraltro esistono.
Non ce l’hanno fatta, ma alcuni di loro ci hanno provato, e io sono stata con loro, per mesi, a discutere, con partecipazione affettiva e con determinazione, in relazione con coloro a cui riconosco fiducia e stima. E con alcuni uomini di MP ho visto che un altro mondo, maschile, è possibile. Se la forza del desiderio nasce dalla mancanza, fortunatamente regala anche esistenza simbolica, «perché il reale non è indifferente al desiderio», come scrive Muraro in Al mercato della felicità.
A questo punto le cose importanti sono state dette, in rete e in presenza, e a continuare la polemica, come sta accadendo in rete, si finisce nella ripetizione della ripetizione. Ora si tratta di prendere coscienza che ci sono alcune cose su cui siamo d’accordo e una (forse) è che gli uomini fanno fatica a entrare in conflitto tra loro, soprattutto pubblicamente, e anche quando ci provano non producono spostamenti. Ma si capisce la ragione: storicamente per loro i conflitti possono diventare guerre. Un’altra, emersa in Libreria, è che l’impegno maschile in questo campo è importante ma anche più difficile di quello che loro stessi credono.
Per finire, molte e alcuni chiedono che si faccia giustizia. Vorrebbero un risarcimento simbolico, e lo capisco. Ma fino a che punto ha senso chiedere giustizia a MP? L’associazione non ha e non vuole darsi strumenti per fare giustizia in casi singoli, la sua giustizia è l’impegno a lottare politicamente contro la violenza sessista.
Però, per esempio, a un vertice mondiale a Londra di responsabili politici, esperti e militanti è stato chiesto di smettere di ignorare le violenze contro le donne nel corso dei conflitti e di riconoscere che le violenze contro le donne non sono episodi isolati. Per me è questo il punto. Significa per gli uomini di MP chiamare la violenza con il suo nome, anche quando coinvolge loro stessi, e prendere posizione senza tentennamenti o giri di parole. Partendo da relazioni di differenza significative, tra loro e con le donne, ma facendosi carico della responsabilità che hanno, grazie all’autorità che viene loro riconosciuta.
Perché non c’è giustizia se non a partire dai soggetti: «La giustizia si può solo fare, e solo nel senso di fare giustamente, per quello che ci riguarda», come scriveva Alessandra Bocchetti (Via Dogana, 1991).
(www.libreriadelledonne.it – 24/7/2014)